Il Marsili, il vulcano sottomarino più grande d’Europa posto proprio nel cuore del Tirreno a metà strada tra Salerno e Cefalù, sarebbe un fratello delle Eolie, cioè un’ottava isola delle sette già emerse. Se finora si pensava che questo gigante lungo 70 km e largo 30 fosse il risultato di un fenomeno di oceanizzazione, cioè di apertura, della piana batiale tirrenica, oggi ci sono le evidenze per affermare che si sia formato circa un milione di anni fa per una risalita passiva del magma dal basso verso l’alto, proprio come le Eolie.
MAGMA IN RISALITA - «A far propendere per quest’ultima ipotesi è la pressione del magma all’interno dell’edificio vulcanico rivelatasi alle ultime misure non così forte da giustificarne la nascita per un’eruzione attiva da una frattura in espansione», spiega Guido Ventura, ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) che ha preso parte alla ricerca rimbalzata sulle pagine della rivista Earth–Science Review.
DATI - A far ripensare alla genesi del Marsili è stata la batimetria, cioè la topografia sottomarina ad alta risoluzione eseguita dall’Istituto per l’ambiente marino costiero (Iamc–Cnr) di Napoli e analizzata dall’Ingv e che ha permesso di ricostruire in tre dimensioni l’edificio vulcanico. «L’acquisizione dei dati è avvenuta su una nave equipaggiata da sofisticati sonar che lavorano tra 10 m e 3 mila metri di profondità, collegati con un sistema di posizionamento via satellite (Gps) che consente di conoscere la posizione dell’imbarcazione durante la rilevazione. Il risultato finale è stato quello di ottenere un punto di profondità ogni 20 metri», racconta Guido Ventura. La topografia sottomarina così ottenuta non ha delineato solo una struttura lineare caratterizzata da un vulcano principale posto al centro e da piccoli coni vulcanici secondari situati sui fianchi, ma ha anche evidenziato per la prima volta l’esistenza di due sistemi di fratture, uno verso Nord-Est e l’altro verso Sud-Ovest, non in fase di espansione.
APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE - L’elaborazione di questi dati con aspetti morfologici, geochimici, geodinamici e geofisici provenienti da passate ricerche ha scalzato il concetto ormai consolidato di un mar Tirreno in apertura. Già qualche anno fa alcuni ricercatori svizzeri e italiani erano giunti alla stessa conclusione percorrendo una strada diversa. Basandosi su dati ottenuti da satellite che registravano le distanze tra diversi punti sulla costa, si erano accorti dello stato di stasi che sta vivendo questo mare. Calcolando le distanze per esempio tra Cagliari e Napoli o tra Genova e Palermo, avevano infatti notato che non cambiavano. Un dato, questo, che ha rafforzato l’ipotesi di una completa assenza di deformazione del Tirreno.
RIPENSARE IL TIRRENO - Su piccola scala la genesi del vulcano Marsili conferma queste conclusioni. «Impostato sul bacino oceanico tirrenico, si è formato circa un milione di anni fa quando ormai l’apertura della piana abissale cominciava a decrescere», dice Ventura. Al momento attuale il Tirreno è dunque un bacino non più attivo. Solo la parte antistante la Calabria e la Sicilia orientale è in estensione, mentre la zona relativa alla Sicilia centro-occidentale, da Tindari a Palermo e Trapani, è addirittura in compressione. Lo studio di questo vulcano, che si erge da una profondità di 3 mila metri fino a una sommità di 500 m sotto il livello del mare, ha ridato una definizione a ogni nostro mare. Se il Tirreno è stato soprannominato un bacino oceanico relitto, il Mediterraneo centrale è in espansione, l’Adriatico è in compressione e lo Ionio vive una situazione più complessa: la parte che guarda l’Adriatico è in compressione, mentre quella che lambisce la Sicilia è in parte in compressione e in parte in distensione in quanto compresa tra due sistemi di subduzione appartenenti a Italia e Grecia.
Fonte : Corriere
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