"Il giorno del Big Bang non è lontano. Il denaro, nella sua estrema essenza, è futuro, rappresentazione del futuro, scommessa sul futuro, rilancio inesausto sul futuro, simulazione del futuro ad uso del presente. Se il futuro non è eterno ma ha una sua finitudine noi, alla velocità cui stiamo andando, proprio grazie al denaro, lo stiamo vertiginosamente accorciando.
Stiamo correndo a rotta di collo verso la nostra morte, come specie. Se il futuro è infinito e illimitato lo abbiamo ipotecato, con l’iperbolica massa di denaro che abbiamo messo in circolazione, fino a regioni temporali così sideralmente lontane da renderlo di fatto inesistente.
L’impressione infatti è che, per quanto veloci si vada, anzi proprio in ragione di ciò, questo futuro orgiastico arretri costantemente davanti a noi. O, forse, in un moto circolare, nicciano, einsteniano, proprio del denaro, ci sta arrivando alle spalle gravido dell’immenso debito di cui l’abbiamo caricato. Se infine, come noi pensiamo, il futuro è un tempo inesistente, allora abbiamo puntato la nostra esistenza su qualcosa che non c’è, sul niente, sul Nulla.
In qualunque caso questo futuro, reale o immaginario che sia, dilatato a dimensioni mostruose e oniriche dalla nostra fantasia e dalla nostra follia, un giorno ci ricadrà addosso come drammatico presente. Quel giorno il denaro non ci sarà più. Perché non avremo più futuro, nemmeno da immaginare. Ce lo saremmo divorato".
Così scrivevo nel 1998, nella pagina conclusiva del mio libro - Il denaro "Sterco del demonio" - dieci anni prima che la crisi dei subprime mettesse a gravissimo rischio l’intero sistema finanziario mondiale (o, per essere più precisi, occidentale); cioè il sistema del denaro. Non è pensabile che le leadership mondiali, politiche, economiche, intellettuali, non sapessero queste cose. Del resto non era così difficile capire che fatto 100 tutto il denaro circolante nel mondo nelle sue svariatissime forme, (ogni credito è denaro, promessa di futuro) se con l’un per cento di questo 100 si possono comprare tutti i beni e i servizi esistenti, il resto non corrisponde a nulla, a nessuna ricchezza, ma come scrivevo in "Denaro", solo a un’ipoteca sul futuro così enorme da essere inesigibile.
L’errore, tutt’altro che inconsapevole, delle leadership occidentali, politiche, economiche, intellettuali, è di volersi accanire, cocciutamente, sulla crescita, sul futuro, quando crescita e futuro non ci sono più per il modello di sviluppo che, partito due secoli e mezzo fa con la Rivoluzione industriale, è arrivato al suo massimo limite di espansione, al suo muro, alla sua fine.
E infatti tutti i governi, insieme ai sacrifici chiesti alle popolazioni, si ingegnano a cercare "misure per la crescita", fumosissime e del tutto illusorie. Metteranno un altro po’ di futuro, cioè di denaro, in un futuro che non c’è sperando che il loro illusionismo duri ancora un po’, fino a quando i protagonisti di questo sporco gioco saranno usciti di scena e le genti inferocite non potranno più appenderli al più alto pennone come meriterebbero.
Quello che dovrebbero fare le leadership occidentali è esattamente il contrario. Lavorare, di comune accordo, per una decrescita graduale, limitata e ragionata in modo da ridurre drasticamente il rapporto fra beni reali e il denaro in circolazione. Dovrebbero insomma governare la decrescita invece di tentare di contrastarla. Se non lo faranno il mondo del denaro, prima o poi, più prima che poi, collasserà di colpo. E allora verranno veramente i tempi delle lacrime e, letteralmente, del sangue.
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