Le chiamano “antenne selvagge”. Se abitate in una grande città è probabile che il termine vi sia familiare. O che vi sia capitato, osservando il profilo superiore del palazzo che vi sta di fronte, di notare un ammasso di antenne stagliarsi contro il cielo. In alcuni casi, i cavi ad esse collegati calano come un intreccio di liane lungo la parete dell'edificio per collegare le antenne alle rispettive utenze.
Che usanza barbara, avrete pensato. Le antenne sono brutte e per di più sono causa di inquinamento elettromagnetico. Vero. Purtroppo il governo, invece di porre rimedio ai danni fatti in passato sembra intenzionato ad alimentare la proliferazione della selva. Nel decreto Sviluppo 2 – per ora ancora una bozza -, all'articolo 29, sezione dedicata al digital divide, si può leggere: “Il proprietario o il condominio non possono opporsi all'accesso dell'operatore di comunicazione al fine di installare, collegare o manutenere gli elementi di rete quali cavi, fili, riparti, linee o apparati”.
Una sorta di espropriazione. Nessuno si potrà opporre all'installazione delle antenne. La bozza di legge immagina una città in cui i cittadini non sono di fatto più proprietari del proprio tetto, terrazzo e quant'altro. Un annullamento parziale della proprietà privata, non già in favore di spazi condivisi dalla cittadinanza ma del profitto dei colossi delle telecomunicazioni. Il proprietario riceverà in cambio un'indennità stabilita dal ministero dello Sviluppo economico, "in base all'effettiva diminuzione del valore del fondo".
Ma non è finita. Anche gli enti locali dovranno affrettarsi a dare la loro disponibilità a nuovi lavori di collegamento per per piazzare i cavi della banda larga e ultra-larga nel sottosuolo delle strade cittadine. I tempi vengono diminuiti drasticamente dal decreto. Da 90 a 45 giorni nei casi normali, da 30 a 15 giorni per scavi inferiori ai 200 metri, addirittura 10 giorni per "buche, apertura chiusini, posa di cavi o tubi aerei su infrastruttura esistente, allacciamento utenti": queste le scadenza entro le quali i Comuni dovranno comunicare l'accoglimento della domanda. Altrimenti vige la regola del silenzio-assenso, e l'azienda sarà tacitamente autorizzata a procedere.
Insomma, se la bozza diventasse legge è ipotizzabile un ulteriore proliferare di antenne, con un aumento considerevole dell'elettrosmog. Intervistato da Metronews il professor Angelo Levi, studioso degli effetti delle radiazioni elettromagnetiche, si è scagliato contro il decreto: “Con questo decreto chiunque potrà imporre un ripetitore su un tetto e nessuno potrà opporsi. Inoltre adesso che l'Oms ha dichiarato che i campi elettromagnetici bassi e alti sono pericolosi, potenzialmente cancerogeni, occorrerebbe limitarne la diffusione, o quantomeno controllarla no?”
Ma nel nome dello “sviluppo” e della “crescita” promessi dal decreto anche la salute e i diritti dei cittadini sembrano passare in secondo piano. Inoltre viene da chiedersi, che tipo di crescita ha in mente il ministro Passera, maggiore promotore del decreto? Premesso che il concetto di crescita, nell'accezione attuale, è del tutto anacronistico, va aggiunto che il ministro dello Sviluppo economico sembra averlo interpretato nel modo peggiore. Ovvero quello in cui si limitano al massimo i diritti dei cittadini per cercare di attirare disperatamente gli investimenti di colossi e multinazionali (che si sa, ai diritti sono allergici).
Per fortuna l'articolo in questione non è passato inosservato e sono già partite alcune mobilitazioni. Le reti di cittadini "Roma contro l'elettrosmog" a "Rete elettrosmog-free" hanno scritto al ministro Passera. "Si tratta" hanno denunciato denunciano i comitati "di un colpo di mano talmente grave da indurre a sospettare che la mano che ha redatto questa norma sia la stessa che quotidianamente pianifica e realizza studiate aggressioni al territorio urbano ed extraurbano, che si accanisce sulla salute della gente, pur di accaparrarsi uno spazio elevato ove collocare antenne, tralicci e ripetitori".
I comitati fanno emergere un altro aspetto rilevante della questione: “il ricorso spregiudicato alla monetizzazione del disagio subito con l’installazione di un’antenna” che in tempi di crisi convincerà molti cittadini e famiglie “a sobbarcarsi l’ingombrante presenza tra le mura domestiche di una fonte di rischio per la salute, pur di accedere alle risorse messe a disposizione". "Occorre pertanto - concludono i comitati - reagire con fermezza a questo devastante attacco ai diritti e valori costituzionalmente tutelati, informando capillarmente la popolazione, l’opinione pubblica, i media e le istituzioni sui rischi che incombono dalla sciagurata approvazione della norma".
Già nel 2004 Gasparri, allora ministro delle Comunicazioni, aveva tentato di far approvare un decreto simile. Allora la legge fu giudicata incostituzionale. Oggi un governo differente sembra volerci riprovare.
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