«L’era della chimica sta accelerando e scombinando l’evoluzione»: l’allarme di Emily Monosson, biochimica e tossicologaEmily Monosson lo scrive nel suo ultimo libro, “Unnatural selection”:«Dobbiamo comprendere
quanto sia importante ridurre l’impatto della chimica sulla vita prima che sia troppo tardi». Pensiamo alla crescente antibiotico-resistenza, gli erbicidi e pesticidi che hanno creato piante e animali resistenti, agli organismi geneticamente modificati, agli insetti che mutano per sopravvivere alle sostanze chimiche tossiche. «È un’evoluzione velocissima che sta accadendo sotto i nostri occhi» dice Monosson.
quanto sia importante ridurre l’impatto della chimica sulla vita prima che sia troppo tardi». Pensiamo alla crescente antibiotico-resistenza, gli erbicidi e pesticidi che hanno creato piante e animali resistenti, agli organismi geneticamente modificati, agli insetti che mutano per sopravvivere alle sostanze chimiche tossiche. «È un’evoluzione velocissima che sta accadendo sotto i nostri occhi» dice Monosson.
Nel suo libro “Unnatural selection” la
Monosson spiega gli innumerevoli modi in cui la chimica sta cambiando
la vita e, cosa più importante, cosa possiamo fare per rallentare questo
processo. Parte della sfida sta proprio nel comprendere che questa
evoluzione sta accadendo sotto i nostri occhi. Monosson parla molto
chiaramente (ringraziamo per l’intervista Lindsay Abrams di Salon.com e
produttrice per The Atlantic's Health Channel).
Lei pare si riferisca all’evoluzione come a qualcosa di differente da quanto siamo abitutati a pensare.
«Non sono proprio certa di questo.
Per definizione l’evoluzione è una modificazione genetica in una
popolazione nel tempo. La differenza sta probabilmente nel fatto che noi
spesso pensiamo che sia qualcosa che accade nel lungo periodo o che
coinvolga caratteristiche evidenti. Quella si chiama macroevoluzione,
cioè grandi cambiamenti. Quello di cui io parlo si chiama
microevoluzione, cambiamenti piccoli. Si tratta di modifiche che
normalmente sarebbero difficili da vedere e che potremmo non notare, la
modifica in un enzima o in una proteina, ma siccome poi si ripercuotono
su organismi che manifestano resistenze che di conseguenza influiscono
sulla vita dell’uomo, allora ce ne accorgiamo. Più guardiamo a fondo e
più vediamo».
Quanto tempo è passato da
quando l’uomo ha iniziato a causare questi effetti sugli altri organismi
a quando ha cominciato a rendersi conto delle implicazioni di ciò che
aveva fatto e stava facendo?
«Se dovessi dire quando l’uomo ha
iniziato a influire così pesantemente su ciò che lo circonda, direi da
quando è diventato dominante e ha messo mano alla natura sconvolgendola.
Ma io mi concentro su come il nostro uso della chimica ha influenzato
l’evoluzione e questa influenza è iniziata probabilmente quando l’uomo
ha cominciato ad utilizzare in maniera massiccia i prodotti chimici
scaricandoli nell’ambiente, quindi con la rivoluzione industriale e
chimica. Stiamo uccidendo esseri viventi e ambienti con la chimica e le
specie che riescono ad evolvere rapidamente per salvarsi lo fanno. Negli
anni ’40 del secolo scorso, o forse anche prima, abbiamo iniziato a
renderci conto che un eccesso di chimica poteva influenzare l’evoluzione
e causare resistenza. Quando Alexander Fleming scoprì la penicillina,
si propose di metterla in ogni tipo di prodotto destinato al consumo,
dalle creme vaginali ai dentifrici ma ci si fermò in tempo. Quando
ritirò il premio Nobel disse che se si fosse andati su quella strada, la
penicillina avrebbe perduto ogni effetto, poiché i batteri sarebbero
mutati divenendo resistenti. Noi oggi gli antibiotici li stiamo usando
così, senza criterio».
Vuole darci un’idea reale dei problemi che stiamo affrontando oggi, dall’antibiotico-resistenza al riemergere di super-insetti?
Il problema della resistenza agli
antibiotici era stato riportato già negli anni ’50 e ’60, ma all’epoca
gli studi vennero accolti con incredulità. I contadini stanno lottando
con la resistenza di piante e insetti ai pesticidi ormai da molto tempo,
eppure continuano ad usare sempre più prodotti chimici. Insomma, pare
quasi che accettiamo tutto questo come se fosse inevitabile senza
pensare minimamente a ciò che possiamo fare per cambiare la situazione.
Forse perché non abbiamo mai pensato a questi accadimenti come a una
evoluzione in atto e non vogliamo accettare di avere modificato così
profondamente ciò che ci sta intorno. Se lo facessimo, allora capiremmo
quanto importante sia ridurre l’impatto della chimica sulla vita. Penso
spesso a questa attitudine che abbiamo, cioè noi pensiamo che la
tecnologia ci salverà. È come credere che la panacea sia dietro
l’angolo, che arriverà con il prossimo fattorino, che ci sarà un
pesticida più efficace o un antibiotico più potente. Ma non ci rendiamo
conto che le rapide modifiche che si verificano coinvolgono tutti i tipi
di organismi, sono pervasive e arrivano dovunque. Io non credo che la
tecnologia possa salvarci e non possiamo continuare a cercare una sempre
nuova sostanza chimica poiché continueremo, così, a moltiplicare i
problemi. Dobbiamo veramente cambiare il nostro modo di pensare e di
agire».
Il problema
dell’antibiotico-resistenza è pervasivo ad esempio anche negli
allevamenti intensivi, con conseguenze pesanti per la salute umana.
«Sì e credo che si
stia comprendendo l’enormità del problema. Ciò che dobbiamo fare e
vincere la forza d’inerzia e agire. Quando si parla di allevamenti so
che è difficile, ma occorre prendere in considerazione altre strade».
Alcuni degli esempi che lei fa nel libro sembrano quasi appartenere alla fiction.
«L’evoluzione velocissima che si sta
verificano coinvolge esseri viventi che si moltiplicano con grande
rapidità, la gente non pensa a questo. Stanno mutando per resistere
all’inquinamento e alle contaminazioni. Il problema è che pesticidi e
antibiotici hanno un target specifico: insetti o batteri che si sta
cercando di eliminare e che sviluppano resistenza. Ma quando si parla di
PCB o diossina, il target è molto più ampio e la pressione selettiva
comincia a riguardare anche altri esseri viventi, come pesci e
vertebrati. C’è anche chi pensa che il gene della resistenza possa già
essere presente nel corredo genetico di determinate popolazioni di
esseri viventi e viene selezionato e “innescato” quando quella
popolazione entra in contatto con sostanze che ne richiedono
l’attivazione». Purtroppo si sa ben poco di cosa accade. «Pensiamo al
cancro; le cellule cancerose non sono tutti cloni di una cellula
anomala, hanno il loro corso evolutivo, sono differenti tra loro e
possono manifestare resistenza ai farmaci. Il problema si pone quando si
trattano queste cellule con un farmaco, poiché si innesca la selezione
di chi ha il gene della resistenza».
Quali soluzioni sono dunque possibili?
«Innanzi tutto occorre iniziare a
usare quantità molto minori di sostanze chimiche, in questo modo si
riduce la pressione selettiva sulla vita. Poi occorrerebbe usarle in
modo differente. In agricoltura esiste la lotta integrata, per gli
antibiotici si può mettere in atto la prevenzione. Inoltre occorre usare
sostanze specifiche per specifici target. Si possono utilizzare di più i
test che individuano il patogeno e quando si tratta di malattie
batteriche sugli esseri umani, bisognerebbe ridurre gli antibiotici ad
ampio spettro soprattutto negli ospedali, aumentando l’igiene. Poi,
bisogna fare di più sul fronte della prevenzione».
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