La domanda nasce da un’inchiesta recente del Fatto Alimentare sull’argomento: perché nel latte artificiale per neonati è presente l’ olio di palma?
La questione sorge spontanea nel momento in cui, a detta del sito, questa sostanza non migliorerebbe in alcun modo la frazione lipidica contenuta nel latte per neonati. Altri oli vegetali, come ad esempio l’olio di girasole o l’extravergine di oliva, avrebbero un’utilità maggiore in questo senso.
La questione sorge spontanea nel momento in cui, a detta del sito, questa sostanza non migliorerebbe in alcun modo la frazione lipidica contenuta nel latte per neonati. Altri oli vegetali, come ad esempio l’olio di girasole o l’extravergine di oliva, avrebbero un’utilità maggiore in questo senso.
Ma facciamo un passo indietro. Secondo le aziende produttrici, la presenza di diversi tipi di olio all’interno del latte artificiale, nascerebbe dalla necessità di integrare il latte vaccino con alcune sostanze presenti unicamente nel latte umano, in particolare l’acido oleico, l’acido palmitico e alcuni grassi essenziali (omega3 e omega6). È così, ad esempio, che alcune aziende interrogate sull’argomento dal Fatto Alimentare, giustificano la presenza di olio di palma nel proprio latte artificiale. Altre aziende, come la Coop, invece, hanno fatto la scelta diametralmente opposta: preferiscono utilizzare l’extravergine di oliva o altri oli vegetali monosemi, perché l’olio di palma è stato indicato come nocivo in alcune ricerche scientifiche.
Ma quali sono le conseguenze di questo ingrediente per la crescita e lo sviluppo di un neonato? La risposta è controversa.
Il dottor Enrico Gasparrini, dell’ospedale di Macerata, sostiene ad esempio che dopo una “ricerca nella letteratura scientifica internazionale più recente”, non sarebbe stato in grado di trovare “dati che permettano una unanime condanna né per quanto riguarda eventuali deficit di mineralizzazione ossea […], né per quanto riguarda la possibilità di future patologie cardio-vascolari e/o diabete”.
Scandagliando la rete, in effetti, troviamo una sola ricerca scientifica che associa il consumo di olio di palma ad alcuni problemi di crescita dei bambini. Secondo lo studio, i neonati svezzati con un latte artificiale “contenente olio di palma come olio predominante nella miscela lipidica hanno un grado significativamente minore di contenuto minerale e densità minerale nelle ossa di quelli svezzati con un latte senza olio di palma”.
Ricordiamo però come anche il Consiglio Superiore della Sanità belga abbia espresso i propri dubbisul consumo di quest’olio all’interno dell’alimentazione umana. E aggiungiamo che è l’accumulo di questa sostanza in innumerevoli prodotti industriali che consumiamo ogni giorno, a costituire un potenziale rischio per la salute. Lo spiega bene la tecnologa alimentare Fabiana Fanella, che sottolinea che il neonato, attraverso il latte,“comincia già ad assumere olio di palma, poi in fase di svezzamento arriva il biscottino con olio di palma, poi cresce e arrivano le merendine e biscotti tutti con olio di palma… Tutti grassi saturi di cui il bambino non ha bisogno in elevata quantità. Non si vuole stigmatizzare un solo ingrediente o un solo tipo di alimento, ma è necessario avere una visione globale della questione”. E il Fatto Alimentare ricorda come l’olio di palma contiene, sì, “acidi grassi polinsaturi che favoriscono lo sviluppo del bambino, ma contiene anche acidi grassi saturi che a lungo andare portano a ipercolesteromia, iperglicemia e problemi cardiovascolari”.
Ma allora, perché se non è così indispensabile e se i suoi effetti sulla salute sono controversi, le aziende decidono di inserire proprio l’olio di palma all’interno dei loro prodotti? Senza contare che,come abbiamo visto altre volte, la coltivazione di quest’olio ha effetti devastanti in termini di impatto ambientale.
La risposta a cui giunge il Fatto sarebbe di natura economica: l’olio di palma costerebbe di meno e quindi converrebbe alle aziende produttrici.
(Foto: packaging-gateway.com)
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