L’acqua è un diritto umano. "La troika sta obbligando alcuni paesi come la Grecia a svendere i servizi idrici"

L’iniziativa dei cittadini europei per l’accesso all'acqua come bene pubblico essenziale è arrivata in Commissione Petizioni. Ne abbiamo parlato con uno degli ambasciatori dell’iniziativa, Tommaso Fattori, tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, della Rete europea dell'Acqua, nonché fra i primi promotori del Referendum del 2011.


Right2water è un' ICE (iniziativa dei cittadini europei) per salvaguardare il bene acqua e i servizi igienico-sanitari. Lunedì 17 l'avete presentata al Parlamento Europeo, con un successo mediatico incredibile. Ci spiega come è nata e perchè?

La nostra Ice ha diverse radici. La prima è il voto storico con cui, nel 2010, l'assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari come un diritto umano universale, censurando i tentativi di trasformare l'acqua in merce, ossia in un bene economico dalla cui gestione è lecito trarre profitti. A questo riconoscimento di importanza epocale è seguito però il silenzio: l'Unione Europea non ha preso alcuna iniziativa concreta per recepire nel proprio ordinamento questo fondamentale diritto umano, nessuna iniziativa è stata adottata per renderlo effettivo ed esigibile. Un silenzio ed un vuoto che la nostra Ice chiede alla Commissione di colmare immediatamente. La seconda radice è la presenza in Europa di un movimento a favore dell'acqua bene comune, la cui forza si è tradotta in schiaccianti vittorie referendarie. Mi riferisco al referendum italiano del 2011 ma anche ai due referendum municipali contro la privatizzazione dei servizi idrici che si sono svolti a Madrid e a Berlino, con analoghi esiti. E' questo terreno che ci ha consentito di raccogliere quasi due milioni di firme: la nostra è la prima Ice a giungere sul tavolo della Commissione nella storia europea. La terza radice è la crisi. Da una parte la troika sta usando la crisi e l'austerità per imporre le privatizzazioni dei servizi essenziali ai paesi in difficoltà. Dall'altra con la crisi sta crescendo il numero di famiglie impoverite, che fa fatica a pagare le bollette dell'acqua. Con le privatizzazioni stanno quindi aumentando non solo le bollette ma anche il numero di "distacchi" dal servizio idrico. Si tratta di famiglie povere e senza reddito, che restano senza accesso all'acqua potabile perché non sono in grado di pagare bollette spesso esose. Come ho ribadito nell'audizione al Parlamento Europeo, non può essere la povertà un motivo per essere esclusi dall'accesso all'acqua: i diritti umani devono avere la precedenza sui profitti delle multinazionali, pena la barbarie.

L'acqua sta diventando una commodity come il petrolio. Qual è la situazione attuale della privatizzazione e della speculazione di questo bene in Europa e nello specifico, in Unione Europea?

Nella stragrande parte del mondo le gestioni del servizio idrico sono pubbliche e in paesi come la Svizzera o l'Olanda nessuno si sognerebbe di proporne la privatizzazione, chi lo facesse verrebbe visto come un marziano o più probabilmente come un saccheggiatore. All'interno dei paesi UE restano ampiamente prevalenti le gestioni pubbliche e negli ultimi anni si è anzi prodotto un ripensamento e un'inversione di rotta là dove era stata decisa la privatizzazione: i casi di Parigi e Berlino sono assolutamente eclatanti, due città simbolo che hanno deciso e attuato la rimunicipalizzazione dopo i disastri della gestione privata. Ma la pressione delle multinazionali del settore e dei grandi gruppi economico-finanziari per privatizzare i servizi essenziali, a partire dal servizio idrico, restano enormi. Si tratta infatti di servizi essenziali, a domanda anelastica, gestiti necessariamente in regime di monopolio naturale, insomma, il terreno ideale per fare profitti garantiti e per ottenere rendite parassitarie. A maggior ragione in epoca di crisi gli speculatori vedono nell'acqua non un diritto umano ma l'occasione per fare immensi profitti.

Qual'è stata la linea politica/programmatica che le istituzioni europee hanno adottato a proposito delle legislazioni nazionali concernenti il bene “acqua” prima della vostra iniziativa?

Sotto il profilo formale, fin dal trattato di Roma, nell'UE vige il principio di neutralità rispetto alla natura pubblica o privata dei gestori dei servizi idrici, questione perciò demandata agli stati membri. Ma sostanzialmente la situazione è ben diversa. Fiscal compact, austerità, patti di stabilità, si traducono di fatto in tagli e in costanti pressioni sugli stati e sugli enti locali con lo scopo di spingerli a privatizzare i loro "tesori" e i servizi essenziali, per fare cassa. Come se non bastasse, la troika sta obbligando gli stati che necessitano dei così detti fondi salva-stati a privatizzare o, come viene detto, a "liberalizzare" il settore: si obbligano cioè paesi come la Grecia e il Portogallo a svendere i servizi idrici alle multinazionali come "condizione" per ottenere i prestiti. La nostra ICE si propone di impedire questo ricatto, quindi di stabilire nero su bianco che in nessun modo, diretto o indiretto, la Commissione può promuovere la "liberalizzazione" dei servizi idrici. Lo ripeto, qui si tratta della vita di tutti e non dei profitti di pochi.

Cosa vi aspettate adesso dalla Commissione? Cos'è che deve cambiare nella legislazione  europea affinché l’acqua resti un diritto umano?

Attraverso una specifica iniziativa legislativa ad hoc o attraverso opportune ed esplicite integrazioni all'attuale normativa chiediamo e ci aspettiamo 1) che le istituzioni europee e gli stati membri si assumano l'obbligo di assicurare a tutti gli abitanti il diritto all'acqua potabile e ai servizi igienico sanitari, in modo che nessuno possa essere escluso per alcun motivo (compresi, ovviamente, i motivi di censo); 2) che la gestione dei servizi idrici non sia soggetta alle regole del mercato interno e sia esclusa dai processi di liberalizzazione, per le ragioni che ho appena ricordato; 3) che l'Unione Europea moltiplichi i propri sforzi affinché«Una specifica iniziativa legislativa ad hoc o attraverso opportune ed esplicite integrazioni all'attuale normativa  questo sia un diritto globale universale, rendendo l'accesso universale all'acqua potabile ai servizi sanitari parte integrante delle politiche europee di sviluppo e cooperazione e promuovendo i partenariati pubblico-pubblico. Da tutto ciò discendono specifici e precisi obblighi e indirizzi. A titolo d'esempio: l'acqua e i servizi sanitari non devono in alcun modo essere inclusi all'interno dei trattati di libero commercio.

A circa tre anni dal referendum sull'acqua pubblica, dove il 54% degli elettori italiani scelse di votare contro la privatizzazione del sistema idrico, si è fatto molto poco. Questa iniziativa europea potrebbe avere effetti positivi e far sì che il legislatore prenda atto delle scelta degli elettori?

Per la verità il legislatore italiano non dovrebbe attendere alcunché. Da tempo avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto e a rispettare la volontà espressa dal popolo sovrano nel referendum 2011: è semplicemente scandaloso che questo non sia ancora avvenuto, si tratta di una ferita grave per la democrazia. Come la Corte Costituzionale ha chiarito limpidamente, il referendum ha prodotto una normativa di risulta autoapplicativa il cui effetto è l'eliminazione immediata di qualsiasi profitto per i gestori dei servizi idrici. Punto. Tutto il resto è un intollerabile tentativo di aggirare l'esito referendario, a partire dalla nuova tariffa AEEG (Autorità Energia elettrica del gas). Naturalmente l'ICE sull'acqua va nella medesima direzione del referendum, chiedendo che al centro dell'Europa e delle politiche dell'acqua ci siano i diritti e non il mercato.

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