È la scoperta realizzata da Massimo Maffei dell’Università di Torino e pubblicata su “Frontiers of Plant Science”.
Maffei, con Angelo De Santis
 dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ha dimostrato che,
 in concomitanza con le fasi di inversione dei poli magnetici, si sono 
verificati processi evolutivi specifici.
Quello 
del campo è un fenomeno complesso: non è costante né uniforme nello 
spazio, ma con inversioni dei poli che si verificano periodicamente ogni
 300 mila anni. Protegge la Terra dal vento solare – le particelle 
cariche provenienti dalla nostra stella – ma il suo ruolo a favore della
 vita non si esaurisce qui. Influenza, infatti, il mondo vegetale in due
 modi.
In primo 
luogo alterando il Dna: durante le inversioni di polarità tutte le forme
 di vita sono esposte a una più intensa radiazione cosmica, capaci di 
produrre mutazioni genetiche che sono la base per l’emergere e la 
selezione di nuove specie.
In 
secondo luogo, le piante, più che gli animali, sembrano essere 
ipersensibili alle variazioni del campo magnetico, perché dotate di 
sistemi di “magnetopercezione”: sono quelli che trasmettono i segnali al
 Dna, inducendo l’attivazione di numerosi geni e causando cambiamenti 
nei processi di accrescimento.
Questi 
possono alterare i cicli biologici, modificando per esempio le 
fioriture. Il tutto, a sua volta, ha forti ripercussioni sugli insetti 
impollinatori e quindi sui frutti che la pianta produce e, da ultimo, 
sulla forza di resistere alle pressioni della selezione naturale. Lo 
stress così ingenerato fa sì che solo le specie più forti – dotate di 
mutazioni vantaggiose – diventino quelle dominanti.
“Abbiamo analizzato i dati sulle variazioni del campo tra 86 e 276, 5 milioni di anni fa – spiega Maffei – e li abbiamo incrociati con quelli sull’origine di nuove piante. Risultato: esiste una chiara correlazione tra i due fenomeni“.
fonte: antikitera.net
 

 
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