USA, una nazione schedata



Alla recente pubblicazione di documenti riservati che descrivono i programmi di monitoraggio delle comunicazioni elettroniche di virtualmente tutto il pianeta, messi in atto dai vari organi dell’apparato della sicurezza degli Stati Uniti, si sono accompagnate in questi giorni altre rivelazioni che confermano come il governo di Washington stia procedendo a passo
spedito verso la schedatura della maggior parte della popolazione americana al fine di controllare e reprimere ogni forma di dissenso.


In particolare, due ricerche apparse nei giorni scorsi su altrettanti giornali d’oltreoceano hanno alzato il velo sulla raccolta sistematica di campioni di DNA di persone non necessariamente sospettate di un qualche crimine e di immagini di individui da inserire in un sempre più sofisticato programma di riconoscimento facciale a cui possono attingere le autorità di polizia nell’ambito di qualsiasi indagine.

L’attenzione su quest’ultimo programma condotto in maniera silenziosa da vari Stati americani è stata portata da un articolo pubblicato lunedì dal Washington Post. Il database a disposizione delle autorità statali conserva oggi oltre 120 milioni di volti di persone, le cui immagini sono state in gran parte raccolte in relazione al rilascio di patenti di guida, ufficialmente per prevenire o risolvere frodi in questo ambito.

Le fotografie riportate sui documenti di identità vengono così acquisite dalle autorità e archiviate. Le immagini, tuttavia, possono essere ottenute anche in seguito al semplice fermo di una persona per il solo controllo dei documenti. In varie indagini, inoltre, le forze di polizia hanno ricavato immagini personali dai social network per poi inserirle in un programma di riconoscimento facciale con l’obiettivo di identificare i sospettati di un determinato crimine.

Come ha sottolineato il Washington Post, l’utilizzo di queste tecniche non risponde più soltanto a esigenze investigative, dal momento che nei database finiscono spesso “immagini di persone che non sono mai state arrestate”, i cui volti entrano comunque a far parte di una “raccolta digitale perpetua”. Ad essa, l’FBI e altre autorità federali possono così accedere facilmente e da qualsiasi località tramite un personal computer.

Attualmente, gli Stati che utilizzano tecnologie di riconoscimento facciale per i propri registri delle patenti di guida sono 37, di cui almeno 26 consentono alle autorità di polizia federali, statali e locali di accedervi per cercare eventuali corrispondenze con persone sotto indagine.

L’attuale livello tecnologico non sembra garantire in molti casi un riconoscimento definitivo, soprattutto se la qualità dell’immagine a disposizione delle autorità non è ottimale, ma sarebbero già allo studio nuovi software che permettono un’identificazione precisa anche quando, ad esempio, un individuo entra per pochi secondi nell’inquadratura di una telecamera di sorveglianza oppure in caso di leggere variazioni dell’aspetto fisico.

Alcuni Stati per il momento impediscono alle autorità di polizia di fare ricerche nei database dei registri automobilistici ma la tendenza generale va in direzione esattamente opposta. Tanto più che la legge sull’immigrazione all’esame del Congresso proprio in questi giorni prevede, secondo il Washington Post, “la drammatica espansione dei sistemi elettronici di verifica fotografica, verosimilmente grazie all’accesso ai registri delle patenti di guida”.

In definitiva, il quadro legale in questo ambito risulta del tutto insufficiente e, come per la gigantesca banca dati delle comunicazioni elettroniche monitorate dalla NSA, l’utilizzo della tecnologia per il riconoscimento facciale da parte delle autorità va ben oltre le esigenze investigative su determinati crimini. Questo programma, infatti, potrebbe essere utilizzato, e con ogni probabilità viene già usato, in occasione di manifestazioni di protesta anti-governative, di scioperi o altri eventi di massa, durante i quali le immagini dei partecipanti possono essere raccolte da agenti di sicurezza o da telecamere di sorveglianza per essere poi conservate in un database nazionale a disposizione delle forze di polizia.

Come conferma l’articolo del Washington Post, d’altra parte, i programmi di riconoscimento facciale operano all’interno di archivi ben più consistenti di quello prodotto dai registri automobilistici dei vari Stati. L’archivio più grande è quello del Dipartimento di Stato, il quale raccoglie circa 230 milioni di immagini di cittadini americani in possesso di un passaporto e di stranieri che hanno richiesto un visto d’ingresso negli USA.

Complessivamente, gli uffici dei registri automobilistici, il Dipartimento di Stato, il sistema giudiziario, l’FBI e il Pentagono conservano qualcosa come 400 milioni di volti di americani e di cittadini di altri paesi. Queste immagini sono state ottenute in grandissima parte in violazione del Quarto Emendamento della Costituzione USA, senza cioè che le persone ritratte abbiano commesso alcun crimine e senza essere state informate dalle autorità americane.

L’altro programma di schedatura della popolazione, come già anticipato, è quello della raccolta del DNA. In questo caso era stato il New York Times a descrivere la scorsa settimana come le varie autorità di polizia del paese stiano da qualche tempo procedendo alla creazione di un vasto archivio in cui finiscono a tempo indeterminato campioni di DNA non solo di persone indagate per un crimine ma, in alcuni casi, anche di testimoni o addirittura vittime, il tutto a loro insaputa.

A preoccupare sono soprattutto le nuove banche dati di DNA create dalle forze di polizia locali, le quali operano pressoché in totale libertà e senza rispettare i diritti dei cittadini, al contrario degli archivi statali e federali, definiti dal NYT “altamente regolamentati”.

I numeri nel caso del DNA sono inferiori rispetto alle immagini della banca dati per il riconoscimento facciale, anche se in alcuni casi tutt’altro che trascurabili. La città di New York, ad esempio, possiede un database con 11 mila campioni, mentre l’ufficio del procuratore distrettuale della contea di Orange, in California, può vantarne più di 90 mila. Secondo una ricerca dell’Electronic Privacy Information Center il cosiddetto Combined DNA Indexing System - il database creato dall’FBI - è aumentato notevolmente negli ultimi anni e a livello nazionale contiene ora più di 11 milioni di profili.

Questi numeri aumenteranno vertiginosamente nel prossimo futuro grazie anche ad una sentenza della Corte Suprema di qualche giorno fa che rappresenta un nuovo aperto attacco ai diritti costituzionali degli americani. Il più importante tribunale degli Stati Uniti ha cioè approvato la raccolta di DNA di individui fermati dalla polizia e non ancora condannati, nonché la conservazione dei campioni e l’utilizzo in indagini di casi irrisolti, in relazione ai quali essi non sono sospettati.

Per il giudice Anthony Kennedy, che ha scritto il verdetto, l’ottenimento del DNA è una procedura compatibile con il dettato del Quarto Emendamento e sarebbe una pratica assimilabile, ad esempio, alla raccolta delle impronte digitali. Per il giudice di estrema destra Antonin Scalia che ha votato con la minoranza della Corte, invece, in seguito al verdetto nel caso Maryland contro King “il DNA potrà essere raccolto e inserito in una banca dati nazionale nell’eventualità che si venga arrestati, giustamente o meno, per qualsiasi ragione”, compresa la partecipazione ad una manifestazione contro il governo.

DNA e riconoscimento facciale, quindi, sono parte integrante dei programmi messi in atto da almeno un decennio dal governo americano con il pretesto della lotta al terrorismo e alla criminalità, ma in realtà destinati al controllo pervasivo di una popolazione sempre meno disponibile ad accettare in maniera passiva le politiche impopolari di una classe dirigente ampiamente screditata ed espressione unica della ristretta oligarchia economico e finanziaria che decide le sorti del paese.

Mario Lombardo


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