E adesso scopriamo che la Sicilia è l' isola degli tsunami. Non che sia una novità assoluta, ma uno studio ancora inedito di alcuni ricercatori dell' Università di Catania testimonia che il rischio maremoto è probabilmente molto più elevato di quanto si sia pensato finora.
Uno studio che dovrebbe proseguire nei prossimi anni, ma che è a forte rischio a causa dei tagli alla ricerca. Un rischio elevato che coinvolge tutti i versanti dell' Isola,a partire da quello orientale, seguito da quello settentrionalee infine dal meridionale. Basti pensare che il catalogo degli tsunami in Italia, pubblicato dall' Istituto Nazionale di Geofisicae Vulcanologia (Ingv), riporta 71 eventi avvenuti negli ultimi 900 anni. Ebbene, di questi 71, ben E 25 riguardano la Sicilia. Tutti i versanti sono stati colpiti da maremoti più o meno gravi, in questi 9 secoli, da Messina a Palermo, da Cataniaa Siracusa, da Cefalù a Sciacca. Nuove, clamorose, scoperte sono state fatte di recente da un gruppo di ricercatori guidato da Maria Serafina Barbano, docente di geofisica all' Università di Catania,e da Paolo Marco De Martini dell' Ingv di Roma. Il team ha condotto uno studio sul campo, facendo buchi lungo oltre 200 chilometri di costa, da Capo Peloro a Capo Passero alla ricerca di testimonianze fisiche degli tsunami che si sono abbattuti sulla costa orientale della Sicilia. E le hanno trovate, le testimonianze. Anzi hanno trovato evidenze che dimostrano la sottovalutazione del rischio dovuta alla conoscenza quasi esclusivamente storica degli tsunami che hanno colpito l' isola. In sostanza, i racconti dei contemporanei sugli eventi avvenuti nel corso del tempo, sono lacunosi e spesso imprecisi per difetto nella valutazione degli effetti dei maremoti. Sottovalutazione comprensibile, se pensiamo alle condizioni di vita, alla densità di popolazione, alle conoscenze scientifiche e alle capacità di comunicazione dei siciliani nei secoli passati. Utilizzando diverse metodologie, come la paleosismologia e la datazione dei materiali, il team ha scoperto, per esempio, che la Sicilia è stata pesantemente coinvolta in uno dei terremoti più forti mai registrati nel Mediterraneo. Si tratta del terremoto che avvenne nel mare di Creta il 21 luglio del 365, stimato di magnitudo 8.3-8.5 sulla scala Richter (quello del marzo scorso in Giappone è stato stimato 8.9). Lo tsunami generato dal sisma devastò le coste della Sicilia, della Dalmazia, della Grecia, della Libia e dell' intero Medio oriente, e contribuì, secondo alcuni storici, al crollo dell' impero romano. La scossa fu talmente violenta che fece alzare istantaneamente di circa 10 metri la costa occidentale di Creta, tanto che un porto si ritrovòa oltre sei metri dal pelo dell' acqua. Le disastrose conseguenze del terremotoe dello tsunami che seguì furono descritte dallo storico romano Ammiano Marcellino, che quel giorno si trovava ad Alessandria d' Egitto. Quel giorno passò alla storia come il "giorno dell' orrore". Racconta Marcellino che il mare prima si ritirò profondamente e moltissimi pesci poterono essere presi con le mani, poi improvvisamente una enorme onda travolse tutto uccidendo migliaia di persone e trascinando le navi per due miglia nell' entroterra. I morti furono stimati in 50 mila. Il devastante tsunami dunque raggiunse le coste della Sicilia, e nel Pantano Morghella, nell' estrema parte sud dell' Isola, vicino Pachino, i ricercatori hanno lavorato per due anni con i carotaggi e trovato i sedimenti proprio di quel maremoto addirittura fino a 1200 metri dalla costa. I campioni sono stati individuati a circa un metro di profondità e sono stati analizzati sia con il metodo del carbonio 14 che con la tecnica della "Luminescenza ottica stimolata" (effettuata dal dipartimento di Fisica dell' Università di Catania). Entrambi gli esami hanno confermato la compatibilità del sedimento con lo tsunami del 365. Nel corso della ricerca, il gruppo ha anche trovato prove simili, per esempio, per lo tsunami generato dal terremoto di Messina del 1908 (magnitudo 7.1), e le ha trovate ben più nell' entroterra di quanto si pensasse: «Ad Augusta abbiamo trovato sedimenti a circa 500 metri dalla costa - spiega Barbano - cioè a una distanza tre volte più grande di quanto prima stimato». Sulla base di questa ricerca la docente lancia un allarme: «Il rischioè molto sottostimato. La gente, e anche la comunità scientifica, non è cosciente del reale pericolo». Un pericolo cui è esposta una parte significativa di popolazione: storicamente la parte più esposta è quella orientale, che ha fatto registrare gli eventi più disastrosi a causa dei forti terremoti che hanno colpito l' area. Solo per citare i più recenti, nel 1693 in seguito al terremoto che distrusse la Sicilia orientale facendo 70 mila morti, uno tsunami colpì i centri costieri, da Catania a Mascali (dove il mare entrò per oltre un chilometro nell' entroterra), da Augusta (dove morirono diverse donne e alcuni bambini) a Siracusa, da Messina alle spiagge sotto Taormina. Devastante anche lo tsunami del 1783 che colpì soprattutto Messina e fece 1328 morti solo a Scilla, in Calabria. E ancora nel 1908, uno tsunami di intensità 6 (il massimo sulla scala Sieberg-Ambraseys) fece diverse centinaia di vittime a Messina, ma anche a Riposto e Catania, generando onde alte fino a 12 metri. Un maremoto di intensità4 colpì la costa settentrionale siciliana nel pomeriggio del 5 marzo 1823 in seguito a un forte terremoto in mare (magnitudo 5.9) che danneggiò Palermoe altri centri. Il mare si agitò in modo anomalo su tutta la costa e a Cefalù distrusse una grande nave trascinandola sulla terraferma. Altre onde anomalee tsunami non catastrofici hanno colpito Palermo nel 1726 e nel 1940, mentre Sciacca ha subito lo stesso tipo di eventi nel 1727 e nel 1817. Molti gli episodi nelle isole Eolie, che registrano anche l' ultimo evento italiano, quello del 2002, quando una enorme frana precipitò in mare da un fianco dello Stromboli provocando uno tsunami che danneggiò le coste dell' isolae si propagò fino alla costa nord della Sicilia. Un quadro a cui prestare attenzione, dunque, visto anche che nel Mar Tirreno, a nord delle Eolie, incombe il vulcano Marsili, un gigante sottomarino alto 3 mila metri, lungo 70 chilometri e largo 30, che secondo il presidente nazionale dell' Ingv Enzo Boschi, potrebbe eruttare o franare in qualsiasi momento, col rischio di provocare tsunami disastrosi. «Noi vorremmo continuare i nostri studi anche sul versante settentrionale della Sicilia - dice Barbano - ma i fondi sono finiti l' anno scorso e temiamo che i continui tagli impediranno un nuovo finanziamento. Il nostro studio è stato finanziato da Protezione civile e Ingv, a cui abbiamo mandato i risultati». Ma di quanti soldi si parla? «Abbiamo chiesto 64 mila euro per due anni, incluso lo stipendio per un ricercatore, ma la nostra richiesta è ferma da oltre un anno al ministero dell' Università e non abbiamo ancora avuto risposta». - TURI CAGGEGI
Fonte:http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/06/23/isola-degli-tsunami.html
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