Geotermia: il fenomeno meno conosciuto degli oceani


In genere gli effetti del vulcanismo sottomarino sulla temperatura degli oceani è scarsamente presa in considerazione in quanto non si suppone possa avere effetti così significativi a lungo termine,quindi ecco che quando si nota delle anomalie termiche sulla superficie degli oceani e dei mari,o degli effetti di El Nino più forti rispetto agli anni precedenti ecco che vengono citati in causa il Riscaldamento Globale antropico sebbene una notevole quantità di dati ne confutino in maniera dettagliata l’effettiva esistenza che gode più di un eccessiva popolarità mediatica ed economica che di reali riscontri scientifici.
Se consideriamo però che il vulcanismo terrestre rappresenta solo il 20% del vulcanismo globale,mentre il restante vulcanismo sottomarino rappresenta l’80% come possono gli scienziati affermare che i suoi effetti siano così inconsistenti?
La realtà è ben più lontana da quanto essi immaginano o almeno sottovalutano.

Il vulcanismo sottomarino influenza le temperature dei mari e degli oceani comprese le calde correnti,tra di esse vi è il noto fenomeno di El Nino che si tratta di una corrente oceanica che periodicamente si forma nell’Oceano Pacifico contribuendo a generare piogge monsoniche in alcune aree del globo,e siccità in altre portando anche epidemie.
Alcuni scienziati considerano assurda la tesi vulcanismo-El Nino in quanto nei loro modelli prendono scarsa considerazione del vulcanismo sottomarino ma attribuiscono tutto ciò ai soli effetti dell’attività solare e del presunto effetto della Co2 emessa dalle attività umane nell’atmosfera.
Il problema è che i loro stessi modelli variano in continuazione e finora hanno mostrato scarsa capacità di previsione del clima futuro e perdipiù,quelli dell’Ipcc, non sono volti unicamente a scopi scientifici ma a scopi politici in quanto spesso si rivelano essere dei veri e propri documenti di previsioni catastrofiche che non hanno alcun riscontro con la realtà ma molto utili nel diffondere tramite i media e la tv un falso clima di catastrofismo.
Un’altro fattore che dimostra l’evidenza della connessione tra El Nino e il vulcanismo sottomarino è il fatto che El Nino non solo nasce in un area di intensa attività vulcanica,ma proprio in cui si incontrano ben 3 placche tettoniche.
Inoltre”è importante notare”asseriscono gli studiosi del NOAA,”che il riscaldamento delle profondità oceaniche precede il riscaldamento in superficie.”
Uno studio del NOAA del 2000 afferma che metà del riscaldamento degli oceani avviene tra i 300 e i 3000 metri di profondità,come si può affermare che riscaldiamo l’acqua così in profondità??
L’evidenza quindi tra vulcanismo sottomarino ed El Nino è quindi confermata ed evidenziata ma a confermare l’elevato numero di vulcani nei fondali ocenici e marini e il loro reale ruolo nelle temperature degli oceani vi sono numerose testimonianze.
Nel 1993 un gruppo di geofisici marini a bordo del Melville scoprì 1.133 vulcani mai rilevati a quasi 1000 km dall’isola di Pasqua ,che si trova a 3.600 km a est del Cile.
Detti vulcani erano particolarmente grandi e alcuni di essi arrivavano ad un altezza di 2500 metri sul fondale marino.
Per gli scienziati quella scoperta fu uno shock per il fatto che anzichè trovarne solo una decina,come si aspettavano,ne trovarno ben più di 1000.
In poche parole era una delle più grandi concentrazioni di vulcani attivi al mondo.
I nuovi vulcani erano stati scoperti in un area di intensa attività vulcanica nella quale il basalto sgorga in enormi quantità sulla superficie marina con pennacchi d’acqua che superano i 400 C°.
Questa immissione di roccia fusa nell’oceano alza sufficientemente le temperature marine da influenzare le correnti oceaniche e generare El Nino,questa è la conclusione del geofisico Daniel A. Walker dell’Università delle Hawaii.
Nel 1995 le nuove ricerche in parte sponsorizzate dal NOAA hanno rilevato che il vulcanismo sottomarino è una delle forze più potenti e meno conosciute al mondo,che causano un aumento della temperatura dei mari pari a 3000 grandi reattori nucleari.
Oltre ai vulcani sottomarini scoperti al largo dell’isola di Pasqua,ne sono stati scoperti altri molto più a nord.
Uno di questi in piena attività venne rilevato nel giugno del 1993 a circa 400 km a largo di Astoria,nell’Oregon.
Classificato come vulcano coassiale,si trova in una frattura nel fondale lunga 6 km a una profondità DI 2.600 m,nello stretto di Juan de Fuca.
In un susseguirsi di fenomeni sismici da un cratere fuoriesce lava rovente,dall’altro acqua ad elevata temperatura.
Nel 1996 ne venne scoperto un altro al largo di Newport,nell Oregon.
Un’enorme fenditura nel fondale lunga una decina di chilometri,il doppio della sua più vicina più a nord.
Attualmente gli scienziati della NASA stimano che il numero del vulcani sottomarini tra quelli scoperti e non,possa essere almeno un milione.
Almeno 75.000 di essi si eleva per 800 metri dal fondale e molti migliaia di essi sono attivi.
Delle enormi caldaie che riscaldano costantemente le temperature degli oceani.
Ma non solo il vulcanismo sottomarino,attualmente in incremento,potrebbe anche essere alla base dell’acidificazione degli oceani.
Contrariamente a quanto si affermi da parte di molti ambientalisti che sono le emissioni antropiche di anidride carbonica a causare l’acidificazione degli oceani, uno studio condotto dal ricercatore australiano geologia, Timothy Casey,smentisce scientificamente queste ipotesi ,in quanto già da prima i geologi erano rimasti perplessi del fatto che contrariamente ai mari, i laghi e i fiumi non mostrassero alcuna acidificazione.
Gli ambientalisti hanno da tempo proposto che, se continua l’acidificazione degli oceani sarà lo stress pesca marittima e causano la distruzione delle barriere coralline.
E ‘stata la netta mancanza di acidificazione di tutte le altre fonti d’acqua del pianeta che ha spinto i ricercatori a indagare perché solo gli oceani hanno evidenziato segni di crescente acidificazione.
Gli scettici sostengono che l’IPCC non è riuscito a spiegare fino in fondo questa anomalia.
L’ultimo ragionamento degli scienziati scettici del clima sembra ineccepibile: se le umane emissioni in atmosfera di anidride carbonica hanno causato l’acidificazione degli oceani allora perché non siamo stati in grado di vedere gli stessi livelli di acidità crescente nei fiumi e nei bacini? Ora i geologi hanno indagato ulteriormente su tale questione e trovare nuove risposte.
Essi sostengono, se c’è una tale differenza tra i nostri mari ei nostri fiumi e bacini la fonte non può essere comune ad entrambi.
Non trovando un aumento ovunque nei sistemi delle acque interne questo studio ha inevitabilmente concluso che le emissioni umane in atmosfera di anidride carbonica deve essere escluso come fonte potenziale di acidificazione oceanica.
Secondo l’indagine molto apprezzata in precedenza da Batiza (1982),la placca dell’Oceano Pacifico è costellata di vulcani sottomarini, una regione altamente instabile, che da sola rappresenta un incredibile numero di vulcani da 22.000 a 55.000 con almeno 2.000 dei quali sono attivi.


Tuttavia, sembra che l’IPCC abbia minimizzato questi numeri,sebbene ci fosse da aspettarselo . Nessuno degli oltre 2.000 vulcani sottomarini attivi sono anche stati discussi da Kerrick (2001), un documento a cui si riferisce in cui l’IPCC si è utilizzato per eliminare i vulcani come un fattore importante per le emissioni di CO2 in atmosfera.
Il che rende l’idea che l’Ipcc non sia una fonte di dati completa e del tutto affidabile.
Inoltre, Kerrick (2001) giustifica l’omissione della metà delle emissioni della dorsale oceanica, sostenendo che la metà delle dorsali oceaniche scarica meno CO2 di quanta ne viene consumata entro la metà del carbonato della cresta oceanica nei sistemi idrotermali.
Non ci sono prove a sostegno di tale conclusione.
Alcuni vulcani sono più attivi di quanto si pensasse nello studio, Casey ha guardato esempi come il Lago Blu nel cratere del vulcano spento, Mount Gambier, ora diventato più acido a causa dell’ ingresso di CO2 dal sistema vulcanico.
Ora è stato scoperto che il Mount Gambier non è così dormiente come alcuni studi suggerivano.
Se questo fatto è stato ripetuto in tutto il mondo allora sarebbe dissipare le preoccupazioni umane che i gas serra emessi sono stati la causa dei crescenti livelli di acidità del mare.
Il vero colpevole sembra essere stato la natura da sempre.
La conclusione logica, quindi, è che l’anidride carbonica in atmosfera non può essere la causa dell’acidificazione oceanica come prima si pensava.
Così si può ragionevolmente dedurre che è l’ennesimo falso problema temuto dai sostenitori del Riscaldamento Globale.
E’ stato anche scoperto che l’acidificazione degli oceani non può solamente causare una netta diminuzione di numerose varietà di pesci,ma addirittura l’opposto sviluppare organismi che vivono solo in determinate condizioni di acque più acide.
Alcuni anni fa gli scienziati hanno visitato il NW Rota-1, un vulcano in eruzione sottomarina vicino all’isola di Guam.
Al ritorno hanno scoperto che il vulcano era stato in continua eruzione e che un gran numero di gamberetti, granchi, patelle e denti di cane si erano sviluppati proprio grazie all’habitat sviluppato da questo vulcano.
Molte di queste creature si stanno adattando alla vita del vulcano e alcune di esse sono nuove per la scienza quanto uniche.
Le pressioni del profondo dell’oceano riducono significativamente la forza di esplosioni vulcaniche e hanno permesso agli scienziati di osservare il vulcano a stretto contatto con Jason, il loro veicolo azionato a distanza.
Gli scienziati hanno in primo luogo osservato le eruzioni del NW Rota-1 nel 2004 e nuovamente nel 2006, ha dichiarato Bill Chadwickc dell’Oregon State University (OSU), vulcanologo e investigatore capo della spedizione.
Questa volta, però, hanno scoperto che il vulcano aveva costruito un nuovo cono alto 40 metri e 300 metri di larghezza.
“E ‘alto come un edificio di 12 piani e largo come un isolato pieno”, ha dichiarato Chadwick. “Come il cono è cresciuto, abbiamo visto un significativo aumento della popolazione di animali che vive in cima al vulcano.
Stiamo cercando di determinare se vi è una connessione diretta tra l’aumento dell’attività vulcanica e dell’aumento della popolazione dell’ecosistema.”
Gli animali in questo ecosistema insolito
“Sono particolarmente adatte al loro ambiente”, ha dichiarato Chadwick, “e stanno prosperando in condizioni chimiche aggressive che sarebbero tossiche per la normale vita marina.”
La vita qui è davvero nutrita dal vulcano in eruzione “.
Verena Tunnicliffe, un biologo della University of Victoria, ha detto che la maggior parte degli animali dipendono diffusamente dallo sfiato idrotermale che fornisce prodotti alimentari di base sotto forma di batteri rivestiti in filamenti sulle rocce.
“Vi è ora una biomassa molto grande di gamberi sul vulcano, e due specie sono in grado di far fronte alle condizioni vulcaniche”.
Il gambero ha rivelato adattamenti davvero intrigante a vivere sul vulcano.
“Il gambero ‘Loihi’ si è adattato nutrirsi dei filamenti batterici con artigli piccoli e simili a cesoie da giardino”, ha detto Tunnicliffe.
“Il secondo gambero è una nuova specie – che cacciano anche da giovani, ma man mano che crescono allo stadio adulto, i loro artigli anteriori si ingrandiscono e diventano predatori”.
Il gambero Loihi era precedentemente conosciuto solo in un vulcano attivo vicino alle Hawaii – a grande distanza.
Sopravvive grazie alla rapida crescita di batteri e cerca di evitare i rischi delle eruzioni vulcaniche. Nuvole di questi gamberetti sono stati visti in fuga durante le eruzioni vulcaniche.(mica stupidi)
Le altre specie che attaccano il gambero Loihi e il resto della vita marina che si aggira troppo vicino ai pennacchi vulcanici e muoiono.
“Abbiamo visto morire i pesci, calamari, ecc, che piovono sulla montagna sottomarina, dove sono morti cacciando i gamberetti che vi vivono – uno splendido adattamento sfruttando gli effetti nocivi del vulcano”, ha detto Tunnicliffe.


In tutti gli oceani e mari del mondo continuano a venire scoperti nuovi vulcani sottomarini in attività o solo quiescenti il che mette a dura prova il fatto che l’irradiamento solare possa essere il solo alla base del riscaldamento degli oceani,anzi sarebbe da dire che il vulcanismo sottomarino ne potrebbe largamente essere il responsabile.
Nel maggio del 2009 gli scienziati marini hanno scoperto un enorme vulcano sottomarino al largo della costa occidentale dell’Indonesia circa 330 km (205 miglia) ad ovest di Bengkulu città. I 4.600 m (15.000 piedi) di montagna si estende su 30 miglia alla sua base, con il suo culmine di circa 1.300 metri sotto la superficie dell’oceano,il geologo marino Surachman Djajadihardja Yusuf, ha detto definito la sua scoperta come “del tutto inaspettata”.
Questa montagna sottomarina è più alto del Monte Rainier negli Usa.
E non sapevamo che era lì!
Non è ancora chiaro se il vulcano è attivo ma Djajadihardja ha detto che se eruttasse sarebbe “. Molto, molto pericoloso”.
Nel 2005(ricordiamoci che il 2005 fu un anno di El Nino ed è stato ribattezzato come l’anno degli Uragani nella quale in tutto il mondo si svilupparono in quell’anno ben 27 uragani,inoltre il Mar Balticoa causa del riscaldamento delle acque fu invaso dalle alghe in libera proliferazione,tutto ciò per parlare degli effetti di quanto stò descrivendo) il quotidiano Indiano riportava due segnalazioni nella quale si parlava di centinaia di vulcani sottomarini in eruzione in tutto il mondo, soprattutto intorno alla Cintura di Fuoco del Pacifico.
Vulcani sottomarini sono in eruzione in Australia, Grecia, Nuova Zelanda e molti altri paesi tra cui l’americano nord-ovest, che sta vivendo un livello senza precedenti di vulcanismo sottomarino. Andaman Nicobar sta vivendo un intenso vulcanismo sottomarino sia nell’Oceano Indiano che il Golfo del Bengala.
Movimenti tettonici sono stati osservati in diverse aree negli ultimi nove mesi, dicevanono i geologi, tanto che essi non avevano abbastanza meccanismi di monitoraggio per tenerne traccia.
Vulcano sottomarino trovato al largo della costa antartica.
Nell Maggio 2004. la National Science Foundation ha annunciato che un vulcano sottomarino finora sconosciut era stato scoperto in una zona conosciuta sulla punta più settentrionale dell’Antartide.
Draghe a bordo della nave di ricerca Lawrence M. Gould hanno”recuperato abbondante basalto fresco.”
Anche se grandi aree del vulcano sono state colonizzate dalla vita sottomarina, nessuna forma di vita è stato trovata intorno al vulcano stesso, indicando che la lava fino a poco tempo ancora scorreva.
Sonde di temperatura hanno mostrato segni di riscaldamento geotermico dell’acqua di mare.
Nell’ottobre del 2005 alcune rocce di origine vulcanica hanno rivelato più vulcani sottomarini al largo del Messico settentrionale.
Queste tirate su dal fondo del profondo Pacifico al largo del Messico settentrionale sembrano provenire da un vulcano sottomarino molto giovane, dicono i geologi statunitensi e messicani.
Nel 2005 settantacinque vulcani sottomarini precedentemente sconosciuti scoperti tra la Nuova Zelanda e le isole Tonga secondo il geologo australiano professor Richard Arculus rappresentano una minaccia tsunami.
Invece nel Luglio 2005 la guardia costiera ha inviato elicotteri per monitorare una enorme colonna di vapore più della metà-di un-miglio elevarsi al di sopra l’Oceano Pacifico a sud-est di Tokyo, e ha avvertito le navi di stare alla larga.
L’acqua nella zona era rosso mattone.
E ‘altamente probabile che sia causata da una eruzione di un vulcano sottomarino,diceva” il portavoce della guardia costiera Shigeyuki.(non vedo altre cause francamente che possano generare un simile fenomeno.)
“Sospettiamo che i movimenti vulcanici sottomarini siano sempre attivi”, ha detto un altro funzionario della guardia costiera.
Sempre facendo riferimento al 2005, nel mese di maggio,in una spedizione per osservare il Vailulu’u , un vulcano sottomarino scoperto nel 1999 vicino alle Samoa americane, gli scienziati hanno visto un altro vulcano a crescere sulla caldera del primo, come l’isola di Crater Lake.
Gli scienziati hanno soprannominato il nuovo vulcano, a circa 20 miglia (32 chilometri) ad est dell’isola di Ta’u, Nafanua come la dea samoana della guerra.
Crescendo ad un ritmo di circa 8 pollici (20 cm) al giorno, Nafanua alto circa 1.000 piedi (300 metri) di altezza.
Potrebbe andare molto più alto, ha detto il geologo Hubert Staudigel presso l’Università della California a Scripps Institution of Oceanography
Gli scienziati sono stati sorpresi nel trovare anguille che vivono nella lava di recente formazione che hanno soprannominato la popolazione “Città anguilla.” (Sapendo che la temperatura del basalto dovrebbe essere di circa 2150 gradi Fahrenheit, mi chiedo perché non si vede qualsiasi commento su quanto calore venga riversato nel mare dai vulcani sottomarini?)
In Italia, al largo di Riposto è stato scoperto un vulcano sottomarino più esteso dell’Etna, con un apparato autonomo. II prof. Giuseppe Patanè.:
«E’ il risultato di 4 anni di studi condotti dai ricercatori della facoltà di Scienze geologiche dell’Università di Catania».
Sismi ed eruzioni. «I grandi terremoti della Sicilia orientale hanno origini vulcaniche. Il magma risale lungo la scarpata Ibleo-Maltese».
Un vulcano sommerso la cui estensione supera di tre volte quella dell’Etna; un vulcano il cui sistema di alimentazione è completamente autonomo rispetto a quello dell’Etna, da cui dista però solo pochi chilometri: a scoprirlo dopo quattro anni di accurati studi condotti nel tratto di mare compreso fra Riposto e Acicastello, è stato un gruppo di ricercatori della facoltà di Scienze geologiche dell’Università di Catania, guidato dal prof. Giuseppe Fatane, docente di Fisica terrestre, e composto da Ivan Agostino, Santo La Delfa e Riccardo Leonardi. Pubblicati di recente sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Elsevier”, i risultati dello studio riservano di sicuro ulteriori clamorosi sviluppi, a cominciare dalla dimostrazione della teoria secondo cui i grandi terremoti che nel corso dei secoli hanno colpito la fascia ionica della Sicilia sono strettamente correlati all’attività vulcanica del gigante etneo.
E non solo.
Ma andiamo con ordine. «Le dimensioni dell’edificio vulcanico sommerso sono davvero imponenti – spiega il prof. Patane -. L’abbiamo sempre avuto lì, sotto il naso, ma nessuno si è mai accorto della sua esistenza. La struttura, in grande, richiama alla mente le linee dell’Etna, con un enorme sprofondamento sul versante orientale che partendo da 500 metri sotto il livello del mare scende giù fino al piano abissale dove si raggiungono i 2500 metri di profondità.
Il diametro massimo della Valle del Bove è di 7 chilometri; quello della caldera sommersa è di 20 chilometri: cioè, tré volte più grande».
«Di sicuro si tratta di una struttura antecedente i fenomeni eruttivi etnei degli ultimi 100 mila anni e allo stato, non vi sono segni evidenti di attività, anche se sospettiamo una risalita di fluidi caldi». «La scoperta nasce per caso – racconta ancora lo studioso -.
Quattro anni fa stavamo conducendo una serie di .analisi nel Centro di astrofisica del Cnr di Bologna quando ci siamo ritrovati davanti una carta dei fondali marini al largo della costa etnea, carta sviluppata con una tecnica “multibeam” che si avvale di un sonar acustico. A balzare subito agli occhi fu quella strana morfologia a ferro di cavallo dei fondali marini prospicienti Riposto e Acireale. Questa singolare geometria non poteva essere casuale dato il peculiare assetto vulcanico e tettonico dell’area. E fu così che decidemmo di approfondire la questione coadiuvati dal Nucleo sommozzatori dei Vigili del fuoco di Catania, utilizzando altresì carte dei fondali della Marina militare e immagini satellitari forniteci dalla Us Navy». «Alla fine, l’elaborazione di tutti i dati raccolti non ha lasciato dubbi: al largo di Riposto e via via più a sud fino a Capo Mulini, i fondali marini raccontano una storia antica di 100 mila anni e forse più, una storia fatta di esplosioni ed eruzioni vulcaniche. In prossimità di Riposto, si eleva una vera e propria cresta lunga chilometri che i pescatori del luogo chiamano “la secca”, molto simile ai dicchi che si osservano nella Valle del Bove. A fianco, verso il largo, si erge un cono a forma di pandoro che potrebbe essere il prodotto di un vulcanismo tardivo. Più a sud, poi, ecco la famosa caldera – una depressione formatasi a seguito della demolizione di un grande apparato vulcanico – che somiglia alla Valle del Bove. Ed è probabile che le cause che hanno generato sia l’una sia l’altra siano le stesse, anche se i fenomeni sono avvenuti in uno spazio e in tempi decisamente diversi». «Ancora: più a sud, abbiamo individuato una cupola allungata in direzione Est-Ovest, la cui propaggine occidentale si trova in corrispondenza di Capo Mulini, Acitrezza e Acicastello. Questa appare come il prodotto della risalita del magma dal mantello sottostante, che ha dato origine ai numerosi dicchi e alle manifestazioni vulcaniche che si possono osservare lungo la riviera acese».
«Ce n’era abbastanza per far partire nuove ricerche sui fondali, utilizzando un robot (il Rov) comandato a distanza. Le riprese dei fondali sono straordinarie: abbiamo subito riconosciuto strutture a forma di “cuscino”, incrostate da depositi organogeni, immerse in una massa fangosa accumulatasi in migliaia di anni. Alcuni ciottoli vulcanici arrotondati dispersi in piccole spianate ci parlano di spiagge sommerse a una profondità di 80 metri, formatesi durante l’ultima glaciazione, quella di Wiirm.
Il passo successivo, come si è accennato, è stato quello dell’immersione di un gruppo misto di sommozzatori dei vigili del fuoco e di ricercatori dell’Università che, a una profondità di 100 metri, hanno raccolto e portato in superficie 20 chili di campioni di roccia che saranno studiati nei laboratori del dipartimento di Scienze geologiche dell’Università di Catania».
«Va da sé – continua Patanè – che l’esplorazione fin qui condotta è ancora ben modesta se si considera la vastità dell’area da studiare: 400 chilometri quadrati.
Tuttavia sono previste nuove immersioni per completare questa prima parte della ricerca, con l’utilizzo di apparecchiature ancora più sofisticate». «Nel frattempo siamo andati a guardare sia l’aspetto sismologico – c’è in quell’area una forte anomalia negativa della velocità delle onde P -, sia l’aspetto magmatico. Al pari dell’Etna, lungo la costa e soprattutto sotto il Chiancone – l’area di depositi di materiale vulcanico compresa fra Acireale e Riposto – abbiamo registrato una forte risorgenza magmatica.
Ecco perché riteniamo che non c’è alcuna soluzione di continuità tra quanto accaduto in mare nella notte dei tempi e quanto sta accadendo oggi sulla terra ferma». «E qui arriviamo a quelle considerazioni che gettano nuova luce sul quadro geodinamico e sismico della Sicilia orientale. Lungo tutta la scarpata IbleoMaltese, la frattura che ha generato i più violenti terremoti nell’area ionica, abbiamo una forte risalita di magma.
L’Etna così come lo vediamo oggi in realtà si è formato sotto la spinta di due fonti distinte: una è quella che continua a dare l’attuale attività eruttiva ed esplosiva, l’altra, indipendente dalla prima, è appunto legata alla scarpata Ibleo-Maltese».
«Da qui la deduzione prima e i riscontri dopo sulle origini del devastante terremoto del 1693: oggi possiamo affermare che quel sisma ebbe origini vulcaniche. Una tesi questa avvalorata dai dati raccolti in occasione della crisi tellurica del 2001 quando il campo di stress dei Monti Iblei prese a “ballare”. Una crisi determinata proprio dalla forte risalita magmatica sotto l’Etna. Per troppo tempo si è guardato al Mongibello come a una sorta di struttura a sé stante; ma così non è. Si tratta di un vulcano, non di un soggetto passivo». «La verità è che tutto trae origine dal mantello: se il mantello si muove sotto l’Etna, allora avremo un’eruzione; se al contempo si muove sotto gli Iblei, allora avremo la rottura lungo le scarpate o le faglie e dunque i terremoti». «Ecco: i grandi terremoti hanno origine dalla combinazione tra la spinta della zolla continentale africana su quella europea e il movimento che questa pressione genera nel mantello. Il nostro problema è costituito dalla crosta terrestre, l’elemento passivo che fa da filtro e ci impedisce d’osservare il movimento del mantello. Se potessimo perforare la crosta per almeno 2-3 chilometri e installare a quelle profondità sensori particolari, allora saremmo in grado di prevedere anche i terremoti. E’ solo una questione di denaro, perché gli strumenti oggi ci sono.
Ed è pure una questione di filosofia della ricerca scientifica le cui fonti d’approvvigionamento oggi sono più che mai sono saldamente nelle mani della, politica». «Un’ultima considerazione – conclude il prof. Patanè-: alla luce di quanto detto, viene da chiedersi se sia possibile un’eruzione dell’Etna alle basse quote così come avvenuto nel 1669. lo direi che è sì improbabile, ma non impossibile. Certo, perché questo accada si dovrebbe stravolgere in maniera drastica il campo di tensioni.
Nel Pacifico meridionale invece,nel 2008 una spedizione scientifica australiana nel Pacifico meridionale ha scoperto una catena di migliaia di vulcani sottomarini.
Alcuni alti piu’ di 1000 metri e possono rappresentare una fonte ricchissima di metalli pregiati.
I vulcani vanno da piccoli coni ad un colosso soprannominato Dugong, largo 50 km alla base e alto 1500 metri, e molti sono attivi.
La catena si trova presso il confine oceanico fra le Figi e Tonga lungo il ‘cerchio di fuoco’ del Pacifico.
Stesso anno stessa sorte in Islanda,nell’aprile un gigantesco vulcano sottomarino è stato scoperto a sud est dell’Islanda.
Si trova al largo della penisola Reykjanes e sembra che sia grande come la penisola stessa.
La scoperta è stata realizzata dal vulcanologo islandese Armann Haskudsson dell’Università dell’Islanda.
Stando ai primi accertamenti il vulcano potrebbe esplodere in un qualsiasi momento.
Ma perché l’eruzione potrebbe avvenire anche in tempi molto vicini? Spiega il vulcanologo: “Perché dalle prime ricerche eseguite possiamo affermare che il vulcano è attivo e poiché da secoli o forse millenni non ha prodotto eruzioni c’è da aspettarsi che ne arrivi una abbastanza vicina a noi nel tempo.
Certo non possiamo affermare che essa avverrà domani o fra un anno.
Potrebbe infatti, non avvenire ancora per secoli, ma non è da escludere che possa essere anche molto vicina a noi”.
Il vulcano si trova a circa 1.500 metri di profondità e quindi le lave della sua eruzione non dovrebbero interessare l’Islanda.
“Tuttavia – prosegue Haskudsson – terremoti di una certa intensità potrebbero interessare la penisola islandese prima che il vulcano entri in attività”.
Le dimensioni sono così enormi che la sua bocca a forma di caldera ha un diametro di circa 10 chilometri.
Secondo gli scienziati, la scoperta di tale vulcano lascia alquanto esterrefatti perché un vulcano di tali dimensioni non potrebbe esistere in un’area simile del pianeta.
L’Islanda infatti è nata sulla dorsale oceanica, la lunga frattura che divide in due l’Oceano Atlantico.
Da essa fuoriescono in continuazione delle lave creando anche piccoli vulcani, ma proprio per la sua continua attività e trasformazione in teoria vulcani di grandi dimensioni non dovrebbero riuscire a formarsi.
“La scoperta ci pone ora tante domande alle quali dobbiamo rispondere per capire esattamente come avviene la tettonica delle zolle”, spiega il vulcanologo.
Nel 2007 è stata scoperta una vera e propria rete vulcanica sul fondale sottostante le Eolie.
Sotto le isole Eolie c’è una “ragnatela” di faglie e condotti vulcanici.
Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) grazie ai rilevamenti delle anomalie magnetiche: lo studio, pubblicato dal Journal of Geophysical Research, servirà a predire meglio le zone dove potrebbe riprendere l’attività vulcanica.
”La realizzazione della mappa ad alta risoluzione delle anomalie magnetiche – spiega il responsabile del progetto, Massimo Chiappini – ha consentito di rilevare la presenza e la profondità di corpi vulcanici, antichi centri eruttivi sepolti, e strutture nascoste.
Dal punto di vista del rischio vulcanico i risultati del lavoro sono estremamente importanti in quanto abbiamo individuato faglie e centri eruttivi nell’area marina.
Lungo queste strutture è infatti plausibile la riattivazione dell’attività vulcanicà”.
Un rilievo aeromagnetico consiste nel coprire, in questo caso con un elicottero, un’estesa porzione di territorio con un magnetometro.
Anche al lato opposto della Sicilia nel Mediterraneo è stato già da tempo scoperto un vulcano sottomarino.
E’ stato chiamato Empedocle come il famoso filosofo-scienziato greco nato in Sicilia intorno all’anno 490 a.C.
Si tratta di un grande vulcano sottomarino che è stato di recente scoperto nei fondali davanti a Sciacca in Sicilia.
Il vulcano sommerso che è ancora attivo e si trova a circa 30 chilometri dalla costa ed è di dimensioni simili a quelle dell’Etna.
L’interessante scoperta è stata fatta da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Ingv di Catania che si trovavano in quella zona di mare per compiere ricerche sulla famosa Isola Ferdinandea l’isolotto vulcanico apparso nel Canale di Sicilia nell’estate del 1831 e scomparso sott’acqua pochi mesi dopo scatenando una feroce contesa.
Quest’isola “temporanea” è infatti stata subito oggetto di contesa fra gli inglesi che vi piantarono per primi la bandiera, i Borboni, che controllavano il Regno delle Due Sicilie e i francesi.
Il nome venne dato in onore del Re di Napoli Ferdinando II che nell’agosto 1831 la incluse nel regno.
L’isola Ferdinandea che è situata proprio sul rift continentale dove si scontrano la placca nordafricana e quella eurasiatica si trova a meno di otto metri dal livello del mare potrebbe riemergere così come ha fatto altre volte nel corso dei secoli..
La scoperta di Empedocle ha fatto capire agli scienziati che l’ Isola Ferdinandea ed altri vicini banchi sottomarini altro non sono che i coni di un immenso apparato vulcanico a forma di ferro di cavallo con una base di 25 x30 km ed una altezza di circa 500 metri dal fondo marino.
La scoperta di Empedocle è avvenuta grazie all’utilizzo di un rov, un dispositivo teleguidato munito di telecamera che può scendere a più di 150 metri di profondità, e di un sonar multifascio, un particolare strumento che permette di avere immagini molto chiare dei fondali marini.
Secondo i ricercatori l’origine del vulcano sottomarino scoperto al largo di Sciacca risale a diversi milioni di anni fa.(in teoria!)
Nei fondali non distanti dalle Isole Eolie si trova l’enorme complesso vulcanico chiamato Marsili che si eleva per 3000 metri dalla piana abissale fino a raggiungere soli 540 metri dalla superficie del mare.
Il Marsili, lungo 70 km, largo 40 km e con un volume di circa 1600 km3 ha, come da poco si è scoperto, con un diametro di 50 km e un’ età di circa due milioni di anni.
Il complesso vulcanico in questione presenta lungo i fianchi numerose bocche vulcaniche che, secondo gli studiosi, potrebbero produrre in futuro una consistente attività eruttiva.
Tale evento potrebbe essere la causa di un minaccioso maremoto che interesserebbe le coste della Calabria, della Sicilia, della Campania e della Sardegna. .
Alle Hawaii esiste anche un’altro vulcano attivo sottomarino detto Loihi,questo vulcano conferma ulteriormente la mia tesi che il vulcanismo sottomarino ed El Nino sono collegati.
Ricordando quanto detto prima su El Nino del 2005 e l’eccezionale ondata di uragani di quell’anno..
L’USGS-ANSS (Advanced System Sismico Nazionale) riporta che un piccolo sciame di circa 100 scosse (le 3 più grandi sono state di 4 magnitudo Richter e tra i 12 e i 28 km di profondità) si sono verificate sotto il Loihi il 7 dicembre 2005.
Un terremoto successivo (magnitudo stimata 4.7) era avvenuto il 18 gen 2006, all’incirca a metà strada tra la Loihi e Pahala (sulla costa del S. Big Island).
L’USGS-ANSS ha riferito che altri terremoti di magnitudo 5.1 e 5.4 si erano già verificato sotto il Loihi il 13 maggio e il 17 luglio (entrambi a 44 km di profondità), e un terremoto di magnitudo 4,3 si era verificato il 23 aprile a circa 33 km di profondità).
Nel 1996 invece,l’anno in cui dopo il ’95 El Nino stava andando progressivamente calando,Loihi ha avuto almeno 2 eruzioni in quell’anno.
Per i 2 mesi durante l’estate del 1996, il più grande sciame di terremoti mai registrato su un QUALSIASI vulcano hawaiano si è verificato sul vulcano Loihi montagne iniziando il 17 luglio del 1996 e continuando fino alla fine di agosto, per un totale di oltre 4000 terremoti con oltre 40 terremoti di magnitudo tra 4 e 5 registrati dalla rete di World Wide sismica.
Nel mese di agosto 1996, la National Science Foundation, ha finanziato una spedizione sul Loihi dagli scienziati dello Utah e ha iniziato a studiare questo evento unico e la sua origine. I seguenti sono alcuni dei risultati:
· Ci sono state almeno una, forse due eruzioni sul Loihi nel 1996, sulla base della datazione radiometrica di lave giovani raccolte con equipaggio-sommergibile dal Loihi
· Il vertice di Loihi ha subito alcuni cambiamenti drastici nel 1996, compresa la formazione di un terzo cratere e la deposizione di grandi quantità di sabbie e ghiaie vetrosi nella parte meridionale .
· Nuove emissioni di gas il più caldo mai osservato sulle acque del Loihi (fino a 200 ° C) presenti nel nuovo cratere.
· La colonna d’acqua soprail Loihi ha una maggiore attività idrotermale vicino alla vetta .
Le sorprese non sono ancora finite..
http://daltonsminima.altervista.org/?p=17294

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