Un italiano che ha lavorato in Africa svela la vita ‘segreta’ dei funzionari ONU

di Simone Nasazzi tratto da Oltre la linea


Nei miei sei anni di lavoro in Africa ricordo benissimo le attività dell’ONU. Funzionari e dipendenti in uffici dorati, macchine 3mila di cilindrata in su, status diplomatico, abitazioni e ville faraoniche, nonché figli e parenti a studiare nei più costosi istituti privati.


Alle feste nazionali organizzate dalle ambasciate sfoggiavano sempre il loro status di rappresentanti UN (United Nations), orologioni Rolex e completi firmati di rito, paggetti, autisti e servitù a seguito.




Ho visto personalmente spendere centinaia di dollari in cisterne di acqua potabile per lavare le loro Land Criuser, in un continente dove ancora scavano pozzi artesiani con le vanghe per avere un po’ d’acqua.


E questi signori, sotto spinta e decisione della signora Bachelet, mediocrissima ex presidente del Chile, vorrebbero venire in Italia per accertarsi delle condizioni dei migranti, per scovare le violazioni dei diritti e per reclamare che le ONG ricomincino a traghettare merce umana dalla Libia.


Per non parlare delle innumerevoli risoluzioni e politiche ambigue dal palazzo di vetro, che non hanno mai fermato le guerre di destabilizzazione ed “esportazione di democrazia”, una delle cause principali del flusso di rifugiati dal Medio Oriente e di quello di migranti economici dal Nord Africa.


Suggerirei di mandare ispettori a controllare la bella vita di questi signori sulle spalle dei poveracci in giro per il mondo, e lo spedirei volentieri in certi Paesi dove veramente i diritti umani sono un miraggio, altro che in Italia, dove ogni anno 5 miliardi vengono sborsati dai contribuenti per l’accoglienza.


Un Paese, l’Italia, che ha accolto centinaia di migliaia di migranti, per lo più economici e non rifugiati, con una disoccupazione giovanile interna del 40% e una generale del 12%, in un periodo di crisi economica, con una crescita del PIL esigua e una massiva emigrazione di giovani italiani verso l’estero.


Chiederei altresì all’ONU che si occupi dei 60mila immigrati scomparsi una volta entrati in Italia – 15mila minori solo nell’utimo anno – e delle condizioni di convivenza a dir poco molto precaria tra i richiedenti asilo e gli autoctoni nelle periferie delle città, oltre che dello sfruttamento umano del caporalato.


Insomma, c’è molto da fare per la delegazione ONU, che non ricercare il razzismo degli italiani, considerando il fatto che molto immigrati regolari si sono ormai accostati alle idee “populiste”, e sono consci del fatto che una regolamentazione ferrea ai flussi migratori è necessaria per la tenuta della società italiana.


Un giretto alle frontiere con la Francia, a quelle spagnole a Gibilterra, al Brennero o a quelle con la Svizzera per rendersi conto della solitudine italiana.


La battaglia è tra chi vorrebbe impedire che l’Italia diventi un enorme hotspot per lo smistamento di immigrati e che – viste le politiche migratorie di chiusura di Spagna, Francia, Austria e Svizzera – sarebbe, di fatto, un “Paese campo profughi“, e chi ciecamente continua, per un falso pietismo, a ritenere possibile accogliere chiunque.


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