Nazioni Unite: Il Corno d'Africa colpito da un apocalittica siccita'




Quella che si sta abbattendo sul Corno d’Africa è una vera apocalisse. Tra gli otto e i dieci milioni di persone sono colpite dalla siccità, la peggiore, come la giudicano gli esperti, degli ultimi sessant’anni.
Flussi migratori imponenti stanno strozzando i campi profughi del Kenya, che, nel nord del paese, sta vivendo gli stessi problemi di Eritrea, Etiopia, Somalia e Gibuti.
È passata una settimana dall’appello lanciato dalle Nazioni Unite su questa emergenza umanitaria, ma la comunità internazionale non ha ancora risposto, quasi voglia chiudere gli occhi di fronte a dieci milioni di africani a rischio carestia.
I pessimi raccolti, dovuti alla diminuzione vertiginosa delle precipitazioni negli ultimi due anni, hanno provocato una crescita dei prezzi senza precedenti. In Kenya, solo per fare un esempio, quelli all’ingrosso del mais nei principali mercati di Nairobi e Mombasa, sono del 60-80 per cento superiori ai livelli del maggio 2010. Anche in Etiopia, dove i mercati avevano registrato livelli abbastanza bassi sino all’inizio del 2011 per la buona produzione registrata nel 2010, a partire da febbraio si è verificata una brusca impennata dei prezzi dei cereali e quelli del mais tra marzo e maggio sono aumentati tra il 60 e il 120 per cento.
Secondo i dati diffusi dall’Onu il 28 giugno scorso, la siccità colpisce 3,2 milioni di persone in Kenya, 2,6 in Somalia, 3,2 in Etiopia e 117mila a Gibuti. In alcune aeree del Corno d’Africa il tasso di denutrizione infantile è due volte superiore alla soglia d’urgenza, fissata al 15 per cento. In Somalia un bambino su tre è denutrito. Il Kenya ha dichiarato il “disastro nazionale”.
Al campo profughi di Daadab, il più grande al mondo, si è ormai arrivati al limite della capienza. Sono circa 370mila i rifugiati per un campo concepito per contenerne al massimo novantamila.
I responsabili della struttura parlano di circa un migliaio di persone al giorno che arrivano dalla Somalia. Al confine con l’Etiopia non va meglio. Nel zona di Moyale si calcola che centinaia di persone ogni giorno lasciano il paese per raggiungere le strutture organizzate in Kenya.
L’appello dell’Onu, tuttavia, rimane inascoltato e i fondi non arrivano o arrivano con il conta gocce. Nel 2011 Gibuti doveva ricevere 39 milioni di dollari, ma solo il 30 per cento è stato finanziato. Non va meglio in Somalia, dove l’appello di richiesta fondi, 529 milioni, ha ottenuto una copertura finanziaria del 50 per cento, mentre in Kenya non si va oltre il 54 per cento.
A tutto ciò si aggiunge che aumentano le distanze per trovare fonti d’approvvigionamento d’acqua, in molte aeree sono raddoppiate e in molte zone occorre percorrere non meno di 30-40 chilometri, a piedi. I conflitti nati per spartirsi i pochi pascoli rimasti hanno, inoltre, causato perdita di vite umane e di bestiame.
Fino ad ora solo la Gran Bretagna ha risposto all’sos dell’Onu. Il segretario di stato britannico allo sviluppo, Andrew Mitchell, ha annunciato un finanziamento del suo governo al Programma alimentare mondiale pari a 61 milioni di dollari (42 milioni di euro) per nutrire 1,3 milioni di persone e curare 329mila bambini e donne malnutriti in Etiopia. Mitchell, inoltre ha lanciato anche un appello: «Questa situazione necessita di una risposta internazionale e la Gran Bretagna chiede alla comunità internazionale di fornire aiuti con rapidità e concretezza». Anche questa, tuttavia, sembra essere una goccia nel mare di fronte a dieci milioni di persone a rischio carestia. Si sta andando, insomma, verso
un apocalisse senza precedenti.


Fonte:http://www.europaquotidiano.it

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