Ricercatore italiano scopri' antiche pietre azzurre fatte per il 77 % di ossigeno!!!

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Angelo Pitoni è un geologo e botanico, agronomo, archeologo dilettante, con una passato nell’O.S.S.(!), l’antenato della famigerata C.I.A. (la Criminal infamous agency). Come credenziali sono piuttosto inquietanti, ma tant'è... 

L’avventuriero compì la sua più importante scoperta in Sierra Leone nel 1990 dove si era recato per valutare la consistenza di alcuni giacimenti minerari. Durante un colloquio con un capotribù locale, venne a conoscenza di una misteriosa storia circa un’atavica progenie di angeli ribelli, esecrati da Allah e precipitati sulla Terra. 

In loco il globetrotter reperì delle delle curiose pietre azzurre che furono esaminate in Europa ed in Giappone. Le analisi condotte nei laboratori dell’università di Ginevra, di Roma, di Utrecht, di Tokyo e di Freiberg stabilirono che quei ciotoli azzurri non erano naturali. La loro composizione chimica (77% tra ossigeno, carbonio, silicio, calcio e sodio) induceva a pensare ad una specie di intonaco. 

Pietre simili furono trovate in un souk del Marocco: analizzate a Londra, diedero gli stessi risultati. Oltre alle skystones, Pitoni rinvenne le statuine degli angeli caduti, Nomoli, dai volti grotteschi e terrifici. Pitoni che, attraverso la stratigrafia, riuscì a datare i reperti archeologici al 12.500 a.C. circa, venne a sapere che sculture simili ai Nomoli erano custodite nel British Museum di Londra ed al Musèe de l’Homme di Parigi: in entrambi i casi i curatori dei musei gli spiegarono che le sculture non sono attribuibili ad alcuna conosciuta cultura del continente africano. 

Le statuine della Sierra Leone sono macrocefale: hanno occhi grossi e sporgenti. Curioso è il fatto che siano di granito e rimontanti ad un periodo in cui, secondo l’archeologia ortodossa, gli uomini non scolpivano questo tipo di pietra. E’ interessante notare la somiglianza tra il termine Nomolo ed il vocabolo Nommo, parola con cui i Dogon del Mali identificano le creature provenienti da Sirio B. 

L’aspetto più sorprendente della scoperta riguarda un’analogia iconografica tra alcuni Nomoli ed un’opera megalitica della Sila: tale possente opera raffigura un uomo a cavalcioni di un elefante preistorico (Elephas antiquus), dalle zanne incurvate leggermente verso l’interno. Nel sito calabrese si possono ammirare, oltre all’elefante di Campana, altri enormi simulacri litici che non sono rocce modellate dagli agenti atmosferici, ma colossi su cui sono visibili le tracce di lavorazione scultorea. Il complesso monumentale, noto come “Cozzo dei Giganti”, è stato studiato dall’architetto Domenico Canino. Egli ha portato alla luce una documentazione da cui si evince che il sito era noto nel XVII secolo ed anche prima. Il dottor Canino collega il toponimo Sila (luogo delle acque?) ad una serie di altre località i cui nomi si riferiscono all’acqua: alcuni glottologi riconoscono in queste radici toponomastiche un substrato arcaico che origina dal sumero. 

La tradizione sumerica dunque ancora una volta come humus su cui attecchirono le piante delle posteriori civiltà? 

L’archeologia riserva sempre delle sorprese che gettano un barlume sul lontano passato, ma anche, per chi ha intuito quanto la contemporaneità affondi le sue radici in un enigmatico retroterra, sul nostro traballante, tumultuoso presente… 


Fonti: 

D. Canino, L’elefante della Sila, Calabria grande: scherzo della natura o scoperta archeologica?
Id., Le pietre dell’Incavallicata, 2007 
Mistery hunters, Il Cozzo dei Giganti, 2012


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