Svelati i segreti del Dna oscuro. La parte denominata “spazzatura” rappresenta l’80% del genoma

Gli scienziati lo chiamavano Dna spazzatura: avanzi del nostro genoma che sembravano non servire a nulla. Poi hanno scoperto che non si trattava di qualche frammento, ma di oltre l’80 per cento del codice genetico. Forse un po’ troppo per non avere proprio alcun ruolo. Poi si è capito che una parte ce l’ha, e ora è venuto fuori che è pure quella da protagonista. Questa materia oscura del genoma sarebbe un enorme pannello di controllo che comanda l’accensione e lo spegnimento dei geni, stabilendo quali devono sintetizzare una proteina, quando e quanta. Senza questo cervellone centrale, le cellule e gli organi non funzionerebbero.
Dire che la scoperta ha delle implicazioni importantissime è poco, visto che mutazioni in questa parte del Dna potrebbero essere alla base di molte malattie. Il risultato è frutto dell’immenso impegno del consorzio di ricerca pubblico Encode (Encyclopedia of dna Elements), guidato dal National Genome Research Institute (Nhgri) statunitense e dallo European Bioinformatics Institute (Embl-Ebi), nel Regno Unito. Il progetto pilota era partito con un’ambizione piccola: esaminare l’1 per cento del genoma. Ma dal momento che sequenziare il dna costa sempre meno e che si fa sempre più velocemente, oggi Encode fa il suo exploit diffondendo 1.640 set di dati riguardanti 147 tipi diversi di cellule.



Più di 12 anni fa lo Human Genome Project (anch’esso pubblico) aveva compilato la prima mappa di quasi tutti i geni del dna umano (una corsa vinta pari merito con il celebre Craig Venter); oggi, Encode presenta un’altra mappa del genoma, identificando quattro milioni di nuovi geni che fungono da interruttori on-off. Sono ben 30 gli articoli – tutti open access – che ce li spiegano dalle pagine di tre importanti riviste scientifiche: Nature (che gli dedica la copertina), Genome Biology e Genome Research.
“Lo Human Genome Project ci aveva mostrato che soltanto il 2 per cento del genoma contiene le istruzioni per fare proteine. Con Encode, ora sappiamo che circa l’80 per cento è impegnato in qualche attività biochimica”, ha detto Ewan Birney coordinatore delle analisi sempre all’Embl-Ebi: “E abbiamo trovato che una ben più grande parte del genoma – una quantità sorprendente, in effetti – è coinvolta nel controllo della produzione di proteine”. Alcuni di questi abilitatori sono molto distanti dal gene che attivano. La scoperta ci porta, dunque, anche a riconsiderare la definizione stessa di gene, come sottolinea Joseph R. Echerin un commento su Nature.
Per agevolare la consultazione della nuova mappa e delle informazioni riportate nei 30 studi, il consorzio Encode ha anche messo a punto un sistema di ricerca per seguire un tema attraverso tutti gli articoli online. Il gruppo editoriale di Nature ha persino sviluppato una nuova piattaforma e un’app per iPad.
Un ricercatore impegnato nello studio di qualsiasi patologia può quindi avere accesso diretto a questi dati: “In molti casi si conoscono i geni coinvolti in una malattia, ma forse si ignorano i loro interruttori”, ha infatti spiegato Ian Dunham dell’Embl-Ebi. Qualcuno si è già messo su questa strada: i ricercatori del Genoma Science presso l’Università di Washington pubblicano oggi, in anteprima su Science, uno studio basato proprio sui dati di Encode, oltre che del 1000 Genomes Project. Matt Murano e colleghi hanno cominciato a ricostruire i network genetici che sembrano sottostare ad alcune malattie autoimmuni come il diabete 1, l’artrite reumatoide, la malattia di Crohn e il lupus, e che coinvolgerebbero il 24,4 per cento del dna.

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