29 dicembre 2013 - Il vento in Finlandia pare stia cambiando. Se finora era ritenuta, al pari della Germania, un’isola felice nel mare in tempesta, il dato della crescita riferito al primo trimestre dell’anno in corso ha fatto registrare un -0,1% rispetto allo al trimestre precedente. Di per sé questa non è una notizia preoccupante, ma se la si associa al fatto che si tratta del secondo risultato negativo per due anni di fila la cosa inizia ad essere un po’ più minacciosa. Dopo due anni di crescita negativa il Paese va tecnicamente considerato in recessione,
evento che fino a pochi mesi fa sembrava impossibile per uno qualunque dei Paesi scandinavi. A pesare sulla crescita è stato soprattutto il crollo delle commesse dall’estero per carta, macchinari e navi, causato dalla riduzione complessiva dei volumi di scambio dovuta alla crisi. Se l’Europa spende meno, i Paesi esportatori vendono meno, semplice. Tutto questo era assai presumibile, ed infatti previsto da molti economisti, che sin dall’inizio della crisi avevano ammonito l’applicazione di una ricetta a base solo di austerità e non accompagnata da misure di sostegno alla crescita. Con la crisi della Finlandia è evidente che questa manovra, della quale abbiamo visto gli effetti più negativi in Spagna, in Grecia e in Italia, ha finito con il ritorcersi anche contro i Paesi più virtuosi.
Secondo i dati raccolti dalla rete d’informazione televisiva Yle, l’economia finlandese si è impantanata a causa della struttura stessa del sistema Paese, che si basa innanzitutto sulle esportazioni. Come già evidenziato, i partner commerciali della Finlandia (soprattutto quelli europei) stanno uscendo ora dalle turbolenze recenti ma i livelli di un tempo restano lontani e la ripresa completa sembra ancora lontana. Inoltre settori storicamente strategici versano ora in condizioni difficili, come l’industria del legno e della carta, ma anche la telefonia della famosissima Nokia. Il Paese è poi scarsamente competitivo a causa delle tasse e degli stipendi generalmente più alti delle medie europee, che non incentivano l’ingresso di nuove imprese nel mercato finlandese. Se a questo si aggiunge come ciliegina sulla torta la domanda interna ancora bassa si capisce come mai le aziende iniziano a chiudere e il governo comincia a parlare di manovre correttive per il prossimo anno. Tutto questo ha poi riflessi sull’esecutivo del premier Katainen, che da mesi vede scendere la fiducia della gente: solo un cittadino su quattro ritiene che il governo abbia fatto bene sino a oggi. La ragione principale sta proprio nell’andamento debole dell’economia finlandese.
Ad Helsinki non è però la prima volta che la crisi si tocca con mano. A circa metà degli anni Novanta il Paese che in cui risiede Babbo Natale era sprofondato ad un Pil del -13%, un tasso di disoccupazione del 18% e un tasso di suicidi ed alcolizzati a causa della povertà che toccava livelli da record. In quegli anni la crisi finlandese era stata innescata dalla deregulation finanziaria e dalla ormai nota in tutto il mondo bolla immobiliare. I prestiti a lungo termine furono svincolati dal controllo della Banca Centrale e nel giro di un decennio i prezzi delle case aumentarono dell'80% provocando il collasso del settore immobiliare. A ciò conseguì un calo dei consumi quasi del 13% e 450 mila posti di lavoro si volatilizzarono, un dato estremamente pesante per un paese che conta poco più di 5 milioni di abitanti.
Con il debito privato alle stelle lo Stato decise di intervenire sull’economia nazionalizzando alcune banche e in altri casi garantendo per loro grazie ad asset e immobili pubblici legati ai cosiddetti Covered Bond. Inoltre, il governo decise di svalutare la moneta finlandese, che calò del 30% rispetto al dollaro e al marco tedesco ridando slancio alle esportazioni. A ciò si aggiunse poi la scelta di finanziare e potenziare l'Information Technology che passò dal 6,5% del 1991 fino al 23% del 2000. Nokia trasse grande impulso dalle provvide misure governative, passando da realtà di media grandezza e quasi sull'orlo della bancarotta dei primi anni ’90, a multinazionale globale che da sola forniva il 20% di export e 3% di PIL nel 2002. Grazie a questa serie di interventi il rapporto deficit/Pil accrebbe arrivando a toccare il 58% (dal 14% precedente). Da lì la ripresa fu rapida fino al 2000 il Pil si tenne su una media del +4,5%.
Oggi la situazione è notevolmente diversa, ed è per questo che il governo non riesce a reagire come vorrebbe e si sta attirando le ire di gran parte della popolazione. La crisi iniziata col tracollo della Lehman Brothers, la struttura europea e dell’eurozona e il rigore tedesco applicato nei confronti della crisi, hanno dato il via ad un effetto domino che è arrivato a colpire anche la virtuosa Finlandia, senza che questa potesse muoversi in modo indipendente ed efficace come negli annoi Novanta. Il Ministro dell'Economia Jan Vapaavuori ha dovuto ammettere: «Il settore forestale e quello delle telecomunicazioni sono in crisi e la politica economica congiunturale non può risolvere il problema…».
Non potendo agire liberamente sulla propria politica monetaria e dovendo rispettare i dettami di Bruxelles oggi Helsinki fatica a riprendersi. Questo si è visto subito nelle numerose aziende che hanno chiuso e che stanno sentendo il peso della crisi. Prima fra tutte la Nokia, gravata anche dalla strategia fallimentare di non credere nello sviluppo degli smartphones, che ha dovuto chiudere i propri store negli Usa e nel Regno Unito. Già nel 2010 l’azienda era stata acquistata dalla giapponese Renesas Electronics e il piano di ristrutturazione della compagnia prevedeva 10mila licenziamenti dal 2012 al 2013 ma già negli ultimi mesi si è parlato di ulteriori 800 licenziamenti per l’inizio del prossimo anno. La notizia di questa nuova ondata di licenziamenti è stata pubblicata dal quotidiano finlandese Helsingin Sanomat, che ha riaperto il dibattito sullo stato economico della Finlandia.
E’ ormai evidente che i settori principali del Paese sono in piena crisi. In un’infografica del Helsingin Sanomat si ricorda che il settore dell’elettronica è passato da 61.500 dipendenti nel 2008 ai 46.000 del marzo 2013, mentre Nokia, principale azienda del Paese, ha dimezzato i suoi impiegati. Erano 23.320 e oggi sono 11.000. Ciò ha portato il Ministro delle Finanze Jutta Urpilainen a fare dichiarazioni particolarmente dure al quotidiano 'Kauppalehti': «La Finlandia si impegna a essere un membro della zona euro e stimiamo che l'euro sia benefico per la Finlandia. Tuttavia la Finlandia non aderirà all'euro a qualsiasi prezzo e siamo pronti a tutti gli scenari, compreso quello di abbandonare la moneta unica europea». D'altronde per uscire dall’ultima crisi la svalutazione monetaria era stata fondamentale.
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