di LUCA FUSARI
L’Islanda chiude la porta a Bruxelles e ad ogni ipotesi di suo ingresso all’interno dell’Ue. Il ministero degli esteri di Reykjavik lo ha comunicato Giovedì 22 Agosto dopo aver ricevuto il parere dei propri consulenti costituzionali circa l’assenza di ogni formale vincolo da rispettare da parte del nuovo esecutivo rispetto al precedente voto parlamentare del 2009, il quale aveva avviato i negoziati di adesione.
«Dopo aver ricevuto tale parere il ministro degli esteri ha deciso di considerare sciolto il comitato per la negoziazione», ha dichiarato il ministero in un comunicato, citato dall’agenzia di stampa AFP.
«Dopo aver ricevuto tale parere il ministro degli esteri ha deciso di considerare sciolto il comitato per la negoziazione», ha dichiarato il ministero in un comunicato, citato dall’agenzia di stampa AFP.
Tale decisione è l’inevitabile esito conseguente al nuovo corso euroscettico dell’isola, determinatosi alle recenti elezioni legislative, svoltesi lo scorso 27 Aprile, le quali hanno visto la più grande sconfitta alle urne di un partito di governo uscente dal 1944, ovvero da quando l’Islanda è indipendente dalla Danimarca. Come riporta il sito EurActiv citando Alp Mehmet, ex ambasciatore britannico in Islanda tra il 2004 e il 2008, attento ed interessato osservatore di quanto avvenuto a Reykjavik, «la verità è che il processo di adesione si è concluso dal momento che è apparso chiaro quali partiti andavano a formare l’attuale coalizione dopo le elezioni di primavera».
Il pesante crollo della coalizione europeista dei socialdemocratici e della sinistra Verde, e la netta affermazione della coalizione di centro-destra formata dal Partito Progressista e dal Partito dell’Indipendenza, ha visto la vittoria di un programma politico basato su tagli fiscali, riduzione del debito pubblico e la sospensione di ogni negoziato d’adesione all’Ue.
L’esito delle urne è stato un forte segnale di malcontento lanciato dagli elettori in opposizione all’Ue e a seguito dell’adozione delle misure di austerità e rigore, prese dalla coalizione uscente di governo, su raccomandazione del Fondo Monetario Internazionale, dopo aver ricevuto da esso un prestito da 1,6 miliardi di euro tra il 2008 e il 2011, il quale ha permesso il superamento della crisi con un tasso di disoccupazione sotto al 5% (dal 9% del 2010) ed una crescita nel 2012 del +1,6%, al netto dell’impopolarità.
Il 38 enne Sigmundur Gunnlaugsson, dal 23 Maggio è il più giovane capo di governo democraticamente eletto nel mondo. Egli è leader dal 2009 del Partito del Progresso, d’ispirazione liberale centrista, il quale trae gran parte del suo sostegno da contadini e pescatori, un target elettorale, importante per l’economia dell’Islanda, il quale si oppone alle rigide disposizioni comunitarie concernenti la politica delle quote sulla pesca e l’agricoltura.
La Commissione Ue reputa infatti che l’Islanda peschi eccessivamente e che l’isola dovrebbe accettare le rigide quote europee, al fine di non eccedere nei quantitativi di prodotti ittici esportati nel resto del mercato comune. Nonostante la minaccia di sanzioni da parte del commissario europeo per la pesca e gli affari marittimi, la greca Maria Damanaki, l’isola ha di recente aumentato unilateralmente la sua quota di sgombri pescati, asserendo che la mossa sarebbe giustificata dalla migrazione dei banchi di pesce più a Nord come conseguenza del riscaldamento dei mari.
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Reykjavik ritiene che Bruxelles non abbia la competenza per affrontare il tema della pesca, suggerendo alla seconda migliori proposte di sostenibilità a riguardo. «Vogliamo aiutare l’Unione europea a raggiungere risultati simili ai nostri, per quanto riguarda le loro risorse ittiche. Se l’Ue conserva i loro stock di pesci nello stesso modo come facciamo noi, il valore della pesca europea aumenterebbe sensibilmente», ha pungentemente dichiarato Gunnlaugsson.
Recentemente, l’Islanda ha sostenuto le isole Far Oer nella loro analoga battaglia contro le quote sulla pesca dell’Ue. Per Mehmet, «mentre la controversia sugli sgombri è una ferita aperta tra l’Islanda e l’Ue, vi è anche la convinzione generale che l’Unione europea non sia semplicemente sul pesce dell’Islanda e sulle abbondanti risorse energetiche naturali. Naturalmente l’opinione diffusa ritiene che l’adesione potrebbe costituire una minaccia per la lingua islandese e la sua identità culturale. La spinosa questione della caccia alle balene è strettamente legata a un certo numero di questi problemi».
Già lo scorso mese di Maggio, il nuovo governo dell’isola aveva annunciato una prima battuta d’arresto sui suoi negoziati europei di adesione all’Ue, fino a quando gli islandesi non avrebbero votato un referendum indetto entro i prossimi quattro anni. Tale posticipante decisione (peraltro su base democratica facendo appello alla volontà del popolo), ha visto la reazione indisponente della Commissione Europea, la quale è nettamente contraria a un prolungamento ulteriore dei tempi del negoziato.
Neppure la recente visita, dello scorso 16 Luglio, a Bruxelles da parte del premier Gunnlaugsson è servita a stemperare gli animi degli eurocrati. José Manuel Barroso lo ha redarguito circa la necessità di decidere «senza ulteriori ritardi» affinché fosse chiara l’intenzione nel continuare i negoziati di adesione o se abbandonare il progetto di adesione. «Siamo ansiosi di maggior chiarezza sulla validità della domanda d’adesione dell’Islanda, dopo la valutazione parlamentare sull’adesione all’Ue che si terrà quest’autunno. E’ nell’interesse dell’Unione europea e dell’Islanda che la decisione venga presa sulla base di un’adeguata riflessione e in modo obiettivo e sereno. Il tempo passa ed è interesse comune di tutti noi che questa decisione venga presa senza ulteriori ritardi. Ci auguriamo che questo dibattito in Islanda ci fornirà indicazioni chiare sulla strada da seguire», ha dichiarato il presidente della Commissione europea.
Appare del tutto evidente come tale atteggiamento spocchioso non sia piaciuto agli euroscettici islandesi, i quali hanno preso la palla al balzo per dare una inequivocabile risposta a riguardo, attraverso lo scioglimento del Comitato. Come rileva sempre Mehmet, «il voto dell’Althing del 2009 non ha mai avuto alcun valore legale e non vincola i governi futuri o i parlamenti ai negoziati d’adesione, questo non richiede esperti costituzionali per una sua conclusione».
La decisione dell’Islanda di fermare i negoziati di adesione è uno schiaffo alla superbia dei funzionari di Bruxelles, i quali galvanizzati dalla recente adesione della Croazia, supponevano che la questione dell’adesione all’Unione europea da parte della restia Islanda potesse divenire se non una formalità, certamente un’offerta difficilmente rifiutabile, specie da parte di un Paese che era già da tempo in un percorso preliminare in vista della sua adesione.
Negli anni scorsi Reykjavik aveva già recepito gran parte della legislazione comunitaria, come membro dello Spazio Economico Europeo (SEE), chiedendo formalmente l’adesione all’Ue il 16 Luglio 2009, ed iniziando i negoziati di adesione l’anno dopo (nonostante già allora il 60% degli islandesi fosse contrario ad un’adesione all’Ue), i quali al di là del loro esito, hanno occupato molto più tempo di qualsiasi altro Paese candidato per giungere ad una loro conclusione.
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In tale abbandono dei negoziati, non mancano i calcoli politici e i mutamenti d’opinione da parte della coalizione islandese di governo, la quale grazie a Gunnlaugsson (a sinistra nella foto con Barroso), sembra ora assai più propensa a smarcarsi dai precedenti esecutivi e dalle precedenti linee politiche interne e comunitarie, intendendo invece incarnare il largo euroscetticismo presente tra la popolazione.
Come l’ex diplomatico britannico fa notare maliziosamente, «è ironico che Halldor Asgrimsson, ex ministro della pesca, ex ministro degli esteri ed ex primo ministro e leader del Partito Progressista, quando erano in minoranza nella coalizione con il Partito dell’Indipendenza, vedevano l’adesione all’Ue come qualcosa non solo auspicabile ma inevitabile. Thorsteinn Palsson, altro ex ministro della pesca, ex primo ministro e leader del Partito dell’Indipendenza, ora ambasciatore con esperienze nel Regno Unito e in Danimarca, da quando ha lasciato la politica attiva, è del parere che gli interessi dell’Islanda sarebbero meglio serviti dall’adesione all’Ue».
Bruxelles sperava che la passata bancarotta degli istituti di credito islandesi (a causa del denaro preso in prestito a buon mercato attirando risparmiatori inglesi ed olandesi grazie a rendimenti elevati, in analogia con il caso cipriota) potesse indurre gli islandesi ad affidarsi alle autorità centrali europee. Invece come rileva l’ex ambasciatore di Sua Maestà sull’isola, «la decisione di fermare il processo è di natura politica anche se sostenuta dalla maggioranza degli islandesi, i quali per una serie di motivi sono particolarmente refrattari verso l’Ue in questo momento. Essi risentono particolarmente del ruolo dell’Ue nel crollo delle banche del 2008 e per la questione Icesave».
L’Islanda, anche a fronte della crisi economica e dei debiti sovrani di vari Paesi dell’Unione, ha preferito non entrare in una struttura sovranazionale la quale oltre a porre regolamentazioni politico-economiche ritenute onerose, liberticide e contrarie all’interesse nazionale, non offre garanzie di stabilità e di sua durata.
Resta una sola incognita, questa decisione politica presa del governo oltre a rendere inutile la prevista discussione autunnale all’Althing sull’adesione, potrebbe annullare l’indizione della consultazione referendaria, precedentemente prevista tra 4 anni. Come infatti rileva Mehmet, «ora sembra improbabile che il popolo islandese abbia l‘opportunità di valutare da sé i vantaggi e gli svantaggi di un’adesione all’Ue e decidere se aderire o meno».
Dati i tempi di un’eventuale sua indizione, molto dipenderà anche dai sondaggi sull’operato dell’esecutivo in vista di una sua riconferma. Se i giudizi saranno positivi, tenendo presente l’alto euroscetticismo presso la popolazione, questo potrebbe indurre Gunnlaugsson a lasciare l’ultima parola sulla questione dell’adesione all’Ue agli elettori islandesi; sicuro che un netto no uscente dalle urne blinderebbe e legittimerebbe la decisione già presa dall’attuale suo esecutivo, bloccando per lungo tempo ogni possibile contromossa e replica da parte del fronte europeista delle sinistre.
1 commento:
Ha fatto benissimo, a mio parere, ma comunque potrebbe essere la lava dei suoi numerosi vulcani potentissimi a metterla in ginocchio, dato che la terra trema ovunque.
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