C’è l’accordo. Anzi, no. Le trattative continuano. A oltre una settimana dalle elezioni, la Grecia non è ancora riuscita a mettere in piedi un nuovo governo in grado di onorare le promesse d’austerità fatte all’Europa. E il teatrino andato in scena domenica dimostra come nella politica ellenica la vera forza dominante sia il caos. Al quarto tentativo in sette giorni, i leader dei partiti maggiori sono stati convocati d’urgenza dal presidente della Repubblica, Karolos Papoulias, per cercare un accordo in extremis.
Nel primo pomeriggio sembrava fatta: Alexis Tsipras, leader del partito di estrema sinistra Syriza, ha annunciato l’intesa per un esecutivo biennale fra i conservatori di Nuova Democrazia, i socialisti del Pasok e i filoeuropei di Sinistra Democratica (Dimar). “Io non posso accettare quello che considero un errore”, ha precisato tirandosi fuori.
Peccato che a stretto giro sia arrivato un duro comunicato di smentita. Dimar ha definito “menzogne diffamatorie” le parole del leader radicale, ribadendo che appoggerebbe un nuovo governo solo a due condizioni: la cancellazione delle leggi che riducono il salario minimo garantito e facilitano i licenziamenti e la profonda revisione degli accordi presi con Ue e Fmi.
Niente da fare, il valzer dei negoziati non si ferma. E così diventa sempre più concreta la possibilità che i cittadini greci siano chiamati nuovamente al voto il mese prossimo. Negli ultimi giorni la tensione è tornata a salire – sui mercati come nelle cancellerie – proprio per il timore che il governo nato da nuove elezioni possa trascinare il Paese fuori dall’eurozona e quindi, inevitabilmente, al default totale e incontrollato.
Se Nuova Democrazia, Pasok e Dimar si alleassero, sommando i loro attuali seggi arriverebbero a quota 168, sufficiente per ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento. In ogni caso anche questa strana alleanza non cancellerebbe affatto le enormi incertezze legate alla situazione politica greca. Anzi, viene da chiedersi quale credibilità potrebbe avere un governo nato dalla disperazione più che da un vero accordo elettorale.
Il nuovo Esecutivo avrebbe un solo punto in agenda: mettere in pratica la macelleria sociale imposta da Bruxelles e ottenere in cambio i 130 miliardi di aiuti internazionali concordati con Ue e Fmi. Si tratterebbe semplicemente di approvare le riforme progettate e scritte da qualcun altro, abdicando totalmente a qualsiasi principio di autonomia, sovranità e rappresentanza dei cittadini. Sulla carta non sembra una missione impossibile, ma ad oggi qualsiasi accordo – ammesso che arrivi – lascerebbe forti dubbi sulle capacità di tenuta dell’Esecutivo.
Alle elezioni della settimana scorsa il risultato era stato più che contraddittorio. Nuova Democrazia e Pasok, i due partiti maggiori e primi interlocutori dell’Europa, si erano fermati a 149 seggi, appena due in meno rispetto alla soglia di maggioranza assoluta. Questo il verdetto delle urne: primi i conservatori di Antonis Samaras, secondi i radicali di Tsipras, terzi i socialisti di Evangelos Venizelos.
Ad appena tre ore dalla fine degli scrutini, il leader del partito vincitore aveva rinunciato a creare una maggioranza di governo. Il secondo classificato aveva impiegato più tempo, ma alla fine era giunto alla stessa conclusione. Si era poi diffusa la speranza che Venizelos potesse riuscire nell’impresa: il socialista aveva incassato l’ok di Sinistra Democratica, ma solo a patto che dell’esecutivo facesse parte anche Syriza. I radicali di Tsipras avevano però negato il loro appoggio a qualsiasi governo che intendesse proseguire sulla strada del piano di salvataggio chiesto dalla troika (Ue, Bce, Fmi). Ennesimo fallimento.
Martedì 15 maggio è fallito l'ultimo tentativo del presidente Papoulias di formare un governo. I leader dei partiti politici ricevuti dal capo dello Stato hanno spiegato che saranno convocate nuove elezioni, così come confermato dall'ufficio del presidente. Domani nuova riunione per la nomina di un esecutivo facente funzione. Lagarde, Presidente FMI: ''Possibile uscita ordinata dall'euro''.
Il riferimento e' alla coalizione della sinistra radicale Syriza, superfavorita in caso di nuove elezioni e che si e' rifiutata di entrare in un governo di coalizione. Il numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde non esclude la possibilita' di un'uscita ordinata della Grecia dall'euro. "Se gli impegni di bilancio - spiega la Lagarde - non dovessero essere onorati, si possono pensare a delle appropriate revisioni, il che significa sia finanziamenti supplementari, sia piu' tempo e un ulteriore meccanismo di uscita, che in questo caso potrebbe configurarsi come un'uscita ordinata".
Continua dicendo che un' ''uscita ordinata'' della Grecia dall'euro ''sarebbe straordinariamente costosa e presenterebbe dei grandi rischi, ma fa parte delle opzioni che siamo obbligati a considerare tecnicamente''.
Sta ai partiti decidere quale strada seguire: rimanere nell’eurozona e affamare i cittadini per imposizione altrui o affrontare l’inferno per poter decidere in autonomia la propria politica monetaria e in prospettiva (forse) rilanciare il Paese. Ieri il tentativo di mediazione da parte del presidente Papoulias ha regalato qualche ora di speranza ai greci che non vogliono tornare alla dracma. Poi però è stato ancora una volta il caos a prevalere. La porta per uscire dall’eurozona rimane aperta.
Ricordo inoltre le previsioni del Premio Nobel dell'Economia Paul Krugman: se non si cambia rotta, in un mese la Grecia sarà fuori dall’euro e le conseguenze si avvertiranno subito in Italia con la fuga di capitali, per cui le banche dovranno decretare il blocco dei conti correnti, limitando i prelievi quotidiani, come successe in Argentina nel 2001.
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