23 ottobre – «Quel che sta accadendo è una rivoluzione silenziosa»,
annunciò José Manuel Barroso a Firenze nel 2010: «Un più forte governo
dell’economia realizzato a piccoli passi». Gli Stati membri
«hanno accettato di attribuire importanti poteri alle istituzioni europee riguardo alla sorveglianza, e un controllo molto più stretto delle finanze pubbliche».
«hanno accettato di attribuire importanti poteri alle istituzioni europee riguardo alla sorveglianza, e un controllo molto più stretto delle finanze pubbliche».
Barroso non parlava a caso, avverte Luciano Gallino: sin dal 2010, la Ue e il Consiglio Europeo avevano avviato un piano di trasferimento di poteri dagli Stati membri alle principali istituzioni comunitarie,
che per la sua ampiezza «rappresenta una espropriazione inaudita, non
prevista nemmeno dai trattati Ue, della sovranità degli Stati stessi».
Non è solo questione di economia: si prevedeva l’intervento d’autorità,
parte di funzionari di Bruxelles, per sanzionare chi uscisse rai ranghi,
cioè dagli “indicatori” «elaborati secondo criteri sottratti a ogni
discussione». Piano perfettamente eseguito: «Il ministero delle Finanze degli Stati membri potrebbe essere eliminato: del bilancio se ne occupa la Commissione Europea».
Il culmine del sequestro della sovranità economica e politica dei nostri paesi da parte della Ue, scrive Gallino su “Repubblica”, è stato toccato nel 2012 con l’imposizione del Fiscal Compact, che prevede l’inserimento nella legislazione del pareggio di bilancio, “preferibilmente in via costituzionale”.
«I nostri parlamentari, non si sa se più incompetenti o più allineati
sulle posizioni di Bruxelles, hanno scelto la strada del maggior danno –
la modifica dell’articolo 81 della Costituzione». Sequestri di
sovranità e potere: «Non sono motivati, come sostengono le istituzioni
europee, dalla necessità di combattere la crisi finanziaria».
Per Gallino, i tecnocrati dell’Ue, del Fmi e della Bce sembrano
«dilettanti allo sbaraglio», visto che i loro diktat hanno fatto
esplodere il debito pubblico nell’Eurozona, salito dal 66% del 2007
all’86% del 2011. In realtà non è il super-potere “sbagli”. La realtà è
ancora peggiore: il super-potere centrale mente, sapendo di
mentire. Perché il suo piano è oligarchico: colpire lo Stato fino a
smantellarlo, per lasciare senza più difese lavoratori, aziende e
cittadini.
La Troika, infatti, imputa la crisi economica al «peso eccessivo
della spesa sociale» nonché al «costo eccessivo del lavoro». La loro
unica ricetta? Tagliare. Christine Lagarde, direttrice del Fmi, insiste
sulla necessità di tosare le pensioni italiane, visto che rappresentano
la maggior spesa dello Stato, «dando mostra di ignorare, la dotta
direttrice, che i 200 miliardi della ordinaria spesa pensionistica sono
soldi che passano direttamente dai lavoratori in attività ai lavoratori
in quiescenza». Il trasferimento all’Inps da parte dello Stato, circa 90
miliardi l’anno, «non ha niente a che fare con la spesa pensionistica,
bensì con interventi assistenziali che in altri paesi sono a carico
della fiscalità generale», precisa Gallino. Il problema è che «dinanzi ai diktat di Bruxelles, il governo italiano in genere batte i tacchi e obbedisce».
Le prescrizioni contenute nella lettera del 2011 con cui Olli Rhen,
allora commissario all’economia dell’Ue, esigeva riforme dello Stato
sociale, sono state eseguite. La “riforma” del lavoro, il Jobs Act di
Renzi, «potrebbe essere Olli Rehnstata scritta a Bruxelles». Morale:
«Nessuno di questi interventi ha avuto o avrà effetti positivi per
combattere la crisi; in realtà l’hanno aggravata».
Combattere la crisi, aggiunge Gallino, non è nemmeno il loro
obiettivo: «Lo scopo perseguito dalle istituzioni Ue è quello di
assoggettare gli Stati membri alla “disciplina” dei mercati. Oltre che, più in dettaglio, convogliare
verso banche e compagnie di assicurazione il flusso dei versamenti
pensionistici; privatizzare il più possibile la sanità; ridurre i
lavoratori a servi obbedienti dinanzi alla prospettiva di perdere il
posto, o di non averlo».
Il vero nemico delle istituzioni Ue? «E’ lo stato sociale e
l’idea di democrazia su cui si regge: è questo che esse sono volte a
distruggere». L’Unione Europea sembra ormai diventata «una
dittatura di finanza e grandi imprese, grazie anche all’aiuto di governi
collusi o incompetenti». Si parla di “fine della democrazia” nella Ue,
di “democrazia autoritaria” o “dittatoriale” o di “rivoluzione
neoliberale” condotta per attribuire alle classi dominanti il massimo
potere economico. «Il termine potrà apparire troppo forte», ma basta
dare un’occhiata ai fatti: «I poteri degli Stati membri, di cui le
istituzioni europee si sono appropriati, sono superiori a quelli dei
quali gode in Usa il governo federale nei confronti degli Stati
federati».
Di fatto, continua Gallino, «le persone che decidono quali poteri
lasciarci o toglierci, sono sì e no alcune dozzine: sei o sette
commissari della Ce su trenta; i componenti del Consiglio Europeo (due
dozzine di capi di Stato e di governo); i membri del direttivo della
Bce; i capi del Fmi, e pochi altri». Tutti, beninteso, sono «immersi in
trattative con esponenti del mondo politico, finanziario e industriale»,
che dettano loro le nuove regole a cui i cittadini dovranno sottoporsi.
«Non esiste alcun organo elettivo – nemmeno il Parlamento Europeo – che
possa interferire con quanto tale gruppo decide». Sicché, «pare evidente che la Ue abbia smesso di essere una democrazia, per assomigliare sempre più a una dittatura di fatto,
la cui attuazione – come vari Luciano Gallinogiuristi hanno messo in
luce – viola perfino i dispositivi già scarsamente democratici dei
trattati istitutivi».
Al limite, «la dittatura Ue potrebbe essere tollerabile se avesse
conseguito successi economici: italiani e tedeschi hanno applaudito i
loro dittatori per anni perché procuravano lavoro e prestazioni da stato
sociale. Ma le politiche economiche imposte dal 2010 in poi hanno
provocato solo disastri». Una tragedia politica, prima ancora che
economica: la denuncia del “golpe”, forte e chiara, non è mai stata
pronunciata da nessun soggetto politico con visibilità istituzionale, ma
solo da analisti indipendenti, Paolo Barbard fra i primi. Si domanda
Gallino: «Quali sciagure debbono ancora accadere, quali insulti l’ideale
democratico deve ancora subire, prima che si alzi qualche voce – meglio
se sono tante – per dire che di questa Ue dittatoriale ne abbiamo
abbastanza, e che se uscirne oggi può costare troppo caro è necessario
rivedere i trattati, prima di assicurarci decenni di recessione e di
servitù politica ed economica?». LIBREIDEE
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