Tocca anche alla Svezia, la ricca Svezia, la madre di tutti i welfare. Le ultime notti della capitale sono state particolarmente agitate. In una dozzina di suburbi nutrite bande di rivoltosi hanno incendiato decine di auto, attaccato una stazione di polizia e preso a sassate i pompieri e le forze dell'ordine, come già nelle banlieue di Parigi nel 2005 e nello sterminato hinterland londinese nel 2011.
Unica differenza: a Londra e Parigi le rivolte notturne continuarono per molto tempo mentre a Stoccolma sono appena iniziate e nessuno può dire come si evolveranno. Identiche però le cause scatenanti: la reazione ad una polizia considerata brutale.
A Parigi due adolescenti morirono fulminati mentre si nascondevano dalla polizia che cercava gli autori di un furto. A Londra uno spacciatore ferì un agente durante l'arresto e fu ucciso. A Stoccolma lo scorso fine settimana un vecchio di 69 ani ha minacciato i poliziotti con un machete: ucciso anche lui.
Sono state tre scintille in altrettante polveriere di disperazione: quartieri abitati soprattutto da lavoratori stranieri cui non sono più offerte le stesse possibilità di promozione sociale rispetto a trenta anni fa, o anche solo a dieci. Interessante che il fronte delle rivolte, man mano che la crisi economica e i relativi tagli ai servizi progrediscono, sia salito da Sud a Nord ed ora non si salvi più neanche il modello scandinavo di stato sociale e di integrazione: Stoccolma è ancora una cuccagna rispetto a noi sventurati Piigs mediterranei, ma che aria tira?
Comunque la rivolta di Stoccolma è un sintomo chiaro: è impossibile il passaggio indolore da una società "aperta" ad una "chiusa". Da un modello che offriva opportunità concrete, se non a tutti, almeno a molti ad un modello che invece sbatte le porte in faccia ed etichetta chi resta fuori come "sfigato", ormai diventato sinonimo di "incapace".
Sarà interessante contare quante altre rivolte divamperanno nelle periferie urbane prima che questa ovvietà venga compresa.
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