Il segreto dell’origine dell’universo – o più modestamente, di un modello finalmente efficace per descriverne i primi istanti di vita – potrebbe nascondersi nei reticoli cristallini. Le quattro dimensioni che osserviamo oggi sarebbero il risultato di una "cristallizzazione" dell'universo primordiale.
È una delle conseguenze di uno studio pubblicato su “Physical Review D” e su ArXiv a firma di un gruppo di ricercatori dell'Università di Melbourne e della RMIT University di Victoria.
l lavoro è improntato alla teoria detta della Quantum Graphity. Presentata nel 2006 da un gruppo di fisici teorici del Canadian Perimeter Institute for Theoretical Physicstra cui Tomasz Konopka, Fotini Markopoulou-Kalamara, Simone Severini e Lee Smolin, la Quantum Graphity è frutto dell'applicazione della teoria matematica dei grafi al problema della gravità quantistica, la teoria che cerca di mettere d'accordo la relatività generale e la meccanica quantistica (il nome è probabilmente l'esito di una crasi tra "Graph" e “Quantum Gravity”), problema che da lungo tempo assilla fisici e cosmologi.
La gravità, nella sua formulazione in termini di teoria della relatività generale, descrive il comportamento dell'universo su grande scala, mostrando come interagiscano tra loro le masse deformando la struttura dello spazio-tempo, concepita come un tessuto continuo. Considerato che l'universo si sta espandendo, se si procede a ritroso verso ilbig bang, l'esplosione che ha dato origine all'universo, occorre ipotizzare che tutta la materia sia stata concentrata in uno spazio limitatissimo con una densità inimmaginabile, in cui erano in gioco le leggi della meccanica quantistica.
Quest'ultima però descrive i sistemi microscopici in termini di grandezze appunto quantistiche, cioè discontinue. Come conciliare queste due descrizioni della materia così discordanti e lontane tra loro? Varie teorie hanno introdotto una “granularità” anche nello spazio e nel tempo: una di queste prevede di applicare allo spazio-tempo il concetto di "grafo aleatorio", introdotto negli anni cinquanta dai grandi matematici Paul Erdos e Alfréd Rényi, che si trova a cavallo tra la teoria dei grafi e il calcolo delle probabilità.
Il grafo aleatorio ha avuto un certo grado di successo nella modellizzazione di fenomeni discontinui come le transizioni di fase (i passaggi di stato da liquido a solido, per esempio). Applicando la teoria dei grafi aleatori allo spazio-tempo si ottiene un modello i cui punti dello spazio sono rappresentati dai nodi di un grafo collegati da archi, in numero proporzionale alla distanza tra loro.
“La Quantum Graphity si basa sull'ipotesi che lo spazio sia costituito da mattoni elementari indivisibili, che possono essere immaginati come i pixel che compongono un'immagine digitale”, spiega James Quach, primo autore dello studio. “Il problema è che questi quanti di spazio sono molto piccoli, e perciò impossibili da osservare direttamente”. Se la via dell'osservazione diretta è preclusa, è possibile tuttavia ingegnarsi per trovare una strada che consenta un'osservazione indiretta.
“Dobbiamo pensare all'universo primordiale come a un liquido: in seguito si è raffreddato 'cristallizzandosi' nelle quattro dimensioni – tre spaziali e una temporale – che vediamo ora", continua Quach. "In questo modello, ci si aspetta che si formino delle incrinature, così come avviene quando l'acqua solidifica formando il ghiaccio”. E sono proprio questi difetti che potrebbero risultare visibili: gli studiosi hanno calcolato alcuni di essi, che potrebbero rispondere una volta per tutte alla questione della granularità dello spazio.
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