È un bene o no che l’Unione Europea resti ancora in piedi?
Premesso che con “tutti” intendo gli europei, e non gli “ospiti” che – a vario titolo, grazie alla compiacenza delle “istituzioni” e alla propaganda buonista imperante – sono riusciti negli ultimi anni a stabilirsi qua alla chetichella senza averne alcun diritto; e premesso ancora che da “tutti” sono esclusi quelli – “europei” sulla carta – che con la cosiddetta “Unione Europea” hanno mangiato a quattro palmenti alle spalle della gente normale che tira la carretta; premesso tutto questo, cerchiamo di capire se – al di là dell’orgia di propaganda “europeista” di questi giorni – è un bene o no che l’Unione Europea resti ancora in piedi.
In vista delle elezioni presidenziali francesi (sempre che la reale posta in gioco sia l’uscita della Francia o quantomeno un suo sganciamento dall’area d’influenza tedesca) cercano di convincerci dell’assoluta necessità dell’UE, terrorizzandoci sul “caos” che deriverebbe dalla fine dell’UE stessa.
Che cosa potrebbe accadere di catastrofico? Nulla, esattamente come dalla fine della Nato, senza la quale – pensano le mosche cocchiere dell’islamofobia – saremmo già sottomessi al “califfo” dell’Isis (questa creatura di cartapesta dei servizi segreti occidentali), così come, in passato, saremmo stati tutti sovietizzati a forza.
Senza gli Stati Uniti d’Europa (l’Unione Europea) e la Nato, verrebbe meno la gabbia che ci ha costretto a tutta una serie di rinunce sostanziali (nei settori del lavoro, della politica industriale ed agricola, del controllo delle frontiere, tanto per citarne alcune), in cambio di “vantaggi” immediati illusori quanto insignificanti come la mobilità interna e l’utilizzo di una “moneta unica”, peraltro non adottata all’unanimità e gravata da un vizio d’origine gravissimo, essendo venduta dalla privatissima BCE, alla stregua di una merce, agli Stati che l’hanno adottata (e che per questo “s’indebitano”) .
Non parliamo poi dell’allargamento ad est, in funzione anti-russa, del dispositivo militare della Nato. La pratica per l’adesione agli Stati Uniti d’Europa (chiamiamo l’UE col suo vero nome!) ha regolarmente previsto, per paesi come Polonia, Romania, Bulgaria ecc. l’inclusione nell’Alleanza Atlantica, che ragiona ancora come se a Mosca comandasse la nomenclatura sovietica. Questa politica aggressiva (e non difensiva), sostenuta da una propaganda anti-russa vergognosa, ci ha portato in più d’una occasione sull’orlo del baratro di una guerra devastante (Ossezia 2008, Ucraina 2013), evitata solo perché a Mosca comanda qualcuno assennato.
A livello interno, il caos sociale e la progressiva depauperazione della popolazione autoctona sono andati avanti come un rullo compressore. Tutto si è svalutato (a cominciare dal valore degli immobili), i giovani non hanno alcuna prospettiva (a meno che si voglia prestar fede alla favola delle “start up”), i negozi a gestione familiare sono sempre più rari, perché sono avvantaggiati solo i centri commerciali con catene “internazionali”. Le cosiddette “deregolamentazione” e “liberalizzazione”, al grido di “meno Stato”, hanno prodotto, tanto per fare alcuni esempi, l’insinuarsi di una sanità sempre più privatizzata e a pagamento, la svendita di tutto il patrimonio pubblicoaccumulato per generazioni (coadiuvata da apposite campagne pseudo-moralizzatrici a colpi di “scandali” e “indignazioni”), lo smantellamento di tutta l’industria pesante di Stato (col che anche la piccola e media impresa ha cominciato ad annaspare): siamo passati dall’essere la settima potenza mondiale ad un luogo da cartolina, dove comprare abiti firmati e scattare foto pittoresche a gente sempre più scimunita.
Il degrado, specialmente nelle grandi città (ma che sta erodendo anche i capoluoghi di provincia), è un fatto talmente evidente che non c’è nemmeno il bisogno di commentarlo. Eppure tutto, ufficialmente, va benissimo, perché qua c’è “la sindaca” e là organizzano la “domenica a piedi”. D’altra parte non ci si può aspettare di più da gente che combatte il “terrorismo” (dei servizi segreti) coi palloncini e i gessetti colorati.
Il quadro è sconfortante e non accenna ad inversioni di rotta, fintanto che ci saranno l’Unione Europea e la sua “classe dirigente” di signor nessuno cooptati dalle oligarchie dei creatori di moneta.
Penso dunque che senza questa camicia di forza dell’euro, di Schengen, di Maastricht, dell’oligarchia europoide, di Bruxelles, di Strasburgo, della Corte europea, del “commissariamento” sine die, del “patto di stabilità”, del pareggio di bilancio, del MES, dell’Eurogendfor e del Mandato di cattura europeo (e scusatemi se mi sono dimenticato qualcosa) vivremo tutti meglio, senza alcun dubbio.
I negozi a conduzione familiare gestiti da italiani vanno piano piano (anzi velocemente)chiudendo perché sono avvantaggiati i centri commerciali con catene "internazionali",ma in controtendenza dai borghi più sperduti fino alle grandi città sono cresciuti ad una velocità incredibile i negozi(in particolar modo nel settore degli alimentari e del tessile)gestiti da stranieri(sopratutto arabi e cinesi).Allora a me sorge una domanda che a volte penso quasi sia una certezza: lo stato italiano non soffoca con la burocrazia, tasse e balzelli vari le attività commerciali messe in piedi dagli stranieri come fa con gli italiani fino al punto che un commerciante onesto è costretto a chiudere? O la solita esterofilia dei nostri governanti agevola le attività imprenditoriali degli stranieri rispetto a quelle degli italiani? Ed un ultima domanda:come fa uno straniero(ne conosco personalmente)arrivato dal suo paese senza niente,aiutato dal comune dove risiede anche per pagare affitto e bollette nel giro poi di poco tempo aprire un negozio,quando un italiano non ci riesce neanche in una vita di lavoro e avendo qualche soldo da parte?
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