Malgrado una serie di evidenti differenze dottrinali, tutte le grandi religioni condividono un principio fondamentale: gli esseri umani sono immortali ed il loro spirito proviene da una dimensione divina dove è dato loro di fare ritorno.
Fin dalle prime forme di espressione spirituale, fu questa la grande promessa e speranza offerta dalle grandi religioni ai rispettivi fedeli. La risposta eterna del credente al cinismo dei materialisti che affermano che la morte sia la fine.
Fin dalle prime forme di espressione spirituale, fu questa la grande promessa e speranza offerta dalle grandi religioni ai rispettivi fedeli. La risposta eterna del credente al cinismo dei materialisti che affermano che la morte sia la fine.
Gli antropologi possono solo teorizzare che i primi homo sapiens
(30.000 a.C.) praticassero sepolture rituali di tipo religioso. La cosa
certa è che seppellissero i loro defunti con cura, corredando le tombe
con alimenti, armi e manufatti di vario genere. Anche i neanderthal
(100’000 a.C.) includevano cibo, utensili in pietra, conchiglie e
decorazioni nelle tombe dei loro defunti, spesso ricoprendoli con un
pigmento rosso. Poiché non esistono testimonianze scritte circa lo scopo
di simili usanze funerarie (la scrittura si sviluppò intorno al quarto
millennio a.C.), possiamo presumere che il corredo funerario fosse motivato dalla credenza che la morte non fosse la fine.
Il membro defunto della tribù o del clan aveva bisogno di cibo e
protezione affinché il suo viaggio nell’oltretomba fosse il più comodo e
sicuro possibile. In qualche modo era dato per scontato che qualcosa
della persona sopravvivesse alla morte.
Tale componente umana in grado di sopravvivere alla morte è nota nel Cristianesimo, nell’Islam e nell’Ebraismo con il nome di anima, ovverosia l’essenza della singola persona chiamata a rispondere delle proprie azioni terrene. L’Induismo percepisce questa essenza spirituale come la porzione divina di ogni essere vivente, l’Atman, che è eterno e persegue il ricongiungimento con l’Anima Universale, o Brahman. Il Buddismo insegna che un individuo non è che una combinazione transitoria di cinque aggregati (skandha): materia, sensazione, percezione, predisposizione, e coscienza,
e che dunque non sia in possesso di un’anima eterna. Tra i principali
credo, solo il Buddismo non concepisce una componente metafisica eterna
che sopravviva alla morte. Ad ogni modo tutti i credo sono concordi nel
ritenere che dopo l’abbandono del corpo fisico lo spirito passi ad un’altro stato di esistenza.
Alcuni sostengono che ascenda in un paradiso o discenda in un inferno.
Altri che possa rinascere in un nuovo corpo oppure confluire nell’eterna
unità divina. Il Cristianesimo originario, l’Islam e l’Ebraismo
concordano nel prevedere la resurrezione del corpo fisico, che avrà
luogo nel giorno del Giudizio Universale. In linea generale
comunque l’anima è considerata di maggior rilevanza rispetto al corpo da
essa ‘occupato’ durante l’esistenza terrena. Il gusciomateriale
in cui l’anima dimora non è che l’argilla o cenere in cui Dio ha infuso
il soffio della vita. Il corpo fisico è qualcosa che l’essere umano ha,
non ciò che è.
Tutte le principali religioni
sostengono che le azioni commesse durante l’esistenza terrena
influiscano sul destino dell’anima dopo la morte fisica. Molti
insegnamenti affermano che l’unica ragione della nascita nel mondo
materiale sia la preparazione dell’anima all’accesso ai mondi
immateriali. Il modo in cui l’anima risponde alle sfide
presentate dalla vita sulla Terra determina come sarà trattata dopo la
morte del corpo. Ogni seme piantato nella vita terrena, sia buono che
cattivo, produce i suoi frutti nella vita ultraterrena.
Dopo
la morte fisica – secondo molti credo – l’anima sarebbe giudicata, e
poi condotta in un ‘luogo’ percepito come una dimensione di eterno
benessere o di eterna sofferenza. Gli induisti ed i buddhisti prevedono
di incontrare Yama, il dio dei morti. Nelle
scritture induiste Yama controlla l’accesso ai regni luminosi, e la sua
decisione può essere influenzata mediante le offerte votive di parenti e
amici del defunto. Nella tradizione buddista Yama è il signore
dell’inferno che valuta la punizione secondo il karma di ogni individuo,
la causa e l’effetto delle sue azioni sulla Terra. In entrambe i miti
Yama non è paragonabile al Satana della fede cristiana, in quanto quest’ultimo è il creatore del male e l’istigatore delle debolezze umane.
Cristianesimo,
Islam ed Ebraismo sembrano fare confusione circa il concetto di
paradiso e inferno, dato che al contempo profetizzano un ‘giorno del
giudizio’ in cui i morti risorgeranno fisicamente. E quando la Chiesa cattolica aggiunse la dottrina del purgatorio,
nel XVI secolo, la questione si fece ancora più complessa perché da
quel momento alcune anime avrebbero avuto la possibilità di espiare i
loro peccati soggiornando in una sorta di zona intermedia tra il
paradiso e l’inferno. Mentre molti cristiani, ebrei e musulmani
ritengono che i morti attendano il Giorno del Giudizio nelle loro tombe
fisiche, altre correnti di pensiero delle stesse fedi sostengono che il
giudizio sia pronunciato subito dopo la morte. Allo stesso modo, il
concetto di Mondo a Venirenegli scritti ebraici può riferirsi ad un futuro di riscatto edenico che avrà luogo sulla Terra.
BUDDHISMO
Mentre
i testi scritti buddhisti contemplano l’esistenza di un se individuale
che distingue una persona da un’altra, la tradizione orale sostiene che
il concetto di anima eterna metafisica delle dottrine cristiana,
induista, ebraica e mussulmana, sia impreciso.Secondo i buddhisti
la persona umana non è che un temporaneo assemblaggio di diversi
elementi fisici e psichici, e nessuno di essi può essere isolato e
associato al se essenziale; nemmeno la somma delle parti. Tutta
la realtà è in uno stato costante di cambiamento e decadimento. Poiché
un essere umano è composto da vari elementi che si trovano in un
continuo stato di flusso che li dissolve e ricompone in nuove forme, è
impossibile pensare che un individuo conservi la stessa anima-se per
l’eternità. Anziché insegnare il concetto di Atman riscontrabile nei loro scritti, gli insegnamenti orali buddisti insegnano il concetto di anatman, cioè ‘non-se.’
Benché il Buddha (567-487 a.C.) negasse il concetto induista di un se immortale, accettò le dottrine del karma (la legge del rapporto tra causa ed effetto che permea l’esistenza materiale) e del samsara (rinascita).
Ma se aveva riconosciuto il concetto di rinascita, come faceva a negare
l’esistenza di un se essenziale o un’anima? In che senso intendeva il
concetto di rinascita? La risposta buddista è difficile da comprendere;
il riassemblaggio delle parti in questo processo di continuo cambiamento
– infatti – non avverrebbe per caso. Le leggi karmiche determinano la
natura della rinascita di una persona. Numerosi aspetti che compongono
un essere umano funzionante durante il suo ciclo di vita entrano a far
parte del santana, la ‘catena dell’essere,’ i cui anelli sono collegati dalla legge di causa ed effetto. Mentre
non esiste alcun Atman o se individuale che possa reincarnarsi, il ‘se
contingente’ che esiste di momento in momento, costituito da aggregati impregnati
degli effetti del karma, ha il potenziale per rinascere ancora e
ancora. Poiché gli aggregati di ogni persona sono il frutto delle sue
azioni e dei suoi desideri, l’evento della morte innesca una
‘conseguenza’ collegata a tali aggregati, che li costringe a
manifestarsi ancora nel ciclo infinito del karma. Il dharma,
cioè il complesso di leggi fisiche e morali che governa l’universo,
fluttua e modifica in continuazione ogni aspetto umano. Istruito dal
karma, il dharma riorganizza il processo di rinascita per formare un
nuovo individuo.
Nel suo primo sermone: La Nobile Verità della Sofferenza (Dukha) il Buddha espone le sue opinioni sugli aggregati che costituiscono la condizione umana:
“La Nobile Verità della Sofferenza è questa:
nascere è sofferenza; invecchiare è sofferenza; la malattia è sofferenza; la morte è sofferenza; il dolore, il lamento, la disperazione sono sofferenza; l’associazione allo spiacevole è sofferenza, la dissociazione dal piacevole è sofferenza; non ottenere ciò che si vuole è sofferenza. In breve, i cinque aggregati dell’attaccamento sono sofferenza.”
Il consiglio dato dal Buddha a
coloro che intendano superare le leggi karmiche della morte e della
rinascita è quello di vivere una vita religiosa contemplativa:
Gli uomini che non hanno condotto un’esistenza religiosa e che non hanno accumulato molti tesori in gioventù, periscono come vecchi aironi in un lago senza pesci.
Dhammapada 155: 56
Tale
consiglio ricorda le parole di Gesù in Matteo 6: 19-21 quando ammonisce
coloro che spendono energie per accumulare tesori sulla terra, dove
tignola e ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano,
piuttosto che accumulare tesori in cielo, dove né tignola né ruggine
possono consumare e dove i ladri non scassinano e non rubano. ‘Perché
dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.’
Il Dharma è il percorso che conduce verso il fine ultimo del Nirvana, che gli insegnamenti buddhisti descrivono come la definitiva estinzione del desiderio di esistere,
o un elevato livello di esperienza mistica raggiunto tramite
meditazione o trance. Esso non significa mai il completo annientamento
del se, ma solo l’annientamento del desiderio di rinascere. Il più delle
volte il Nirvana vuole indicare uno stato mutato di coscienza capace di
concepire una realtà che sia indipendente del mondo materiale.
Quando
il desiderio di continuare l’esistenza in forma carnale è stato spento,
e “quando un figlio del Buddha compie il suo percorso, nel mondo a
venire, viene Buddha.” Raggiungere lo stato di ‘buddhità’ equivale a
realizzare il Brahma induista, l’Assoluto, il Definitivo. Una volta
raggiunti tali livelli di coscienza si ritiene che l’individuo si liberi
per sempre dalla realtà fisica e torni a fondersi con la realtà eterna.
Esistono molte scuole di Buddhismo, ed è difficile trovare uniformità circa il concetto di vita dopo la morte. Il Libro dei Morti
del Buddismo tibetano ci fornisce una fonte importante per la
comprensione del loro concetto di viaggio dell’anima nell’aldilà. Unlama (sacerdote) siede al lato del defunto e recita le parole del libro. Tale rituale è pensato per semplificare il rilascio del Bla,
la forza vitale all’interno del corpo, e infonderle il potere di
intraprendere un viaggio di 49 giorni attraverso la fase intermedia tra
la morte e la successiva rinascita. Tale lettura effettuata dal
sacerdote al capezzale del defunto potrebbe includere le seguenti parole
del Libro Tibetano dei Morti:
“Dal momento che [non] possiedi un corpo materiale di carne e di sangue, tutto ciò che potrai incontrare sotto forma di suoni, luci o raggi è – in tutti e tre i casi – incapace di farti del male; sei incapace di morire. Ti basti sapere che queste apparizioni sono le tue forme-pensiero. Prendi atto che questo sia il bardo [lo stato intermedio dopo la morte].”
Se non è prevista alcuna
rinascita per l’anima, appare Yama, dio dei morti che la dovrà
giudicare. Sia il buddismo che l’induismo collocano Yama, dio dei morti,
nel ruolo di giudice nell’aldilà, e questi passi del Rig-Veda
raffigurano la speciale venerazione dedicata a Yama:
“Yama fu il primo a trovarci una dimora, un luogo che non può essere portato via, un luogo da cui i nostri antichi padri si sono allontanati; coloro che nascono sono destinati a farvi ritorno, percorrendo il cammino a ritroso. Ad incontrare i Padri, a incontrare Yama, ad incontrare la realizzazione del più elevato dei desideri; mollare gli ormeggi delle imperfezioni, ritrovare la dimora e riunirsi ad essa come un unico corpo brillante.”
CRISTIANESIMO
Il nucleo del credo cristiano è la fede nella risurrezione di Gesù
avvenuta dopo la sua morte in croce e la promessa della vita eterna a
coloro i quali accettino la sua Divinità e credano in lui. Dato che il
Cristianesimo deriva dal giudaismo, gli insegnamenti di Gesù
tramandati dai Vangeli riflettono molte delle credenze ebraiche in
merito all’anima e alla vita dopo la morte, prima tra tutte la
prospettiva di un ricongiungimento del corpo con l’anima in un ‘prossimo
mondo.’La storia dell’apparizione di Gesù ai propri
apostoli dopo la risurrezione narra di come essi presero atto della sua
reale risurrezione fisica. Anche lo scettico Tommaso credette, dopo
avere toccato con mano le ferite ancora fresche della crocifissione.
“Uno spirito non ha carne e ossa, ma io le ho”, dice loro Gesù. Poi, per
sottolineare la sua fisicità, domanda loro se hanno qualcosa da
mangiare.
Paolo (? – 68 d.C.), apostolo un
tempo accanito persecutore dei cristiani, ricevette la rivelazione dalla
voce di Gesù emessa da una luce accecante, mentre era in viaggio sulla
via di Damasco. Quando predicò ad Atene, la sua missione evangelica andò
in conflitto con la necessità di persuadere la gente a credere nella
risurrezione fisica. I cittadini ateniesi ascoltarono educatamente il
suo annuncio di una nuova fede, ma iniziarono a schernirlo e ad
allontanarsi quando iniziò a parlare di risurrezione fisica. Quella
gente era cresciuta sotto l’influenza culturale della filosofia platonica, secondo cui il corpo sia in realtà una prigione
da cui l’anima si libera con la morte, e l’idea di risurrezione carnale
risultava loro ripugnante. Paolo però non si diede per vinto. La sua
cultura ellenica lo condusse a compiere un’opera di sincretismo
mediante cui riuscì a conciliare la teologia della risurrezione fisica
tramandata dai compagni apostoli, e il punto di vista platonico
dell’anima diffuso nella società greca.
Paolo sapeva che Platone aveva descritto l’anima come composta da tre elementi: ilnous, (l’anima razionale, immortale e temporaneamente incarnata in un corpo fisico); ilthumos (passione, cuore, spirito); e l’epithumetikos (desiderio).
Dopo mille difficoltà Paolo elaborò una dottrina che prevedeva che la
natura umana fosse composta da tre elementi essenziali: il corpo fisico; la psiche (il principio vitale, equivalente al concetto ebraico del nefesh), e lo pneuma, spirito, o se interiore.
Sviluppando ulteriormente il suo pensiero distinse poi tra il ‘corpo
naturale’ di una persona vivente che muore e viene sepolta, e il ‘corpo
spirituale’, destinato a risorgere.
Nei Corinzi 15: 35-44, Paolo scrive:
“Qualcuno chiede: ‘Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?’ Stolto! Ciò che tu semini non prende vita se prima non muore. E ciò che è seminato non è il corpo, ma un semplice chicco. … E’ Dio che gli dona un corpo come Egli ha scelto, e ad ogni tipo di seme, il proprio corpo. Esistono corpi celesti e corpi terrestri; ma la gloria dei corpi celesti è una cosa, e la gloria dei corpi terrestri è un’altra cosa. … Così è con la risurrezione dai morti. Ciò che è seminato e corruttibile, risorge incorruttibile. Ciò che è seminato ignobile, risorge nella gloria. Ciò che è seminato debole, risorge potente. Si semina un corpo fisico, si raccoglie un corpo spirituale. Se c’è un corpo fisico, c’è anche un corpo spirituale.”
L’opera di
conciliazione della dottrina platonica con quella ebraica gli consentì
di convertire migliaia di persone, tuttavia Paolo non abbandonò mai
completamente il concetto ebraico di una qualche forma di aldilà vissuta
in forma fisica. Paolo ed i suoi compagni missionari del I secolo
insegnarono che mentre l’anima immortale era l’aspetto essenziale
dell’esistenza di una persona al fine di una corretta vita ultraterrena,
sarebbe giunto il giorno del giudizio, in cui i giusti sarebbero stati
ricompensati con la risurrezione del corpo.
I primi
reggenti della Chiesa cattolica plasmarono sempre più spesso la
dottrina cristiana sui concetti della filosofia metafisica di Platone,
ma tra le due dottrine vi fu sempre divisione circa la particolare
natura dell’anima immortale. Per i platonici l’anima è qualcosa di
sovra-individuale, facente parte di un’anima cosmica universale diretta
verso l’Unità con il Divino. I filosofi cristiani non transigono dalla
posizione per cui ogni anima è creata da Dio per essere immortale e
individuale. Tra di essi Tertulliano (160 d.C – 220 d.C.) definì l’anima
come qualcosa nata direttamente dal soffio di Dio, dunque immortale.
Dal punto di vista platonico il corpo non è che uno strumento usato
dall’anima. Lo studioso alessandrino Origene (185 d.C. – 254 d.C.)
teorizzò che in principio Dio abbia creato un certo numero di entità
spirituali a cui abbia donato organi fisici o corpi spirituali
commisurati ai rispettivi meriti. Alcuni potrebbero definirsi umani
mentre altri – in base al loro comportamento – furono elevati allo stato angelico, e altri relegati al ruolo di demoni.
Tale concetto di preesistenza delle anime era troppo adiacente a quello direincarnazione
per i dotti studiosi cristiani riuniti presso il primo Concilio di
Costantinopoli nel 543. Da allora, la dottrina della Chiesa aveva
decretato che ad ogni anima fosse dato di vivere una sola vita per poi
attendere il giorno del giudizio, quando Gesù Cristo sarebbe ritornato
sulla Terra. Nonostante il suo prestigio come padre della chiesa,
Origene e la sua dottrina furono giudicati eretici. L’opinione
prevalente della chiesa paleocristiana era quella formulata da Girolamo
(342 d.C. – 420 d.C.), che prevedeva la creazione di una nuova anima da parte di Dio a ogni nuova nascita.Concetto
rimasto sostanzialmente invariato nel Cristianesimo contemporaneo.
Nella dottrina cristiana l’anima è superiore al corpo data la sua
origine divina ed essenza immortale, ma la fede nella risurrezione del
corpo fisico resta un aspetto essenziale.
Nel
capitolo 25 di Matteo, Gesù narra la parabola del Figlio dell’uomo che
giungerà a sedersi sul suo trono, circondato dalle genti di tutte le
nazioni per separarle come il pastore separa le pecore dai capri. Le
persone che avranno amato il loro prossimo come se stessi saranno
ricompensate con la vita eterna, ma chi avrà scelto l’avidità e
l’interesse personale subirà un eterno supplizio. In Atti 17:31, si
afferma che Dio abbia nominato Gesù per giudicare il mondo.
Per
la tradizione cristiana il cielo è l’eterna dimora di Dio e degli
esseri angelici che lo hanno servito fedelmente fin dall’inizio. Lì, i
cristiani che sono stati redenti mediante la fede in Gesù come il Cristo
saranno al suo fianco nella gloria eterna. I cristiani liberali
riconoscono che, come Gesù ha affermato, ci sono molte dimore nel regno
del Padre; dimore dove possono abitare i credenti di altre fedi.
L’Inferno,
nel pensiero cattolico tradizionale, è un luogo di tormento eterno per
coloro i quali saranno condannati alla dannazione dopo il Giudizio. E’
generalmente raffigurato come un pozzo di fiamme, simile allo Sheol ebraico e all’Ade
ellenico. La Chiesa di Roma continua a descrivere l’inferno come uno
stato di infinita pena riservato all’impenitente, ma più di cinque
secoli fa, i Consigli di Firenze (1439) e di Trento (1545-63)
introdussero il concetto di Purgatorio, uno stato
intermedio durante il quale le anime possono espiare alcuni peccati. I
famigliari devoti possono offrire preghiere e oblazioni attraverso cui
aiutare le anime del purgatorio a espiare i peccati terreni e restaurare
la loro unione con Dio.
Il cristianesimo protestante
non offre ai propri fedeli le opportunità di riscatto del purgatorio,
ma ha rimosso gran parte della paura dell’inferno per concentrarsi
soprattutto sulla grazia e la fede. Mentre i protestanti ortodossi
conservano il punto di vista tradizionale del paradiso e dell’inferno,
molti pastori protestanti moderni ritengono che l’idea di un luogo di
tormento eterno riservato ad anime dannate sia incompatibile con il
concetto di un Dio amorevole e compassionevole. L’inferno è stato trasformato in una dolorosa condizione di lontananza da Dio.
Per i teologi cristiani liberali l’intero concetto di un luogo di
dannazione eterno è stato sconfessato dall’amore di Gesù verso
l’umanità.
INDUISMO
Nel testo religioso indiano: Bhagavad Gita
(Canto del Signore), la natura dell’anima è definita come segue: “Mai è
nata, e mai muore, e dopo essere stata portata in essere, tornerà in
essere. Il mai nato, il permanente, l’eterno, l’antico, non muore quando
il corpo muore.”
La collezione più antica di inni in sanscrito è il Rig-Veda,
risalente a circa il 1.400 a.C. Fu composto dai popoli che invasero la
valle dell’Indo nel 1.500 a.C. I primi inni vedici sono associati in
particolare ai rituali funebri e descrivono l’individuo come composto da
tre entità separate: il corpo, l’asu (principio di vita), e il manas (sede della mente, della volontà, delle emozioni).
L’asu e il manas non possono però considerarsi come qualcosa di
equivalente al se essenziale, all’anima. L’elemento che sopravvive alla
morte fisica è qualcos’altro: una sorta di miniatura della persona
defunta, che risiede all’interno del corpo, vicino al cuore.
Tra il 600 a.C. ed il 480 a.C, una serie di scritti conosciuti come Upanishad introdusserole dottrine complementari del samsara (la reincarnazione) e del karma (la legge di causa ed effetto che governa il corso della vita di ogni individuo).
Un individuo può influire direttamente sul proprio karma nel mondo
della materia. Attraverso il modo in cui affronta le difficoltà insite
in un’esistenza vincolata dal tempo e dallo spazio esso determina la
forma della sua prossima incarnazione terrena. Oggetto delle due
dottrine è l’Atman, o se, cioè l’essenza
della persona che contiene il soffio divino della vita. Pur essendo “più
piccolo di un chicco di riso” l’Atman è collegato alla grande anima
cosmica, principio divino detto Brahma. Quando occupa un corpo fisico l’Atman è vittimadell’avidya,
un velo di profonda ignoranza che impedisce all’Atman di ricordare la
sua vera natura di porzione del Brahma e lo imprigiona nei processi del
karma e del samsara. L’avidya produce l’illusione di maya che induce
ogni Atman a confondere il mondo materiale con il mondo reale. Vivendo imprigionato in questa illusionel’individuo
accumula karma e per lui diventa sempre più arduo riuscire a
districarsi dal processo interminabile del samsara, la ruota
dell’esistenza fisica con il suo susseguirsi di nuove vite e morti.
Il passaggio dell’anima da questo mondo al prossimo è descritto nel Brihadarankyaka Upanishad:
“Il Se sognando gode dei piaceri dei sensi, va di qua e di là, vive il bene e il male, e poi ritorna allo stato di veglia. Proprio come un essere umano passa dal sogno alla veglia, così il Se passa da questa vita all’altra… Poi il punto nel suo cuore dove i nervi si uniscono è illuminato dalla luce del Se, e attraverso quella luce il Se lascia il corpo fisico attraverso l’occhio, o l’apertura del cranio, o altre aperture del corpo… Il Se resta cosciente e il moribondo torna alla sua dimora consapevolmente. Le azioni compiute in questa vita e la impressioni che hanno lasciato dietro di loro, lo seguono. Come un bruco che dopo avere raggiunto la punta di uno stelo d’erba, afferra un’altro stelo e si porta su di esso, così il Se, dopo aver lasciato il corpo afferra un altro corpo e si porta in esso.”
Entro il terzo secolo a.C. l’Induismo adottò diffusamente una visione del mondo ciclicafatta
di perpetue rinascite in cui i precedenti concetti di paradiso e
inferno, di un aldilà strutturato come un sistema di premi e punizioni,
furono sostituiti da soggiorni temporanei sperimentati negli intervalli
tra le esistenze fisiche.
La cosmologia induista raffigura tre lokas: i regni celesti, la terra e gli inferi, a loro volta composti da 14 sottolivelli rappresentanti diverse gradazioni di sofferenza o felicità, i quali attendono l’anima negli intervalli tra le esistenze fisiche. Sette di questi lokas sorgono sopra la Terra e sette sotto di essa. Secondo il grande maestro induista Sankara, vissuto nell’IX secolo, e la scuola Advaita Vedanata, l’obiettivo finale dell’odissea dell’anima è la moksa, cioè la completa liberazione dal samsara, il ciclo delle rinascite, così da poter raggiungere il Nirvana, l’unione finale dell’Atman con il divino Brahma. Nell’XI secolo Ramanjua e la scuola Visitadvaita descrissero il Nirvana come la completa unità dell’anima individuale con Dio.
La cosmologia induista raffigura tre lokas: i regni celesti, la terra e gli inferi, a loro volta composti da 14 sottolivelli rappresentanti diverse gradazioni di sofferenza o felicità, i quali attendono l’anima negli intervalli tra le esistenze fisiche. Sette di questi lokas sorgono sopra la Terra e sette sotto di essa. Secondo il grande maestro induista Sankara, vissuto nell’IX secolo, e la scuola Advaita Vedanata, l’obiettivo finale dell’odissea dell’anima è la moksa, cioè la completa liberazione dal samsara, il ciclo delle rinascite, così da poter raggiungere il Nirvana, l’unione finale dell’Atman con il divino Brahma. Nell’XI secolo Ramanjua e la scuola Visitadvaita descrissero il Nirvana come la completa unità dell’anima individuale con Dio.
Negli ultimi secoli prima dell’era volgare ebbe molta diffusione in India una forma di induismo nota come Bhakti,
la quale prevede l’instaurazione di un rapporto amorevole basato sulla
grazia tra Dio e il devoto. I credenti che si sono preparati coltivando
un atteggiamento di amore, hanno studiato le Scritture e hanno onorato
il Signore Krishna possono liberarsi dal samsara. La vita eterna è
concessa ai devoti che al momento della morte dedicano ogni pensiero al
Signore Krishna.
ISLAM
L’islam descrive l’essere umano come una creatura composta di spirito e corpo.
La creazione di Adamo descritta nel Corano ricalca quella della Genesi giudaico-cristiana, per cui il Signore annuncia agli angeli di creare un essere di argilla in cui infondere il suo spirito vitale.
La creazione di Adamo descritta nel Corano ricalca quella della Genesi giudaico-cristiana, per cui il Signore annuncia agli angeli di creare un essere di argilla in cui infondere il suo spirito vitale.
“Egli creò l’uomo dall’argilla, (…) e infuse il suo spirito in lui.”
Corano 32: 8-9
Maometto
(570 d.C. – 632 d.C.) pur considerando l’anima come il se essenziale di
un essere umano, aderiva alla tradizione giudaico-cristiana, che
ritiene il corpo fisico elemento della vita ultraterrena. Il nome
dell’anima indipendente nell’Islam è nafs; essa è
simile alla psiche ellenica, mentre il nome dell’elemento animico che
conferisce agli esseri umani la loro dignità e li eleva al di sopra
degli animali è ruh, equivalente al nous platonico. Tali due aspetti dell’anima comprendono sia l’elevato che l’infimo, sia l’umano che il divino.
Come nelle altre grandi religioni, anche secondo l’Islam il tipo di vita condotto sulla Terra influisce sul destino ultraterreno dell’anima,
e ci sono promesse di un paradiso e moniti circa un luogo di tormento.
Il Corano 57:20 contiene un avvertimento circa la natura transitoria
della vita sulla Terra e un promemoria delle due possibili destinazioni
che attendono l’anima dopo la morte:
“Sappiate che la vita terrena non è che uno sport, un diversivo, un orpello (…) E’ come una pioggia che crea una vegetazione che piace ai miscredenti, ma poi appassisce. (…) Amare la vita presente è come gioire del delirio.”
Maometto
parla del Giudizio, dopo cui avrà luogo la risurrezione dei defunti che
comporterà beatitudine eterna ai giusti e tormenti ai malvagi. Il
giudizio sarà individuale. Nessuna anima sarà in grado di aiutare un
amico o un familiare; nessuna anima potrà intercedere in favore di
un’altra anima.
La dottrina della risurrezione del
corpo non è mai stata abbandonata dal credo mussulmano, sebbene
successivamente alcuni studiosi del Corano cercarono di definire l’anima
in termini più metafisici, e prese forma la convinzione della
preesistenza delle anime. In questa visione, Allah conserva un tesoro di
anime in paradiso, e le invia ad incarnarsi sulla Terra.
Il paradiso islamico è per molti versi un’estensione del mitico Giardino dell’Eden biblico.E’ un posto meraviglioso pieno di alberi, fiori e frutti, ma in realtà questa è solo un’immagine semplificata in quanto esso non può essere descritto in termini umani.
“Tutti coloro che obbediscono a Dio e all’Apostolo sono in compagnia di coloro sui quali è la grazia di Dio, profeti che insegnano, sinceri amanti della Verità, testimoni [martiri] che testimoniano, e giusti che fanno del bene: Ah! Che splendida compagnia!”
Corano 4:69
L’inferno
è un luogo di tormento iconograficamente simile a quello descritto da
molti cristiani, cioè fiamme e schiavitù. Negli insegnamenti islamici né
il paradiso né l’inferno sono eterni. L’infinito appartiene solo ad
Allah, e probabilmente esistono vari livelli paradisiaci e infernali.
GIUDAISMO
“Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”Nel secondo capitolo della Genesi, il Signore, Dio di Israele, plasma Adamo dall’argilla, poi infonde in lui il ‘respiro della vita’, in modo che diventi Adam nephesh, o ‘anima vivente.’
Genesi 2 : 7
Interessante
notare come il Signore doni il soffio della vita anche agli animali che
popolarono il Giardino dell’Eden. Il nephesh è come il sangue, una
sostanza vitale scaricata dal corpo dopo la morte, che nella tradizione
ebraica alimenta la dottrina secondo cui una persona vivente sia
un’entità composita fatta di carne e nephesh, cioè ‘anima.’ “Il corpo è l’involucro dell’anima”, afferma il Talmud, Sinedrio 108a.
I
primi Ebrei ritenevano che dopo la morte l’anima discendesse negli
inferi, un luogo nelle profondità della Terra dove gli spiriti dei morti
erano consegnati alla polvere e all’oscurità.
“Tutti vanno in un luogo, tutti vengono dalla polvere, e ritornano alla polvere”Con la scrittura del libro di Daniele circa nel 165 a.C., si diffuse la convinzione che i morti sarebbero risorti per essere giudicati:
Ecclesiaste 3:20
“Molti di coloro che giacciono morti nel terreno risorgeranno dalla morte. Ad alcuni sarà data vita eterna, e altri riceveranno eterna vergogna e disonore. Ogni persona saggia brillerà luminosa come il cielo, e coloro che avranno condotto altri a piacere a Dio brilleranno come le stelle.”
Daniele 12: 2-4
Mentre
i versetti di Daniele sono i soli nell’intero complesso delle sacre
scritture ebraiche che menzionano specificamente la vita ultraterrena
dell’anima, il tema è molto discusso nella letteratura rabbinica, nella Kabbalah e
nel folklore ebraico. In generale, si ritiene che l’anima abbia le
proprie radici nel mondo del divino, e che dopo la morte fisica del
corpo essa ritorni al luogo della sua origine spirituale. Alcuni pensatori ebrei si riferiscono alla permanenza dell’anima sulla Terra come a una sorta di esilio fino alla riunione con Dio.
Dal
secondo secolo d.C. molti insegnanti ebrei entrarono in contatto con la
filosofia ellenica ed il concetto di anima come se essenziale che
esiste prima del corpo terreno e sopravvive alla morte fisica. Le
antiche tradizioni secondo cui l’esistenza nell’aldilà contempli anche
un elemento fisico, furono preservate.Con l’evoluzione del
pensiero ebraico circa la vita dopo la morte, si sviluppò una scuola di
pensiero che sosteneva che durante la venuta del messia Dio avrebbe
risuscitato i morti e li avrebbe giudicati, premiando i giusti e punendo
i malvagi. Tale risurrezione avrebbe avuto luogo per le persone che
avessero voluto possedere sia il corpo fisico che quello spirituale. Il
concetto quindi supportò la tradizionale filosofia secondo cui corpo ed
anima siano unici ed inscindibili, contrario all’idea che un’anima
eterna abiti temporaneamente un corpo mortale. Più spesso, però, i
riferimenti ad un giudizio dei morti nel giudaismo si rispecchiano nella
scena descritta nel settimo capitolo del libro di Daniele, in cui
l’Antico dei Giorni apre i libri della vita e giudica i regni della
terra, non i singoli individui.
Secondo alcuni
circoli di pensiero ebraico la risurrezione dei morti avrà luogo durante
il Giorno del Giudizio, con la venuta del Messia. In quel fatidico
giorno, Israele e le nazioni gentili saranno convocate nel Luogo del
Giudizio dal suono del grande shofar (corno di montone, trombe
del giudizio) il quale risveglierà il popolo dal suo sonno spirituale.
Tornerà il profeta Elia il quale farà in modo di riconciliare le
famiglie che si sono allontanate. Il giorno in cui il Signore giudicherà
sarà “buio, molto buio, senza un raggio di luce” (Amos 5,20). Coloro
che avranno vissuto esistenze rette in alleanza con Dio saranno accolti
nel paradiso celeste. Coloro che saranno giudicati meritevoli di
punizione per i loro misfatti saranno condotti al Gehenna, ove resteranno per un periodo di tempo commisurato con la gravità delle loro trasgressioni.
Sintesi di un saggio pubblicato sul sito: Unexplained Stuff
Traduzione a cura di Anticorpi.info
1 commento:
In nome di Dio uccidere,torturare,mutilare,decapitare,sgozzare,stuprare. Battaglioni di ferventi devoti criminali psicopatici assassini,drogati di fervore religioso e di metanfetaminiche e cocainomani precetti religiosi. Nulla cambia oggi come in passato,brucia l'eretico,la strega,il libero pensatore,uccidili tutti quanti che tanto poi Dio riconoscerà chi sono i suoi.Il grande premio che Dio darà a chi si dimostrerà il più spietato assassino pazzo criminale senza nessuno scrupolo morale. Un solo commento plausibile posso esprimere: l'immensa fogna e gigantesco oceano di merda che da millenni ammorba e distrugge la vita sul pianeta e che ha il nome di RELIGIONE.
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