Una collaborazione israeliana e tedesca sembra dimostrare che il DNA sia in grado di distinguere lo stato quantico conosciuto come “spin”. La biologia si avvicina sempre più alla fisica dell’estremaente piccolo e forse può aiutarla nello studio della sua parte più complicata.
Se fino a poco tempo fa si fosse fatta la seguente domanda: “Possono I principi della meccanica quantistica essere applicati ai sistemi biologici?”, molti si sarebbero messi a ridere e avrebbero detto: “E’ come se volessimo confrontare le arance con le mele!”. Ed invece sembra che una molecola di notevoli dimensioni, proprio il DNA, sia in grado di districarsi tra i vari stati quantici chiamati “spin”. Non voglio certo andare nei dettagli della meccanica quantistica in questo articolo (lo farà tra non molto il nostro caro Red Hanuman), ma solo mostrare che la vita biologica può aiutare a penetrare i segreti di ciò che potrebbe spiegare le fasi iniziali dell’Universo dopo il Big Bang. Finiremo mai di stupirci davanti alle meraviglie che ci circondano sia all’esterno che al nostro interno?
E’ normalmente assodato che i fenomeni quantici possano avvenire in sistemi fisici di dimensioni limitatissime, come atomi singoli e al più piccole molecole. Per poter studiare questo microcosmo, gli scienziati sono costretti a raffreddare la materia fino a sfiorare lo zero assoluto. Se essa infatti cresce anche di poco, così come le dimensioni del sistema, le proprietà quantiche collassano e la fisica normale ne prende il posto. Le molecole biologiche sono piuttosto grandi e lavorano normalmente a temperature ben più alte di quelle a cui si devono compiere gli esperimenti della fisica dei quanti. Uno si aspetterebbe che alcuni fenomeni tipici dei quanti, come lo “spin”, che esiste in due stati opposti, vengano completamente mischiati nelle molecole biologiche e perdano di qualsiasi significato.
Tuttavia, alcune molecole biologiche hanno una proprietà particolare, sono “chirali”, ossia possiedono la proprietà di avere un’immagine speculare non sovrapponibile a sé come avviene, appunto, nel caso di una mano. In altre parole, queste molecole esistono sia in forma sinistrorsa che destrorsa e non possono mai sovrapporsi una all’altra. Le molecole di DNA a doppio filamento sono doppiamente chirali, sia nella disposizione dei filamenti, sia nella direzione di avvolgimento della spirale ad elica. Da studi precedenti, il gruppo di ricercatori guidati dal prof. Naaman, avevano già notato che alcune molecole chirali interagivano in modo diverso con stati di spin diversi. Gli ultimi esperimenti sono andati ben oltre, dimostrando che il DNA ha addirittura la capacità di selezionare lo stato di spin che preferisce.
L’esperimento si basa sulla costruzione di uno strato unico di molecole di DNA, attaccato a un substrato di oro. Questa sottilissima pellicola è stata esposta a un gruppo misto di elettroni, con entrambe le direzioni di spin. Il risultato è stato stupefacente. Le molecole biologiche hanno reagito istantaneamente e con forza con gli elettroni di un certo spin, mentre hanno evitato in tutti i modi il “contatto” con quelli di spin opposto. In particolare, le più lunghe sono state anche le più efficienti nell’operare questa rapidissima selezione. La proprietà selettiva decadeva drasticamente per DNA a singolo filamento o che presentava qualche danneggiamento nella catena. Se ne è derivato che questa capacità eccezionale di scelta deriva dalla natura chirale delle molecole, veri e propri selezionatori di elettroni da un punto di vista quantistico. In altre parole, esse agiscono come “filtri” straordinari per particolari elettroni.
Le prime ricadute sono ovvie ed enormi nel campo della spintronica (elettronica degli spin) che unirebbe sia la parte elettronica che quella magnetica dell’elettrone. I più avanzati calcolatori elettronici cercano attraverso le nanotecnologie di poter sfruttare le proprietà quantistiche degli elettroni. La natura ci fornisce un discriminatore già costruito e funzionante. Non parliamo poi delle ricadute in campo medico, sia in fase di diagnosi che di cura, in cui si potrebbero sfruttare le capacità delle molecole di interagire con elettroni di un certo carattere quantico.
E chissà che non possano insegnarci qualcosa anche sulle prime fasi dell’Universo… mai dire mai!
di Vincenzo Zappalà
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