Agli inizi di ottobre, il libro Gekaufte Journalisten (Giornalisti comprati,
ndt) di Udo Ulfkotte, anziano giornalista della Frankfurter Allgemeine
Zeitung
(la prestigiosa FAZ di Francoforte), si è subito presentato come
un best-seller. Inoltre, la stampa tedesca ha mantenuto riserbo
sull’aspetto fondamentale, anzi un mutismo significativo nei confronti
di questo libro. Il successo di Ulfkotte come autore è tanto più
evidente, se non molto significativo del divorzio confermato ogni giorno
tra la popolazione e l‘opinione pubblica da una parte, le élite-Sistemi
e la stampa-Sistema dall’altra.
Il 3 ottobre 2014
il sito Russia Insider (RI) dedicava un primo articolo a Ulfkotte ed al
suo libro. Si evidenziava in particolare non tanto la tesi dell’autore,
ma la sua constatazione derivata da un’esperienza sia professionale che
personale. “I membri dei media tedeschi sono pagati dalla CIA in
cambio di rigirare le notizie in modo da sostenere gli interessi
americani, e alcuni organi di stampa tedeschi sono semplicemente delle
appendici di Public Relations della NATO, secondo un nuovo libro di Udo
Ulfkotte, ex redattore del Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei
giornali tedeschi più grandi. Ulfkotte è un importante giornalista
mainstream. Eccolo in un talk show politico di punta in Germania un paio
di anni fa. In Germania il libro è un caso, è [settimo] nella lista dei
bestseller. La sua esplosione politica, segue a ruota l’indignazione
tedesca nei confronti delle intercettazioni telefoniche dell’NSA. [ ...]
“Qui a Russia Insider, ci è chiaro da molto che c’è qualcosa di
decisamente strano nel modo in cui i media tedeschi si pongono nei
confronti della Russia. Lo seguiamo, ed è perfino molto più stridente
dei media anglosassoni riguardo alla Russia, mentre l’opinione pubblica
tedesca è molto più favorevole verso la Russia rispetto agli altri
paesi. Un altro aspetto interessante è che [questo atteggiamento] è
molto diversificato. Alcune voci importanti sono molto ragionevoli nei
confronti della Russia, ma la maggior parte sono negative, e alcune sono
comicamente apocalittiche. Questo è ciò che ci si aspetterebbe se ci
fosse un condizionamento finanziario che aziona il sistema.”
Udo Ulfkotte |
Il 17 ottobre 2014
RI portava avanti e approfondiva la faccenda, pubblicando un’intervista
molto approfondita a Ulfkotte. In particolare, si leggeva in alcune
precisazioni selezionate dell’intervista (che inoltre, nell’articolo di
RI, è presentata integralmente)… “Nella sua ultima intervista,
Ulfkotte afferma che alcuni media sono semplicemente strumenti di
propaganda di partiti politici, servizi segreti, think tank
internazionali ed organizzazioni di alta finanza. Pentendosi per la
collaborazione con varie agenzie e organizzazioni per manipolare le
news, si rammarica Ulfkotte. “Mi sono vergognato di essere stato parte
di esso. Purtroppo non posso tornare indietro.” Alcuni punti
significativi dall’intervista:
“Mi sono ritrovato a pubblicare sotto il mio nome articoli scritti da agenti della CIA e di altri servizi di intelligence, specialmente il servizio segreto tedesco.” [...] “La maggior parte dei giornalisti dalle grandi e rispettate organizzazioni dei media sono strettamente connessi al German Marshall Fund, l’ Atlantik-Brücke o altre organizzazioni cosiddette transatlantiche… una volta che sei in contatto, fai amicizia con gli americani prescelti. Pensi che siano tuoi amici e cominci a collaborare. Loro lavorano sul tuo ego, ti fanno sentire come se fossi importante. E un giorno uno di loro ti chiederà ‘Mi fai questo favore’… [...] “Quando ho detto al Frankfurter Allgmeine che avrei pubblicato il libro, i loro avvocati mi hanno inviato una lettera minacciandomi di tutte le conseguenze legali se avessi pubblicato qualche nome o segreto – ma non importa” [...][Il FAZ] non mi ha citato in giudizio. Sanno che ho le prove di ogni cosa.” [...] “ A nessun giornalista tedesco di tv generalista è consentito parlare del [mio] libro. Altrimenti lui o lei sarà licenziato. Così adesso c’è un bestseller di cui nessun giornalista può scrivere o parlare.”
Il 18 ottobre 2014 Russia Today (RT) riprendeva la faccenda e ne dava il suo resoconto, a partire dall’intervista di RI e dopo una prima intervista (di RT) a Ulkfotte. Riportiamo qui un passaggio molto specifico, che è simbolico dell’interesse analitico che rivolgiamo a questo caso… “Mi sono ritrovato a pubblicare articoli sotto il mio nome scritti da agenti della CIA e di altri servizi di intelligence, specialmente del servizio segreto tedesco,” ha detto Ulkfotte a Russia Insider. Ha fatto dichiarazioni simili a RT in un’intervista esclusiva all’inizio di ottobre. “Un giorno la BND [agenzia di intelligence tedesca per l’estero] è venuta nel mio ufficio al Frankfurter Allgemeine di Francoforte. Volevano farmi scrivere un articolo riguardante la Libia e il colonnello Muammar Gheddafi…Mi hanno dato tutte queste informazioni segrete e volevano solo che firmassi l’articolo con il mio nome,” ha detto Ulfkotte a RT. “Quell’articolo trattava di come Gheddafi tentava di costruire segretamente una fabbrica di gas tossici. Era una storia che due giorni dopo fu pubblicata in tutto il mondo.”(1)
Precisamente due passaggi sono da citare nuovamente, per orientare e sviluppare il commento… Quello nel quale viene detto che la penetrazione nei mass media tedeschi è tale che il risultato ottenuto è spesso bizzarro, quasi comico, con le sue forzature (il che si avverte chiaramente nel modo in cui è coperta la crisi ucraina: un modo totalmente disordinato, caotico per quanto antirusso, rocambolesco e quasi comico).
“Un altro aspetto interessante è che esso è molto diversificato. Alcune voci importanti sono molto ragionevoli nei confronti della Russia, ma la maggior parte sono negative, ed alcune sono comicamente apocalittiche.” Il secondo passaggio concerne le circostanze precise, estremamente dettagliate per un articolo mirato (quello in cui gli viene detto che Gheddafi fa costruire uno stabilimento per la produzione di gas letale), portando ad una notizia inventata di sana pianta che fu largamente ripresa nel mondo intero:
“Un giorno la BND [agenzia di intelligence tedesca per l’estero] è venuta nel mio ufficio al Frankfurter Allgemeine a Francoforte. Volevano farmi scrivere un articolo riguardante la Libia e il colonnello Muammar Gheddafi…Mi hanno dato tutte queste informazioni segrete e volevano solo farmi firmare l’articolo con il mio nome,” ha detto Ulfkotte a RT. “Quell’articolo trattava di come Gheddafi tentava di costruire segretamente una fabbrica di gas tossici. Era una storia che due giorni dopo fu pubblicata in tutto il mondo.”
Questi diversi dettagli dati da Ulkfotte hanno ispirato al nostro venerabile anziano Philippe Grasset qualche riflessione sul modo in cui oggi viene fatta la penetrazione dei mezzi giornalistici europei da parte della CIA, o piuttosto dal sistema dell’americanismo, rispetto al modo [usato] ai tempi della Guerra Fredda. Questo paragone è estremamente illuminante, ci dà indicazioni precise sull’evoluzione dei metodi americanisti, sulla loro efficacia, su ciò che questa evoluzione ci dice dell’evoluzione della politica americana stessa, di conseguenza della sua trasmutazione in politica-Sistema. Quindi il resto di questo commento è scritto in prima persona, PhG (Philippe Grasset, ndt) che figura come testimone principale.
“Mi sono ritrovato a pubblicare sotto il mio nome articoli scritti da agenti della CIA e di altri servizi di intelligence, specialmente il servizio segreto tedesco.” [...] “La maggior parte dei giornalisti dalle grandi e rispettate organizzazioni dei media sono strettamente connessi al German Marshall Fund, l’ Atlantik-Brücke o altre organizzazioni cosiddette transatlantiche… una volta che sei in contatto, fai amicizia con gli americani prescelti. Pensi che siano tuoi amici e cominci a collaborare. Loro lavorano sul tuo ego, ti fanno sentire come se fossi importante. E un giorno uno di loro ti chiederà ‘Mi fai questo favore’… [...] “Quando ho detto al Frankfurter Allgmeine che avrei pubblicato il libro, i loro avvocati mi hanno inviato una lettera minacciandomi di tutte le conseguenze legali se avessi pubblicato qualche nome o segreto – ma non importa” [...][Il FAZ] non mi ha citato in giudizio. Sanno che ho le prove di ogni cosa.” [...] “ A nessun giornalista tedesco di tv generalista è consentito parlare del [mio] libro. Altrimenti lui o lei sarà licenziato. Così adesso c’è un bestseller di cui nessun giornalista può scrivere o parlare.”
Il 18 ottobre 2014 Russia Today (RT) riprendeva la faccenda e ne dava il suo resoconto, a partire dall’intervista di RI e dopo una prima intervista (di RT) a Ulkfotte. Riportiamo qui un passaggio molto specifico, che è simbolico dell’interesse analitico che rivolgiamo a questo caso… “Mi sono ritrovato a pubblicare articoli sotto il mio nome scritti da agenti della CIA e di altri servizi di intelligence, specialmente del servizio segreto tedesco,” ha detto Ulkfotte a Russia Insider. Ha fatto dichiarazioni simili a RT in un’intervista esclusiva all’inizio di ottobre. “Un giorno la BND [agenzia di intelligence tedesca per l’estero] è venuta nel mio ufficio al Frankfurter Allgemeine di Francoforte. Volevano farmi scrivere un articolo riguardante la Libia e il colonnello Muammar Gheddafi…Mi hanno dato tutte queste informazioni segrete e volevano solo che firmassi l’articolo con il mio nome,” ha detto Ulfkotte a RT. “Quell’articolo trattava di come Gheddafi tentava di costruire segretamente una fabbrica di gas tossici. Era una storia che due giorni dopo fu pubblicata in tutto il mondo.”(1)
Precisamente due passaggi sono da citare nuovamente, per orientare e sviluppare il commento… Quello nel quale viene detto che la penetrazione nei mass media tedeschi è tale che il risultato ottenuto è spesso bizzarro, quasi comico, con le sue forzature (il che si avverte chiaramente nel modo in cui è coperta la crisi ucraina: un modo totalmente disordinato, caotico per quanto antirusso, rocambolesco e quasi comico).
“Un altro aspetto interessante è che esso è molto diversificato. Alcune voci importanti sono molto ragionevoli nei confronti della Russia, ma la maggior parte sono negative, ed alcune sono comicamente apocalittiche.” Il secondo passaggio concerne le circostanze precise, estremamente dettagliate per un articolo mirato (quello in cui gli viene detto che Gheddafi fa costruire uno stabilimento per la produzione di gas letale), portando ad una notizia inventata di sana pianta che fu largamente ripresa nel mondo intero:
“Un giorno la BND [agenzia di intelligence tedesca per l’estero] è venuta nel mio ufficio al Frankfurter Allgemeine a Francoforte. Volevano farmi scrivere un articolo riguardante la Libia e il colonnello Muammar Gheddafi…Mi hanno dato tutte queste informazioni segrete e volevano solo farmi firmare l’articolo con il mio nome,” ha detto Ulfkotte a RT. “Quell’articolo trattava di come Gheddafi tentava di costruire segretamente una fabbrica di gas tossici. Era una storia che due giorni dopo fu pubblicata in tutto il mondo.”
Questi diversi dettagli dati da Ulkfotte hanno ispirato al nostro venerabile anziano Philippe Grasset qualche riflessione sul modo in cui oggi viene fatta la penetrazione dei mezzi giornalistici europei da parte della CIA, o piuttosto dal sistema dell’americanismo, rispetto al modo [usato] ai tempi della Guerra Fredda. Questo paragone è estremamente illuminante, ci dà indicazioni precise sull’evoluzione dei metodi americanisti, sulla loro efficacia, su ciò che questa evoluzione ci dice dell’evoluzione della politica americana stessa, di conseguenza della sua trasmutazione in politica-Sistema. Quindi il resto di questo commento è scritto in prima persona, PhG (Philippe Grasset, ndt) che figura come testimone principale.
PhG e la CIA negli anni 1970-1990…
A questo punto prendo la penna, in quanto giornalista già pesantemente coinvolto con il mio lavoro riguardante i temi della politica estera e della sicurezza nazionale, a partire dal 1973-1974 a Bruxelles, che già era e che resta, con Washington, per quel che diventerebbe il blocco BAO, uno dei centri d’informazione per queste tematiche con la presenza della NATO e dell’UE. Prima (essendo giornalista in Belgio, a Liegi dal 1967), ero raramente “uscito” verso Bruxelles, per stabilire una rete di contatti e seguire l’informazione sul posto, relegato ad un lavoro di redazione su telegrammi di notizie in arrivo dall’estero, - ma già, fin dall’origine, su questi stessi argomenti di politica estera e di sicurezza nazionale. A partire dal 1976-1977 (“seconda Guerra fredda”) e fino al 1989-1991 (caduta dell’URSS/del comunismo) l’attività di politica estera e di sicurezza nazionale essenzialmente sulla questione delle relazioni con l’URSS, e dunque l’attività di comunicazione a riguardo, fu particolarmente intensa, spesso polemica, estremamente “calda” in una parola.
Parlerò soprattutto del Belgio, ma in un luogo (Bruxelles) dove i giornalisti internazionali, soprattutto europei, si trovavano spesso già presenti in gran numero, e dunque consapevoli che i metodi di penetrazione e di manipolazione dell’americanismo in Belgio su questi argomenti dovevano ritrovarsi abbastanza simili a quelli utilizzati nei paesi della NATO particolarmente vicini (Olanda, Lussemburgo, Italia, Germania, Francia, ecc., mettendo da parte il Regno Unito per delle ragioni evidenti, - per non mescolare una succursale a cielo aperto con delle aziende apparentemente indipendenti…) (Secondo quello che ho potuto saperne da fonte molto sicura, il contingente degli agenti segreti, degli agenti per l’elaborazione e dei corrispondenti dipendenti dalla CIA a Bruxelles, raggiunse fino a 800 persone al massimo del loro potenziale in questo periodo di tensione, cioè il doppio del personale del SGR e della Sûreté de l’État sommati, i due servizi segreto e di controspionaggio del Belgio). Rivelerò i metodi americani precisando che non solo ne fui il testimone diretto, ma a più riprese il bersaglio diretto, - incosciente e regolarmente mancato, - specialmente come principale giornalista specializzato nelle questioni di politica estera/di sicurezza nazionale del secondo quotidiano francofono del Belgio (dal 1967 al 1985 a La Meuse-La Lanterne, 197 000 copie nel 1970-1972), collaboratore del settimanale L’Evénement dal 1980 al 1984, editore delle Lettres d’Analyse Definter (1978-1980) e dedefensa & eurostratégie (1985-2012).
Quello che qui mi interessa è di confrontare questi metodi a quelli di oggi come li riporta Ulfkotte. Mi asterrò dal dare dettagli sui luoghi e sulle persone e altre precisazioni operative che ci porterebbero troppo lontano. (L’azienda mi ha messo in guardia a questo proposito, sarebbe logico e dovrebbe esserci l’intenzione di metterlo online prossimamente, un passaggio delle Memoires du dehors riguardante questo periodo e queste situazioni. [Riguardo le Mémoires du dehors, sono già stati messi online due testi il 5 novembre 2005 e il 6 novembre 2006.])
Nel periodo considerato, l’“approccio” dei giornalisti verso i “servizi americani” si faceva in modo molto classico e molto soft, con dei mezzi iniziali come quelli che descrive Ulfkotte (viaggi, seminari, riunioni, ecc.), ma in un modo molto più civile e scaltro. Infatti, all’inizio, si trattava di un puro lavoro, normale e corrente, di relazioni pubbliche e di relazioni con la stampa professionale, dove intervenivano essenzialmente se non esclusivamente i servizi USA adatti, dipendenti dal dipartimento di Stato, essenzialmente USIS (US Information Service), o dipendenti dal dipartimento della difesa (servizi d’informazione delle forze armate). La presenza della CIA o di altri servizi di informazione, malgrado l’enormità dei loro effettivi, era proibita, perfino nascosta, e restava assolutamente clandestina. Esisteva a tal proposito una rigorosa sorveglianza e una gelosia burocratica estremamente dura dei servizi implicati, e l’USIS non amava molto cooperare con la CIA.
A questo punto prendo la penna, in quanto giornalista già pesantemente coinvolto con il mio lavoro riguardante i temi della politica estera e della sicurezza nazionale, a partire dal 1973-1974 a Bruxelles, che già era e che resta, con Washington, per quel che diventerebbe il blocco BAO, uno dei centri d’informazione per queste tematiche con la presenza della NATO e dell’UE. Prima (essendo giornalista in Belgio, a Liegi dal 1967), ero raramente “uscito” verso Bruxelles, per stabilire una rete di contatti e seguire l’informazione sul posto, relegato ad un lavoro di redazione su telegrammi di notizie in arrivo dall’estero, - ma già, fin dall’origine, su questi stessi argomenti di politica estera e di sicurezza nazionale. A partire dal 1976-1977 (“seconda Guerra fredda”) e fino al 1989-1991 (caduta dell’URSS/del comunismo) l’attività di politica estera e di sicurezza nazionale essenzialmente sulla questione delle relazioni con l’URSS, e dunque l’attività di comunicazione a riguardo, fu particolarmente intensa, spesso polemica, estremamente “calda” in una parola.
Parlerò soprattutto del Belgio, ma in un luogo (Bruxelles) dove i giornalisti internazionali, soprattutto europei, si trovavano spesso già presenti in gran numero, e dunque consapevoli che i metodi di penetrazione e di manipolazione dell’americanismo in Belgio su questi argomenti dovevano ritrovarsi abbastanza simili a quelli utilizzati nei paesi della NATO particolarmente vicini (Olanda, Lussemburgo, Italia, Germania, Francia, ecc., mettendo da parte il Regno Unito per delle ragioni evidenti, - per non mescolare una succursale a cielo aperto con delle aziende apparentemente indipendenti…) (Secondo quello che ho potuto saperne da fonte molto sicura, il contingente degli agenti segreti, degli agenti per l’elaborazione e dei corrispondenti dipendenti dalla CIA a Bruxelles, raggiunse fino a 800 persone al massimo del loro potenziale in questo periodo di tensione, cioè il doppio del personale del SGR e della Sûreté de l’État sommati, i due servizi segreto e di controspionaggio del Belgio). Rivelerò i metodi americani precisando che non solo ne fui il testimone diretto, ma a più riprese il bersaglio diretto, - incosciente e regolarmente mancato, - specialmente come principale giornalista specializzato nelle questioni di politica estera/di sicurezza nazionale del secondo quotidiano francofono del Belgio (dal 1967 al 1985 a La Meuse-La Lanterne, 197 000 copie nel 1970-1972), collaboratore del settimanale L’Evénement dal 1980 al 1984, editore delle Lettres d’Analyse Definter (1978-1980) e dedefensa & eurostratégie (1985-2012).
Quello che qui mi interessa è di confrontare questi metodi a quelli di oggi come li riporta Ulfkotte. Mi asterrò dal dare dettagli sui luoghi e sulle persone e altre precisazioni operative che ci porterebbero troppo lontano. (L’azienda mi ha messo in guardia a questo proposito, sarebbe logico e dovrebbe esserci l’intenzione di metterlo online prossimamente, un passaggio delle Memoires du dehors riguardante questo periodo e queste situazioni. [Riguardo le Mémoires du dehors, sono già stati messi online due testi il 5 novembre 2005 e il 6 novembre 2006.])
Nel periodo considerato, l’“approccio” dei giornalisti verso i “servizi americani” si faceva in modo molto classico e molto soft, con dei mezzi iniziali come quelli che descrive Ulfkotte (viaggi, seminari, riunioni, ecc.), ma in un modo molto più civile e scaltro. Infatti, all’inizio, si trattava di un puro lavoro, normale e corrente, di relazioni pubbliche e di relazioni con la stampa professionale, dove intervenivano essenzialmente se non esclusivamente i servizi USA adatti, dipendenti dal dipartimento di Stato, essenzialmente USIS (US Information Service), o dipendenti dal dipartimento della difesa (servizi d’informazione delle forze armate). La presenza della CIA o di altri servizi di informazione, malgrado l’enormità dei loro effettivi, era proibita, perfino nascosta, e restava assolutamente clandestina. Esisteva a tal proposito una rigorosa sorveglianza e una gelosia burocratica estremamente dura dei servizi implicati, e l’USIS non amava molto cooperare con la CIA.
L’unica volta in cui ho incontrato un
ufficiale della CIA sotto la sua copertura di “addetto culturale” (ho
saputo solo dopo l’incontro che l’ “addetto culturale” era la copertura
del capo della sede CIA) è stato per intermediazione del capo dell’USIS
a Bruxelles, Jim Hogan, al momento di un pranzo organizzato da Hogan
alla richiesta dell’ “addetto culturale”, in presenza e sotto controllo
di Hogan, e non vi fu nessuna soffiata né nessun tentativo effettuato
dalla CIA nei miei riguardi. Infatti, la Cia lavorava in modo molto
isolato nelle ambasciate, e le sedi locali erano esse stesse le più
spesso ignorate dal centro di Langley.
Ho avuto di frequente echi precisi da parte di fonti ufficiali non americane della frustrazione degli ufficiali della CIA in carica a Bruxelles, davanti al disinteresse che la centrale di Langley aveva verso le loro attività. (In maniera molto sintomatica dello spirito dell’americanismo, la stessa tensione esisteva tra il Pentagono e il comandante supremo della NATO [un generale americano], il SAUCER, “esiliato” in Europa, su terre lontane, ostili e sconosciute…). Infine e per riassumere, la CIA lavorava sulle proprie informazioni senza molta cooperazione dell’USIS e largamente ostracizzata nell’ambasciata.
Le operazioni per tentare di reclutare erano dunque estremamente discrete e in una forma molto passiva, e ho potuto sviluppare durante gli anni, in quanto giornalista, nelle diverse manifestazioni classiche delle relazioni pubbliche americane con la stampa senza avere il minimo segno che somigliasse a una pressione o un’offerta qualunque. Sembra piuttosto che il metodo americano a questo proposito, in quest’epoca in Europa, fosse fondato su una metodologia di una sufficienza straordinaria: i giornalisti non americani sarebbero stati necessariamente impressionati, affascinati e conquistati da queste manifestazioni di comunicazione americana, e avrebbero chiesto essi stessi di “lavorare” con e per gli USA, sotto una forma o l’altra di collaborazione, - momento a partire dal quale potevano essere considerati ma non necessariamente aspetti di remunerazione o altri, sotto forma di “privilegi” diversi … Tuttavia, questo atteggiamento era limitato nel tempo: se il giornalista rimaneva quello che era in origine, se non chiedeva di collaborare in un modo o nell’altro, se non effettuava un’evoluzione editoriale soddisfacente e se si evolveva al contrario in un modo indipendente, eventualmente mostrandosi critico (più critico) degli USA, diventava sospetto e la rottura diventava inevitabile. Così, nel marzo 1985, in un’epoca cruciale per me (lasciavo il mio incarico nel quotidiano La Meuse-La Lanterne e mi preparavo a lanciare dd&e) il mio avvocato, Arostein, mi dichiarò: “Ho chiesto a dei miei contatti nella Sicurezza [dello Stato] se avevano un dossier su di lei. Mi hanno detto quello che gli americani pensavano di lei. Per la CIA, lei è un agente del KGB. Per il Dipartimento di Stato, lei è un ingenuo”. ( “Agente del KGB” poiché non ero diventato agente della CIA, “ingenuo” poiché non avevo chiesto questo o quel vantaggio, questa o quella strada di collaborazione – insomma, “agente del KGB” e “ingenuo” perché sembravo decisamente non aver capito il vantaggio incomparabile di collaborare in modo volontario con gli USA.)
Ho avuto di frequente echi precisi da parte di fonti ufficiali non americane della frustrazione degli ufficiali della CIA in carica a Bruxelles, davanti al disinteresse che la centrale di Langley aveva verso le loro attività. (In maniera molto sintomatica dello spirito dell’americanismo, la stessa tensione esisteva tra il Pentagono e il comandante supremo della NATO [un generale americano], il SAUCER, “esiliato” in Europa, su terre lontane, ostili e sconosciute…). Infine e per riassumere, la CIA lavorava sulle proprie informazioni senza molta cooperazione dell’USIS e largamente ostracizzata nell’ambasciata.
Le operazioni per tentare di reclutare erano dunque estremamente discrete e in una forma molto passiva, e ho potuto sviluppare durante gli anni, in quanto giornalista, nelle diverse manifestazioni classiche delle relazioni pubbliche americane con la stampa senza avere il minimo segno che somigliasse a una pressione o un’offerta qualunque. Sembra piuttosto che il metodo americano a questo proposito, in quest’epoca in Europa, fosse fondato su una metodologia di una sufficienza straordinaria: i giornalisti non americani sarebbero stati necessariamente impressionati, affascinati e conquistati da queste manifestazioni di comunicazione americana, e avrebbero chiesto essi stessi di “lavorare” con e per gli USA, sotto una forma o l’altra di collaborazione, - momento a partire dal quale potevano essere considerati ma non necessariamente aspetti di remunerazione o altri, sotto forma di “privilegi” diversi … Tuttavia, questo atteggiamento era limitato nel tempo: se il giornalista rimaneva quello che era in origine, se non chiedeva di collaborare in un modo o nell’altro, se non effettuava un’evoluzione editoriale soddisfacente e se si evolveva al contrario in un modo indipendente, eventualmente mostrandosi critico (più critico) degli USA, diventava sospetto e la rottura diventava inevitabile. Così, nel marzo 1985, in un’epoca cruciale per me (lasciavo il mio incarico nel quotidiano La Meuse-La Lanterne e mi preparavo a lanciare dd&e) il mio avvocato, Arostein, mi dichiarò: “Ho chiesto a dei miei contatti nella Sicurezza [dello Stato] se avevano un dossier su di lei. Mi hanno detto quello che gli americani pensavano di lei. Per la CIA, lei è un agente del KGB. Per il Dipartimento di Stato, lei è un ingenuo”. ( “Agente del KGB” poiché non ero diventato agente della CIA, “ingenuo” poiché non avevo chiesto questo o quel vantaggio, questa o quella strada di collaborazione – insomma, “agente del KGB” e “ingenuo” perché sembravo decisamente non aver capito il vantaggio incomparabile di collaborare in modo volontario con gli USA.)
In questa logica di “reclutamento d’influenza” che era infatti un approccio molto soft
e abbastanza scaltro, ma anche con questa sufficienza che conduce a
volte se non spesso a delle grosse delusioni, un approccio basato in
fondo sui principi della libera impresa e dell’eccezionalismo
americanista, - la “legge del mercato” vi porterà un giorno o l’altro a
orientarvi verso il migliore, ossia gli USA, - l’idea che potessero
suggerire se non incalzare un giornalista stesso accondiscendente a
pubblicare un articolo redatto da questo o quel servizio americano (la
CIA o USIS) sotto la sua propria firma era insensata. C’erano perfino
alcune reticenze dalla parte americana (USIS, certo) a quello che si
modificava dalla loro forma originale, - con le migliori intenzioni,
semplicemente per l’informazione contenuta, - degli articoli contenuti
nelle pubblicazioni ufficiali, di un autore accademico, di un esperto,
ecc. Quello che ci si aspettava, era davvero che il giornalista passato
“sotto influenza” si tramutasse lui stesso in portavoce
dell’americanismo, e producesse, con il suo talento, con il suo stile,
con le sue informazioni, dei testi che andassero in questo senso, - in
breve che agisse in tutta libertà, come La Boétie descriveva nel Discorso sulla servitù volontaria.
Questo è il motivo per cui i metodi attuali, come li presenta Ulfkotte, mi sembrano sbalorditivi per grossolanità, impudenza maldestra, infine estremamente controproducenti. Mi sembra insensato immaginare, nel 1978 o nel 1982, un uomo dell’USIS, o perfino della CIA se e quando il contatto era stabilito, facesse scivolare ad un giornalista cosiddetto “reclutato” un testo redatto dai suoi servizi e dicendogli “metta la sua firma qui e pubblicate!”.
La sola virtù che sopravvive intatta allora nel mio giudizio sulle attività americane una volta che fu completamente affermato il mio anti-americanismo, era il loro brio nelle relazioni pubbliche, per non far sentire una costrizione troppo grande sulle persone bersagliate; e un brio che era anche decorato da un certo riferimento alla professionalità e all’indipendenza della stampa americana (allora ci si poteva ancora credere), che tornava a dirvi effettivamente che è in tutta indipendenza che voi verreste a collaborare con gli USA (La Boétie, sempre) … Quando avvicino lo spirito del “mercato libero”, l’assenza di “interventismo”, lo “statalismo”, credo di non essere troppo lontano dalla verità. Il limite è che deve portare a un momento o ad un altro, sennò, se voi non vi decidete, se il punto del non ritorno è superato senza che nulla sia passato, se infine voi non comprendete il diktat del “mercato libero” (o del Sistema), la maschera cade brutalmente e voi ecco diventate “un cattivo”, un “bad guy” (cattivo ragazzo, ndr), un agente del KGB, un ritardato… (Effettivamente, a partire dal 1985, che corrisponde alla mia partenza dal quotidiano in cui lavoravo, non ricevetti più inviti dall’ambasciata americana, come era consuetudine per la stampa.)
Questo è il motivo per cui i metodi attuali, come li presenta Ulfkotte, mi sembrano sbalorditivi per grossolanità, impudenza maldestra, infine estremamente controproducenti. Mi sembra insensato immaginare, nel 1978 o nel 1982, un uomo dell’USIS, o perfino della CIA se e quando il contatto era stabilito, facesse scivolare ad un giornalista cosiddetto “reclutato” un testo redatto dai suoi servizi e dicendogli “metta la sua firma qui e pubblicate!”.
La sola virtù che sopravvive intatta allora nel mio giudizio sulle attività americane una volta che fu completamente affermato il mio anti-americanismo, era il loro brio nelle relazioni pubbliche, per non far sentire una costrizione troppo grande sulle persone bersagliate; e un brio che era anche decorato da un certo riferimento alla professionalità e all’indipendenza della stampa americana (allora ci si poteva ancora credere), che tornava a dirvi effettivamente che è in tutta indipendenza che voi verreste a collaborare con gli USA (La Boétie, sempre) … Quando avvicino lo spirito del “mercato libero”, l’assenza di “interventismo”, lo “statalismo”, credo di non essere troppo lontano dalla verità. Il limite è che deve portare a un momento o ad un altro, sennò, se voi non vi decidete, se il punto del non ritorno è superato senza che nulla sia passato, se infine voi non comprendete il diktat del “mercato libero” (o del Sistema), la maschera cade brutalmente e voi ecco diventate “un cattivo”, un “bad guy” (cattivo ragazzo, ndr), un agente del KGB, un ritardato… (Effettivamente, a partire dal 1985, che corrisponde alla mia partenza dal quotidiano in cui lavoravo, non ricevetti più inviti dall’ambasciata americana, come era consuetudine per la stampa.)
La descrizione che dà Ulfkotte dei metodi usati oggi dagli USA per
reclutare e manipolare giornalisti professionisti della grande stampa in
Europa è completamente surreale in rapporto a quel che ho conosciuto; è
anche completamente stupido e assurdo, visto che questa “grande stampa”
si è evoluta dalla sua parte in stampa-Sistema e si trova essa stessa
continuamente sulla via della conformità… Ma non c’è nessuna ragione di
dubitare della sua descrizione, e questo permette allora di misurare il cammino di decadenza, se non di caduta,
percorso dall’apparato di influenza e di sicurezza nazionale
dell’americanismo. L’orientamento preso, in effetti caratteristico dello
sviluppo della politica-Sistema, degli eccessi in tutti gli aspetti di
questa politica, della sua “brutalizzazione” a oltranza, dall’immersione
nella percezione del mondo delle narrative inverosimili.
La Cia (o il BND, o non importa chi) opera a viso scoperto, senza preoccupazione né di apparenza opportuna, né di formalismo professionale, né di veridicità delle informazioni, esercitando pressioni persino su coloro che gli sono affiliati, che sono già nel corso della stampa-Sistema. L’informazione “sotto influenza” (sotto influenza della CIA o sotto influenza del BND, - o sotto influenza del Sistema, per mettere tutti d’accordo) diventa caotica come la descrive Ulfkotte (“Alcune voci importanti sono molto ragionevoli nei confronti della Russia, ma la maggior parte sono negative, ed alcune sono comicamente apocalittiche”), e il risultato è una comunicazione sempre più estrema, sempre più disordinata, sempre più inverosimile, ossia in fin dei conti sempre più fragile, sempre meno sostanziata, fluttuante in una sorta di etere in cui ogni cosa sembra isolata dalle sue cause e dalle sue conseguenze, ed in cui il suo credito, la sua veridicità, non resisterebbero un secondo ad una semplice messa a fuoco.
Questo fenomeno dell’informazione sotto l’influenza grossolana, sotto la manipolazione brutale, trasmette la sua vulnerabilità e la sua fragilità a coloro che fanno affidamento su esso per rinforzare le loro azioni, il che conduce invece a rendere più fragile questa azione. Il paesaggio di oggi, al contrario di quello di ieri che era controllato razionalmente e abbastanza abilmente, è la trasposizione nel mondo dell’influenza dell’estremo disordine che caratterizza la verità del nostro mondo. Gli effetti vanno dalle notizie “comicamente apocalittiche” sulla Russia al passaggio all’antiSistema dei “giornalisti investigativi” come Ulfkotte. L’esagerazione è sempre piena di autodistruzione.
La Cia (o il BND, o non importa chi) opera a viso scoperto, senza preoccupazione né di apparenza opportuna, né di formalismo professionale, né di veridicità delle informazioni, esercitando pressioni persino su coloro che gli sono affiliati, che sono già nel corso della stampa-Sistema. L’informazione “sotto influenza” (sotto influenza della CIA o sotto influenza del BND, - o sotto influenza del Sistema, per mettere tutti d’accordo) diventa caotica come la descrive Ulfkotte (“Alcune voci importanti sono molto ragionevoli nei confronti della Russia, ma la maggior parte sono negative, ed alcune sono comicamente apocalittiche”), e il risultato è una comunicazione sempre più estrema, sempre più disordinata, sempre più inverosimile, ossia in fin dei conti sempre più fragile, sempre meno sostanziata, fluttuante in una sorta di etere in cui ogni cosa sembra isolata dalle sue cause e dalle sue conseguenze, ed in cui il suo credito, la sua veridicità, non resisterebbero un secondo ad una semplice messa a fuoco.
Questo fenomeno dell’informazione sotto l’influenza grossolana, sotto la manipolazione brutale, trasmette la sua vulnerabilità e la sua fragilità a coloro che fanno affidamento su esso per rinforzare le loro azioni, il che conduce invece a rendere più fragile questa azione. Il paesaggio di oggi, al contrario di quello di ieri che era controllato razionalmente e abbastanza abilmente, è la trasposizione nel mondo dell’influenza dell’estremo disordine che caratterizza la verità del nostro mondo. Gli effetti vanno dalle notizie “comicamente apocalittiche” sulla Russia al passaggio all’antiSistema dei “giornalisti investigativi” come Ulfkotte. L’esagerazione è sempre piena di autodistruzione.
4 commenti:
Tutti spiano tutti...come Dio.
Cazzo e chi lo sapeva che eran tutti guardoni sti esseri umani...
la televisione ormai e da prendere e fare a pezzi!
È da prendere e fare a pezzi la televisione. Il problema è che ti spiano e controllano anche e sopratutto con internet,con il telefonino di qualsiasi tipo sia,con il frigorifero,con il microonde,con la lavatrice,con i caloriferi,a proposito i nuovi caloriferi che mi hanno appena installato sono molto inquietanti rendendomi anche difficile il sonno notturno,in automobile,quando cammini per strada,sul posto di lavoro,a scuola e forse hanno trovato il modo di spiarti e controllarti anche dopo morto...
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