Come un dispositivo elettronico in modalità d’attesa, il Comando della forza congiunta alleata a Napoli (Jfc Naples) è tenuto ufficialmente in «standby», ossia pronto in qualsiasi momento a entrare in guerra. Ha ricevuto dal Comandante supremo alleato in Europa (che è sempre un generale statunitense nominato dal Presidente) l’incarico di mantenere in massima efficienza la Forza di risposta Nato – composta da unità terrestri, aeree e navali tecnologicamente più avanzate – in grado di effettuare entro 48 ore «qualsiasi missione in qualsiasi luogo».
Il nuovo quartier generale del Jfc Naples a Lago Patria, costruito per uno staff di oltre 2mila militari ed espandibile per «la futura crescita della Nato», è in piena attività. Stanno arrivando membri aggiuntivi dello staff da tutti i paesi Nato, per una serie di esercitazioni che permettono al Jfc Naples di essere «pronto a operazioni militari come la Unified Protector», la guerra del 2011 contro la Libia.
Oggi, nel mirino del Jfc Naples, c’è la Siria. Contro cui la Nato, senza apparire ufficialmente, conduce attraverso forze infiltrate una operazione militare coperta, che da un momento all’altro può divenire scoperta imponendo una «no-fly zone», come fu fatto con la Libia.
Avamposto dell’operazione militare contro la Siria è la Turchia, dove la Nato ha oltre venti basi aeree, navali e di spionaggio elettronico. A queste si aggiunge ora uno dei più importanti comandi Nato: il Landcom, responsabile di tutte le forze terrestri dei 28 paesi membri, attivato a Izmir (Smirne). Lo spostamento del comando delle forze terrestri dall’Europa alla Turchia – a ridosso del Medio Oriente (in particolare Siria e Iran) e del Caspio – indica che, nei piani Usa/Nato, si prevede l’impiego anche di forze terrestri, soprattutto europee, in quest’area di primaria importanza strategica. Lo conferma il fatto che il generale Usa Philip Breedlove, da poco nominato dal presidente Obama comandante supremo alleato in Europa, si è recato in luglio a Izmir per accelerare i tempi in cui il Landcom raggiungerà la «piena capacità operativa». Subito dopo, il generale Usa Frederick Hodges, responsabile del comando di Izmir, si è recato a Napoli per coordinare l’attività del Landcom con quella del Jfc Naples. Qui è stato accolto dall’ammiraglio Usa Bruce Clingan, che è allo stesso tempo comandante della Forza congiunta alleata a Napoli, delle Forze navali Usa in Europa e delle Forze navali del Comando Africa.
Un gioco strategico delle tre carte, che permette al Pentagono di mantenere sempre il comando: ad esempio, nel 2011 esso ha diretto la guerra alla Libia prima attraverso il Comando Africa, quindi il Jfc Naples, appoggiati dalle forze navali Usa in Europa.
E l’Europa? Essa è importante per gli Usa geograficamente, ha chiarito il Comandante supremo alleato a una commissione congressuale: le basi in Europa non sono residui «bastioni della guerra fredda», ma «basi operative avanzate» che permettono agli Usa di sostenere sia il Comando Africa che il Comando centrale nella cui area rientra il Medio Oriente. Sono quindi essenziali per «la sicurezza del 21° secolo», garantita da una «potente e capace alleanza» diretta dagli Usa, che possiede «24mila aerei da combattimento, 800 navi militari oceaniche, 50 aerei radar Awacs».
Una alleanza (questo non lo dice) la cui spesa militare ammonta a oltre 1000 miliardi di dollari annui. Per mantenere sempre pronti alla guerra i comandi, come quello di Napoli, città con un numero record di disoccupati, tenuti in «standby» nella vana attesa di un posto di lavoro.
Manlio Dinucci
Fonte
Il Manifesto (Italia)
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