Déjà vu. Nel 2007 fu l'immobiliare. Ora sarà il petrolio a scatenare crisi finanziaria mondiale?

Allarme default. JP Morgan: "Se i prezzi del petrolio rimarranno a $65 per tre anni, a rischio il 40% junk bond emessi dalle società energetiche".

NEW YORK (WSI) - Il collasso del petrolio potrebbe innescare una nuova crisi finanziaria? Secondo Nick Cunningham di OilPrice.com, l'interrogativo è quanto mai attuale. D'altronde, come afferma lo strategist Marc Chandler, il settore energetico sta soffrendo il suo Minsky's moment ("momento di Minsky") e dunque, le ripercussioni a suo avviso ci saranno, anche se a essere colpito non sarà il mercato azionario, ma quello dei bond high yield, caratterizzati da rendimenti elevati (e dunque strumenti finanziari più rischiosi).

40% junk bond emessi dalle società energetiche".
Vale la pena ricordare che Hyman Minsky è un economista le cui teorie, sei anni fa, vennero utilizzate per spiegare il tonfo dei prezzi sul mercato immobiliare, e i suoi effetti. La descrizione "Minsky's moment" era stata comunque coniata anni prima, nel 1998, da Paul McCulley, economista di Pimco. Le due parole si riferiscono a quel momento in cui un periodo di rapida crescita e di propensione al rischio si traduce improvvisamente in una inversione, che sfocia in una crisi. 
Per Chandler, responsabile globale della divisione di strategia per i mercati presso Brown Brothers Harriman, lo scenario si adatta esattamente a quello che sta accadendo sul mercato del petrolio. 

"In molti due anni fa, ma anche un anno fa, dicevano che i prezzi del petrolio avrebbero potuto solo salire. 'Siamo al picco', dicevano, facendo riferimento anche alla conseguente possibile scarsità della materia prima. Così come era successo con i prezzi delle case: 'Possono solo salire', avevano detto. Dunque, vista la profonda convinzione, si iniziò a ricorrere al debito (scommettendo sulla garanzia rappresentata dal petrolio)".

Il risultato è che il settore energetico Usa si è indebitato per $90 miliardi nel mercato delle obbligazioni a elevati rendimenti nel corso degli ultimi tre anni, fa notare Chandler, rendendo i produttori energetici "una grande componente del mercato high-yield". 

Il problema è che "molti prestiti, così come era accaduto con le case, non sono stati erogati tenendo tanto in considerazione la capacità del debitore di rimborsare la somma (il noto merito creditizio). Così come le banche e gli investitori non hanno acquistato i bond high yield (emessi dai gruppi energetici) fidandosi della capacità del debitore di ripagare il dovuto". L'erogazione è avvenuta tenendo conto solo del "valore del petrolio", così come era accaduto in precedenza quando i prestiti erano stati erogati sulla base del "valore dell'immobile". 

E ora le conseguenze saranno da effetto domino. Chandler parla del fatto che per le aziende che si sono indebitate, il tallone d'Achille è rappresentato dal fatto che nessuna di esse riceverà più i cosiddetti "prestiti facili". Sempre se le aziende stesse riusciranno a rimborsare quanto dovuto. Perchè altrimenti, sicuramente non avranno un futuro.

Stesso discorso di Nick Cunningham, che ricorda come il boom petrolifero e di gas naturale, negli Stati Uniti, sia "stato reso possibile grazie ai notevoli crediti che sono stati concessi alle società di trivellazione".

E "i finanziamenti non sono arrivati solo dagli azionisti e dalle banche tradizionali, visto che centinaia di miliardi di dollari" si sono riversati sul mercato dei "junk bond". Molte società di trivellazione hanno deciso di emettere obbligazioni junk, quindi spazzatura, nella speranza di vedere i bond sottoscritti da investitori con alta propensione al rischio e alla ricerca di elevati rendimenti. E questi investitori hanno risposto, finanziando anche le operazioni di "fracking" per l'estrazione del gas di scisto.

Tutti hanno continuato a scommettere sul rialzo infinito dei prezzi del petrolio. Scommesse nuovamente rischiose, troppo rischiose, come mostra ora il mercato dei junk bond nel settore energetico, che ha raggiunto la cifra astronomica di $210 miliardi, il 16% circa dell'intero valore del mercato delle obbligazioni spazzatura, che secondo i calcoli è di $1,3 trilioni ($1.300 miliardi). Una percentuale notevole, se si considera che il debito energetico junk era appena del 4% dieci anni fa". E ora?

"Se i prezzi del petrolio rimarranno a $65 per tre anni, il 40% di tutti i junk bond emessi dalle società energetiche potrebbero fare default, stando a una stima recente di JP Morgan) . Nel frattempo, le società energetiche - non essendo riuscite a onorare i debiti - inizierebbero a incontrare diversi ostacoli nell'accesso al credito. La conseguenza sarebbe una serie di chiusure e fallimenti. 

Lo scenario di JP Morgan è contemplato nel lungo termine ed è incerto. Detto questo, il Financial Times riporta che un terzo di obbligazioni emesse dalle società energetiche è in condizioni "distressed", quindi in pericolo di non essere rimborsate.

La domanda dunque è d'obbligo: i problemi dell'industria petrolifera potrebbero innescare una crisi finanziaria? Non dimentichiamo che ci sono diverse banche e istituzioni finanziarie che potrebbero avere ancora una esposizione eccessiva verso il debito emesso dal settore energetico. E lo stesso Andcrew Critchlow, in un articolo pubblicato giorni fa sul TelegraphTelegraph, ha scritto: "In base a recenti stress test effettuati su società subprime del settore energetico degli Stati Uniti da Deutsche Bank, se il prezzo del petrolio WTI dovesse scendere a $60, ci potrebbe essere un rischio di default fino a 30% per i titoli obbligazionari Usa con rating B e CCC emessi dai gruppi energetici". Oleg Melentyev e Daniel Sorid, analisi di Deutsche Bank, hanno scritto. "Uno shock di tale portata potrebbe essere sufficiente a scatenare un ciclo di default molto più ampio nel mercato high-yield". 

E d'altronde lo stesso GEAB ha avvertito, considerando anche il tonfo dei petrodollari: "Tutti questi fattori stanno convergendo verso uno shock dei mercati petroliferi nei prossimi due anni. I tempi saranno duri per le società energetiche. Dal momento che queste rappresentano una quota significativa della capitalizzazione del mercato azionario globale, l'effetto domino sugli indici azionari e sull'economia non si farà attendere. I mercati finanziari potrebbero essere colpiti da un enorme shock nel 2015, che questa volta non sarà da addebitare alle banche, ma all'industria petrolifera". (Lna)


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