La guerra è sempre più “asettica”: chi preme il pulsante che lancia un missile non si rende conto fino in fondo delle conseguenze che avrà quel gesto. La coscienza è “anestetizzata” dall’aver eseguito un ordine imposto dai propri superiori e dal fatto che chi lancia un missile o sgancia una bomba da un jet non vedrà mai la distruzione e la morte provocata.
Negli ultimi anni sono entrati in scena i droni, per operazioni di spionaggio ma anche incursioni aeree prive di pilota, ed i robot esploratori di terra, che vengono mandati in avanscoperta dai reparti di fanteria che operano sul territorio nemico.
Chi gestisce e pilota queste tecnologie, comandate a distanza, ha l’impressione di giocare ad un videogames. Le telecamere del drone inquadrano il terreno sottostante e gli “obiettivi” da colpire, che l’operatore abbatte schiacciando un pulsante, proprio come in un videogames. E proprio come un videogames gli operatori si felicitano a distanza per essere riusciti a colpire il bersaglio, come se avessero fatto “centro” al tiro al bersaglio di un luna park.
E così succede che un militare americano, operatore di drone, dopo aver ucciso oltre 1.600 persone mediante un drone, improvvisamente ha un rimorso di coscienza: razionalizza che non ha giocato ad un videogames, ma ha sparato razzi e proiettili veri, provocando una strage: che pur “autorizzata” e “comandata” dall’alto, è pur sempre tale.
Per lui non ci saranno processi, ma medaglie al valore e promozioni. Ma in cuor suo, sa bene di avere tolto la vita a moltissime persone, buona parte delle quali magari innocenti, “danni collaterali”, come dicono i militari. Grazie al suo “impegno”, 1.600 famiglie piangono un loro caro, e sicuramente qualche “famiglia” è stata cancellata dai bombardamenti…
Staff
Brandon Ryant, un ex operatore addetto ai droni delle Forze Armate Statunitensi, ha chiesto scusa alle famiglie delle vittime degli attacchi aerei degli USA provocati dalle operazioni a cui egli stesso aveva partecipato. Con una lista di più di 1.600 morti sulle sue spalle, Bryant riconosce che gli attacchi si realizzavano “con una completa incertezza”.
“Mi dispiace che questo errore sia avvenuto. Sto facendo tutto il possibile per evitare che si producano più errori (…….) Non lo potrei sopportare”, afferma Brandon Bryant, il quale ha lasciato il suo lavoro nel 2011 dopo di aver lavorato per cinque anni nelle missioni di droni statunitensi per bombardare obiettivi in Pakistan ed in Iraq, in una intervista rilasciata ad RT.
Inoltre Bryant riconosce che “gli operatori erano carenti di visibilità e non erano sicuri della identità degli obiettivi su cui sparavano”. “Noi scorgevamo soltanto una sagoma, ombre di persone e uccidevamo le ombre. Non c’era nessun tipo di supervisione (…..) ed il programma era marcio da dentro”, confessa.
L’ex operatore statunitense di aerei non pilotati ha già ammesso che lui vive un rimorso di coscienza per la sua partecipazione a questi attacchi e sempre si ricorderà come aveva visto, sul suo schermo, morire dissanguate alcune delle sue prime vittime.
LEGGI TUTTO»»
FONTE: Un operatore USA di droni senza pilota si autoaccusa: ho ucciso 1.600 persone
Chi gestisce e pilota queste tecnologie, comandate a distanza, ha l’impressione di giocare ad un videogames. Le telecamere del drone inquadrano il terreno sottostante e gli “obiettivi” da colpire, che l’operatore abbatte schiacciando un pulsante, proprio come in un videogames. E proprio come un videogames gli operatori si felicitano a distanza per essere riusciti a colpire il bersaglio, come se avessero fatto “centro” al tiro al bersaglio di un luna park.
E così succede che un militare americano, operatore di drone, dopo aver ucciso oltre 1.600 persone mediante un drone, improvvisamente ha un rimorso di coscienza: razionalizza che non ha giocato ad un videogames, ma ha sparato razzi e proiettili veri, provocando una strage: che pur “autorizzata” e “comandata” dall’alto, è pur sempre tale.
Per lui non ci saranno processi, ma medaglie al valore e promozioni. Ma in cuor suo, sa bene di avere tolto la vita a moltissime persone, buona parte delle quali magari innocenti, “danni collaterali”, come dicono i militari. Grazie al suo “impegno”, 1.600 famiglie piangono un loro caro, e sicuramente qualche “famiglia” è stata cancellata dai bombardamenti…
Staff
Brandon Ryant, un ex operatore addetto ai droni delle Forze Armate Statunitensi, ha chiesto scusa alle famiglie delle vittime degli attacchi aerei degli USA provocati dalle operazioni a cui egli stesso aveva partecipato. Con una lista di più di 1.600 morti sulle sue spalle, Bryant riconosce che gli attacchi si realizzavano “con una completa incertezza”.
“Mi dispiace che questo errore sia avvenuto. Sto facendo tutto il possibile per evitare che si producano più errori (…….) Non lo potrei sopportare”, afferma Brandon Bryant, il quale ha lasciato il suo lavoro nel 2011 dopo di aver lavorato per cinque anni nelle missioni di droni statunitensi per bombardare obiettivi in Pakistan ed in Iraq, in una intervista rilasciata ad RT.
Inoltre Bryant riconosce che “gli operatori erano carenti di visibilità e non erano sicuri della identità degli obiettivi su cui sparavano”. “Noi scorgevamo soltanto una sagoma, ombre di persone e uccidevamo le ombre. Non c’era nessun tipo di supervisione (…..) ed il programma era marcio da dentro”, confessa.
L’ex operatore statunitense di aerei non pilotati ha già ammesso che lui vive un rimorso di coscienza per la sua partecipazione a questi attacchi e sempre si ricorderà come aveva visto, sul suo schermo, morire dissanguate alcune delle sue prime vittime.
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FONTE: Un operatore USA di droni senza pilota si autoaccusa: ho ucciso 1.600 persone
1 commento:
purtroppo anche lui e una vittima del sistema militare moderno la vera colpa e da dare a chi permette a dei ragazzi di usare robot contro popolazione civile e non senza neppure sapere il motivo sempre che ce ne sia uno ovviamente...
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