La luce e gli universi multidimensionali


La luce è associata all'impalpabilità, all'evanescenza, a qualcosa che non si può toccare. Ma la fisica moderna ha dimostrato che la luce ha due nature differenti e coesistenti, una corpuscolare e una ondulatori. Essa è contemporaneamente frequenza e elemento tangibile

La luce è evanescente, magica, evocativa di uno stato spirituale.


La luce: questo termine può evocare in noi tante cose, alcune molto tangibili come l’illuminazione ed altre metaforiche, quali la luce interiore, i giorni luminosi, la bellezza della vita, la poesia. La luce dona benessere ed energia, innesca nelle piante la fotosintesi clorofilliana, permettendo loro di trasformare l’anidride carbonica in ossigeno. Sempre e comunque non priva di fascino, conoscerla anche sotto l’aspetto scientifico non contrasta in alcun modo con la poesia che essa può donare, anzi, forse è proprio questo che ci permette di apprezzarla maggiormente e di volare verso il suo indubbio fascino e la sua profonda armonia.


Luce e suono: universi complementari ma molto diversi


La prima cosa che possiamo pensare, quando parliamo di luce, è quella di associarla al suono: la vista e l’udito, vissuti spesso come qualcosa che non si può disgiungere, sono, infatti, i primi dei cinque sensi. Se ad esempio guardiamo un film, percepiamo simultaneamente immagini e suono e così pure se osserviamo la natura. Quando vediamo una persona questa ha per noi un volto ed una voce e ci viene spontaneo collegare l’elemento visivo – dato dalla luce – con quello uditivo, dato dal suono. Se però andiamo a vedere questo da un punto di vista scientifico, abbiamo subito un elemento di divergenza, non così banale.


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Per comprendere questa differenza, basta vedere un lampo durante un temporale: vediamo il lampo immediatamente, ma il suono giunge dopo e questo ci dice subito che la luce è più veloce e arriva prima. Il suono è più lento, si propaga meglio in un mezzo più denso e non viaggia nel vuoto (non a caso, il nostro orecchio interno contiene un liquido ed i pesci di profondità possono inviare suoni a chilometri di distanza, mentre la luce viaggia molto meglio nel vuoto. Se per il suono il mezzo e la sua densità sono un aiuto, per la luce tutto ciò rappresenta un ostacolo.



Date queste premesse, nasce spontanea una considerazione metafisica: la luce ha natura autonoma ed indipendente, mentre il suono deve legarsi ad un mezzo per potersi propagare e da solo non può nulla. Infatti, con un approccio più scientifico, il suono appartiene al tipo di onde meccaniche, mentre la luce ad un tipo elettromagnetico: le prime hanno, appunto, bisogno di un mezzo per propagarsi, le seconde non hanno bisogno di nulla.
L’altra caratteristica delle onde elettromagnetiche è la velocità che, nel caso della luce, ci porta quasi a credere la sua velocità di trasmissione infinita, quasi in tempo reale.



Velocità della luce: limite invalicabile?
In passato si credeva che la luce avesse velocità infinita, visto che i fenomeni luminosi avvenivano in maniera di fatto “immediata”: il lampo appariva subito e la luce sembrava propagarsi istantaneamente.



Oggi, questa velocità è ben definita. Il suo valore fu indicato per la prima volta dal fisico tedesco Paul Drude con la costante di 300.000 km/sec e, anche se ci appare come una velocità molto elevata (basti pensare che, in un secondo può compiere sette volte e mezzo il giro della terra) per le distanze che si ritrovano nell’Universo questo è ben poca cosa e del tutto insufficiente a compiere viaggi siderali.



La velocità della luce ha una caratteristica ben precisa: non è legata ad alcun mezzo di riferimento o, meglio, è la stessa qualsiasi sia il punto di osservazione. Facciamo un esempio per chiarire questo enunciato: se viaggiamo su un treno che si muove a 100 all’ora e camminiamo a 5 km/h nella direzione del moto lungo un corridoio del treno, un osservatore posto a terra ci vedrà spostarci a 105 km/h.



A questo punto ci aspetteremmo che per la luce valesse lo stesso principio, invece questo non accade: la sua velocità è sempre costante, anche procedendo con misurazioni molto accurate, ed appare non superabile.



La dimostrazione di ciò deriva dalla Teoria della Relatività, elaborata da Albert Einstein, che si esplica in equazioni che studiano i comportamenti di massa ed energia (ma anche di spazio e tempo) al variare della velocità.


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Einstein aveva dimostrato che anche elementi che definiamo come “di stato”, vale a dire indipendenti dal moto e costanti, come appunto la massa, sono invece funzioni della velocità. Secondo la relatività, quindi, se ci si avvicina alla velocità della luce la massa tende all’infinito e un corpo avrebbe massa infinita. Se superiamo questo limite, le equazioni date da Einstein perdono di significato, almeno secondo le condizioni che il fisico aveva posto.



Se questo fosse vero a tutti gli effetti, sempre e comunque, avremmo definito che le stelle lontane non sono da noi raggiungibili per ora e per sempre e l’uomo, finché sarà su questo pianeta, dovrà accontentarsi di osservarle con il telescopio. Magari con telescopi sempre più potenti, ma senza nessuna possibilità di andare, materialmente, su questi mondi lontani.



Dicevo “se fosse così”, perché in realtà il modello di universo che abbiamo nella mente non è esattamente quello dell’Universo (Multiverso) che oggi si comincia supporre e, con un modello differente, la velocità potrebbe non essere più un ostacolo. Se, ad esempio, l’universo avesse più di tre dimensioni, non sarebbe un problema “tagliare” tra le dimensioni compiendo distanze più brevi di quelle tridimensionali e superare quindi il limite della velocità. Si potrebbe attraversare la galassia in cui viviamo anche alla velocità che possiamo raggiungere camminando a passo tranquillo. Il problema, quindi, non appare più nei termini di distanza, ma di concezione dell’universo e della sua struttura.
  
Le due nature della luce e la delocalizzazione della materia
La luce è associata all’impalpabilità, all’evanescenza, a qualcosa, insomma, che non si può toccare. Ma è davvero così? La fisica oggi ha dimostrato che la luce ha due nature differenti e coesistenti: quella corpuscolare e quella ondulatoria che, tradotto in parole comuni ci mostra come essa sia contemporaneamente onda e corpuscolo: quindi è frequenza e anche elemento tangibile.


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Il dualismo onda–corpuscolo della luce appare una contraddizione di termini. Il modello corpuscolare della luce fu definito da Newton, che ne aveva postulato l’essenza come costituita da corpuscoli emanati in tutte le direzioni. E già ne aveva parlato Alhazen, uno scienziato iracheno il cui libro fu tradotto nel 1270 dal monaco polacco Vitellone.
Ma lasciava tuttavia qualche punto oscuro nella definizione dei colori. Noi conosciamo i sette colori dell’iride.



Netwon, inizialmente, ne indicò cinque: rosso, giallo, verde, blu e violetto; ed in seguito introdusse anche l’arancione e l’indaco. Questi sette colori, fondendosi assieme, danno il bianco mentre il nero è assenza di tutti i colori. Secondo il modello newtoniano, quindi, vi sono corpuscoli ben definiti per ogni colore; l’insieme di questi corpuscoli colorati fornisce il colore bianco. Non sempre, però, questo modello spiega come poi i corpuscoli si possano separare, come nel caso dell’arcobaleno.



Il modello ondulatorio, che invece vede la luce come insieme di onde deriva dagli studi di Christiaan Huygens e fu elaborato nel 1678; ancora non si aveva il concetto di onda elettromagnetica, quindi Huygens suppose che la luce – che al pari delle onde meccaniche doveva avere bisogno di un mezzo per propagarsi – si diffondesse in un mezzo detto etere.



Questa teoria spiegò meglio fenomeni come l’interferenza e la diffrazione (fenomeno che si verifica ogniqualvolta la luce incontra un ostacolo dove è posto un foro e da questo fuoriesce in onde sferiche, come se provenisse da una sorgente posta all’interno del foro stesso).



La presa di coscienza della natura elettromagnetica della luce è un percorso che ha richiesto molto tempo. Anche se i primi campi magnetici furono studiati addirittura da Talete di Mileto, nel 550 a.C., è solo dal secolo XVII che si cominciarono a studiare tali fenomeni.



Per quanto riguarda l’associazione della luce con le onde elettromagnetiche, questa è dovuta al fisico scozzese James Clerk Maxwell che, nel 1864, scrisse A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field (1).



La fusione tra i modelli corpuscolari ed ondulatori è dovuta ad Einstein che dimostrò che la luce, oltre ad essere composta da onde, è composta anche da particelle di energia, dette fotoni o “quanti di luce” che sono, da un punto di vista fisico, particelle elementari della famiglia dei bosoni. Secondo Einstein e Planck, il fotone è una struttura indivisibile, che porta in sé le caratteristiche sia ondulatorie che particellari (2).


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Le implicazioni di tutto ciò sono davvero notevoli. Se la luce è onda e corpuscolo nello stesso tempo, è anche soggetta a quanto la fisica moderna afferma sulla localizzazione di una particella e non ha una traiettoria definita. Se matematicamente si cerca di esprimere questa traiettoria, si ottiene semplicemente una probabilità di trovare la particella in una certa regione dello spazio. Questa impossibilità di una particella di occupare una posizione definita fu espressa da Heisenberg nel 1927 nel suo famoso “principio di indeterminazione”.
Non abbiamo, quindi, un qualcosa di definito, ma soltanto una probabilità e quindi una particella, per andare da un punto all’altro, potrebbe anche attraversare l’intero universo.



Una cosa davvero sconvolgente. E la fisica moderna ha dimostrato che è proprio così. Estendendo questo al pensiero, fatto di onde elettromagnetiche, possiamo dedurne che anch’esso può essere ovunque e, proseguendo il discorso dalle particelle legato ai corpi fisici, possiamo postulare che noi siamo corpuscoli e onde nello stesso tempo, ed abbiamo la possibilità essere ovunque nell’universo. In tal senso, anche esperienze come l’ubiquità, la bilocazione e simili, potrebbero avere un chiaro fondamento scientifico (3).



Se un fenomeno di questo tipo è vero per una particella o per un insieme di particelle può essere esteso ad organismi più complessi che, in fondo, sono insiemi di particelle come, appunto, gli organismi viventi del nostro pianeta.



Sebbene Einstein non accettasse l’indeterminazione (nota la sua frase “Dio non gioca a dadi”, con cui la confutò), egli aveva comunque formulato la nota equivalenza tra materia ed energia.



Planck aveva, invece, formulato l’equivalenza tra energia e frequenza.



Unendo le due leggi, si ottiene l’equivalenza tra materia e frequenza, esprimendo, così, che la materia è frequenza ed è da questa caratterizzata.



  

Note:
(1) Il testo è scaricabile in formato Pdf ed in lingua inglese da:http://users.df.uba.ar/mininni/teo1_2do2010/459.full.pdf
Esiste inoltre una dispensa che, in maniera semplice e chiara, tratta l’argomento della scoperta dell’elettromagnetismo, dalle origini sino alle scoperte più avanzate:http://www.fondazionetonolini.org/files/leOndeElettromagnetiche.pdf
Sul dualismo onda–particella vi è anche un breve video, dalla trasmissione Superquark, che potete trovare all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=GFtuX8fYoOM 
(3) “principio di sovrapposizione degli stati”:http://www.uniurb.it/Filosofia/isonomia/3rappresentative.htm
Più da un punto di vista delle possibilità per l’uomo, appare da segnalare l’articolo apparso su Focus, che si trova all’indirizzo:http://www.focus.it/Allegati/2011/3/174_178-grandi-temi-2_41690.pdf

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