25 ott 2013 - In astronomia, osservare oggetti più lontani dell'universo visibile significa andare alla ricerca di specifiche caratteristiche della luce che emettono, influenzate dal valore finito della velocità della luce e dal processo di espansione del cosmo. In qualunque direzione si osservi il cielo, infatti, si vedono gli oggetti allontanarsi da noi con velocità di fuga proporzionale alla loro distanza rispetto alla Terra, secondo una legge formulata quasi un
secolo fa dall'astronomi statunitense Edwin Hubble. La prima e più immediata conseguenza è che gli oggetti ci appaiono come erano all'epoca dell'emissione della luce: guardare lontano nell'universo quindi significa gettare un'occhiata nel suo passato.
Un viaggio lungo quasi come l’età dell’universo stesso: 13 miliardi e 100 milioni di anni. Così tanto ha impiegato la luce della più distante galassia mai scoperta finora per arrivare alla Terra. Un cammino iniziato circa 700 milioni di anni dopo il Big Bang, quando l’universo aveva appena il 5 per cento dell’età attuale, stimata in 13,8 miliardi di anni. E’ stato un gruppo di ricercatori guidati da Steven Finkelstein, dell’Università del Texas ad Austin con la partecipazione di Adriano Fontana, astronomo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma a riuscire a identificare prima e a confermare poi in modo inequivocabile questo segnale . Gli scienziati hanno sfruttato le più profonde osservazioni del telescopio spaziale della NASA Hubble in combinazione ai dati raccolti dallo spettrografo MOSFIRE installato al Keck I, uno dei due giganteschi telescopi gemelli da 10 metri di diametro installati sulle isole Hawaii.
“La scoperta di questa galassia rappresenta un altro passo nello studio delle epoche più remote della storia dell’universo” spiega Adriano Fontana, coautore dell’articolo sulla scoperta pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature. “Non solo z8_GND_5296 è la galassia più vicina al Big Bang mai scoperta, ma è anche sorprendentemente piena di elementi pesanti formati in generazioni precedenti di stelle – evidentemente, sebbene sia così vicina al Big Bang ha una storia interessante alle spalle”.
La galassia è stata selezionata dal team di Finkelstein insieme ad altre quarantadue, ritenute quelle più distanti in base ad un’analisi preliminare sul colore tra le circa 100.000 individuate nelle immagini raccolte dal programma di ricerca CANDELS di Hubble. CANDELS, acronimo di Cosmic Assembly Near-infrared Deep Extragalactic Legacy Survey, è il più esteso tra quelli finora completati dal telescopio spaziale ed ha impiegato oltre un mese di osservazioni complessive per scansionare una porzione di cielo grande all’incirca quanto la dimensione apparente della luna piena.
Tuttavia questa tecnica non può da sola confermare con sicurezza la distanza di oggetti remoti così remoti. La riprova incontrovertibile può arrivare da una tecnica di analisi più accurata della luce, ovvero dalla spettroscopia. La spettroscopia è infatti in grado di riconoscere quanto la lunghezza d’onda della luce emessa da un oggetto celeste viene stirata a causa del suo viaggio nell’universo in espansione, fenomeno noto come redshift, ovvero ‘spostamento verso il rosso’, e ricavare dalla sua misura la distanza originaria della sorgente.
Così gli scienziati sono andati a studiare ciascuna delle 43 galassie del loro campione con lo spettrometro infrarosso MOSFIRE installato al telescopio Keck I, confermando così che la luce proveniente dalla galassia denominata z8_GND_5296 è stata emessa 13,1 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva ‘appena’ 700 milioni di anni e che all’epoca possedeva una vertiginosa velocità di formazione di nuove stelle, 150 volte maggiore di quella che osserviamo nella nostra Galassia.
“L’altro aspetto importante di questa scoperta è rappresentato dal fatto che z8_GND_5296 è l’unica tra le galassie che abbiamo osservato ad avere un’emissione nella cosiddetta riga Lyman-alfa, che è molto comune osservare nelle galassie più vicine perché viene emessa da atomi di idrogeno ad alta temperatura, di cui molte galassie sono ricche” conclude Fontana. “L’assenza di questa riga di emissione in 42 delle 43 galassie osservate è una caratteristica esclusiva dell’Universo giovane, e queste osservazioni portano sostegno all’ipotesi che in epoche così vicine al Big Bang le galassie fossero ancora circondate da gas primordiale che ne ha assorbito in gran parte la radiazione”. [fonte: MEDIA-INAF]
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