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Incendi minacciano il Circolo Polare Artico!


La Terra si surriscalda e scioglie la crosta gelata , liberando immensi giacimenti di metano, pronti a incendiarsi. Dopo diecimila anni, sulle terre polari incombe un nuovo pericolo: il fuoco. Sono le fiamme, oggi, a minacciare i territori boreali di Siberia, Alaska e Canada: danni spaventosi, incalcolabili, se a prendere fuoco è la tundra artica, come in occasione del devastante rogo del 2007, col rilascio nell’atmosfera di una quantità di carbonio pari a quella immagazzinata dai ghiacci nei 50 anni precedenti. Il disastro, nella zona del fiume Anaktuvuk nel nord dell’Alaska, ridusse in cenere un’area di 1.039 chilometri quadrati, pari a una media provincia italiana, liberando nell’atmosfera  2,3 milioni di tonnellate di carbonio.

«Il riscaldamento globale -sta facendo finora sentire i maggiori effetti alle latitudini più settentrionali del pianeta». A parte il fenomeno dello scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia e della riduzione della superficie coperta dalla banchisa nell’oceano Artico, ciò che preoccupa maggiormente è quanto sta avvenendo sulla terraferma nelle regioni più settentrionali dell’America e della Russia. A preoccupare, in particolare, è lo scioglimento della parte superficiale del terreno permanentemente ghiacciato, duro come una roccia». Uno dei problemi, spiega Virtuani, è che il suolo, sgelando, diventa molle e fangoso: «Quello che preoccupa i climatologi è che la tundra ha immagazzinato per millenni sotto forma ghiacciata enormi quantità di carbonio e di metano, che ora con il disgelo vengono rilasciati nell’atmosfera».

Il metano in particolare è un potente gas serra, decine di volte più pericoloso dell’anidride carbonica. «Con il riscaldamento, oltre al rilascio di questi gas, aumenta in modo considerevole il pericolo di incendi come quello del 2007», continua Virtuani, sottolineando la fragilità dell’ecosistema della tundra artica, vulnerabilissimo dagli incendi, visto che ormai «le estati artiche stanno diventando più lunghe e soprattutto più secche», esponendo il permafrost altamente infiammabile a minacce sconosciute da secoli. «Se piccoli incendi avvengono ogni 80-150 anni, la tundra ha il tempo di rigenerarsi», spiega Sydonia Bret-Harte, co-autrice di un recente studio delle università dell’Alaska e della Florida, pubblicato il 28 luglio sulla rivista “Nature”. «Ma se ora avvengono con maggiore frequenza, diciamo ogni dieci anni, l’ambiente non ha il tempo per recuperare».

Il rogo dell’Anaktuvuk venne innescato da un fulmine. «Normalmente ci si aspetta che un incendio scoppiato in un terreno umido come il permafrost in via di disgelo si spenga rapidamente», aggiunge la studiosa dell’università dell’Alaska, «invece l’estate 2007 fu particolarmente secca, l’incendio non si spense e proseguì sotto traccia per settimane in una zona selvaggia dove era impossibile intervenire, finché in settembre forti venti estesero le fiamme». Il fumo era visibile fino a 24 chilometri di distanza da un campo dove erano situati gli studiosi. La situazione è seria: «Incendi di queste proporzioni sono assenti da 10.000 anni nella tundra artica», ricorda Michelle Mack, che studia gli ecosistemi boreali all’Università della Florida.

La differenza di un incendio nella tundra rispetto al rogo in una foresta alle nostre latitudini è che nella foresta le fiamme bruciano gli alberi e le foglie cadute, mentre nella tundra, oltre a ridurre in cenere muschi e licheni che ricoprono il suolo, brucia il suolo stesso, il permafrost, distruggendo almeno il 30% di materiale organico che contiene. Considerando la vasta estensione della terre glaciali – il permafrost ricopre per il 20-25% l’intero emisfero settentrionale – lo studio pubblicato su “Nature” per la prima volta mette in guardia dalla bomba ecologica rappresentata dagli incendi della tundra. Incendi, aggiunge il “Corriere”, che «possono condizionare l’emissione di gas serra e, anzi, secondo gli scienziati, diventarne il fattore più importante: ben più delle emissioni dei Paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo che tutti vogliono contenere».

Forti piogge inondano il sud del Brasile



Tre giorni di piogge continue hanno  colpito nello sud dello stato di Santa Catarina nel sud del Brasile, con le autorità che hanno dichiarato  lo stato di emergenza in 32 citta'.Piogge torrenziali hanno causato allagamenti e costretto più di 63.000 residenti ad evacuare le loro case, hanno detto i funzionari Venerdì. Alcune città sono state quasi interamente sommerse dall'acqua a causa dell'innalzamento del livello del fiume Itajai-Acu.


La Protezione Civile riferisce che le inondazioni hanno colpito quasi 790.000 persone in 60 comuni, ed ha avvertito per il rischio di frane nelle zone colpite.
La popolazione sfollata e' stata accolta nelle scuole diventate un posto di rifugio temporaneo.Le inondazioni che hanno colpito il sud del paese sono in netto contrasto con la grave siccita,che sta innescando enormi incendi boschivi,che sta interessando le regioni del centro-ovest. Gran parte di Brasilia e' sotto assedio incendi e fumo  solo nelle ultime 24 ore ci sono stati 50 incendi.Il Fumo scatenato e' stato così pesante che alcune scuole sono state costrette a chiudere . (TerraDaily)


Fonte

Una forte tempesta geomagnetica sta interessando la terra!


11 settembre 2011 - attività geomagnetica terrestre continua: il campo magnetico terrestre sta ancora riverberando dall'impatto del CME(espulsione di massa coronale) del 9 settembre con tempeste geomagnetiche intermittenti in corso intorno ad entrambi i poli. Ad alta latitudine osservatori celesti devono prestare attenzione per aurore che potrebbero mescolarsi con la luce della luna piena crescente . Una nuova macchia solare (AR1289) sta crescendo rapidamente nell'emisfero orientale del sole. Sunspot 1283 ha ancora un " beta-gamma"che potrebbe generare forti brillamenti solari di classe M  attraverso l'arto destro del sole. - Space weather
per avere piu' informazioni :http://www.n3kl.org/sun/noaa.html

Indonesia: allerta livello 3 per il vulcano Tambora


Le autorita' indonesiane hanno elevato il livello di allerta per il vulcano Tambora,portandolo a 3 su una scala di 4,l'aumento dei tremori nella zona circostante il cratere potrebbe essere il preludio di una imminente eruzione.Il Tambora è uno stratovulcano dell'isola di Sumbawa, situata nell'arcipelago indonesiano della Sonda.
ed è considerato il secondo vulcano al mondo per indice di esplosività VEI, stimata a 7;[1] è situato nella zona di subduzione creata dal movimento della placca australiana verso una parte della zolla euroasiatica, in una zona nella quale si sono formati nel corso di millenni tre tra i più esplosivi e devastanti vulcani conosciuti: il Toba, il Tambora e il Krakatoa (in ordine VEI)

Il cratere del Tambora visto dall'alto.


La più famosa eruzione del Tambora fu quella che ebbe luogo nell'aprile 1815.
Il tutto iniziò intorno al tramonto dell'11 aprile, con una serie di potenti boati, simili a tuoni o cannonate, che misero sull'avviso le truppe britanniche che da non molto tempo si erano stanziate nella regione dopo averne scacciato gli olandesi. Questa prima serie di esplosioni cessò tuttavia rapidamente; un nuovo fenomeno parossistico, questa volta molto più intenso, cominciò il giorno 19, con esplosioni più intense (tali da far tremare le abitazioni)[2] e abbondanti emissioni di cenere che oscurarono il cielo dell'intera regione per giorni e provocarono pesanti accumuli in tutti i villaggi circostanti. Le navi incontrarono anche dopo 4 anni dall'eruzione la cenere in mare nella forma di isolotti galleggianti di pomice.
Tre mesi di convulsioni simili provocarono nel Tambora una diminuzione di quota di 1.300 metri; dai più di 4.100 metri originari, la montagna era passata agli attuali 2.850. Secondo Thomas Stamford Raffles, all'epoca luogotenente governatore di Giava, l'area in cui si osservarono gli effetti immediati dell'eruzione (tremori, rumori, ecc...) si allargava per circa 1.600 km intorno all'isola di Sumbawa.[3]

L'eruzione del 1815 è stata, a detta dei vulcanologi, una delle più potenti, almeno dalla fine dell'ultima Era glaciale; l'emissione di ceneri fu, quantitativamente, circa 100 volte superiore a quella dell'eruzione, pur rilevante, del monte Sant'Elena del 1980, e fu maggiore anche di quella della formidabile eruzione del Krakatoa del 1883.[4] Complessivamente, vennero proiettati in aria circa 150 miliardi di metri cubi di roccia, cenere e altri materiali.[5] L'eruzione, o meglio l'esplosione, creò disastri di proporzioni bibliche, con una stima di 60.000 morti dovuti sia direttamente all'esplosione che alle pesanti carestie che seguirono il disastro.[5]
L'eruzione del Tambora non fu l'unica, in quel periodo: nel 1812 esplose con violenza il vulcano Soufrière, nei Caraibi, mentre l'anno prima fu il vulcano Mayon, nelle Filippine, ad entrare in attività. Tutte queste eruzioni vomitarono enormi quantitativi di cenere e polvere nell'atmosfera, producendo un denso "velo" di polvere vulcanica nella stratosfera. Questo velo schermò una discreta parte dei raggi solari negli anni successivi, provocando uno dei periodi dal clima più freddo della (già di per sé fredda) piccola era glaciale.
La polvere restò per molti anni nell'atmosfera diminuendo la quantità di radiazione solare che abitualmente colpisce il suolo della terra. Il pianeta conobbe un'epoca di estati mancate ed inverni freddissimi, che ebbero come conseguenza scarsissimi raccolti e un impoverimento importante di vaste aree del pianeta. Il 1816, l'anno successivo all'eruzione,fu ricordato come l'anno senza estate.

La lenta agonia del lago Orumiyeh

La minaccia di una catastrofe ecologica planetaria sta per abbattersi sul terzo lago salato del mondo. Dopo la tremenda agonia del lago d'Aral, situato tra Kazakistan e Uzbekistan, è la volta del lago Orumieh, il più grande lago del Medio Oriente, nel nord-ovest dell'Iran, nella parte dell'Azerbaijan, che per responsabilità del governo di Teheran,e con lo zampino del global warming, priverà la regione di importanti risorse ittiche e turistiche, lasciando sul terreno milioni di tonnellate di sale e di sabbia salata che i forti venti presenti nel luogo trasporteranno nei campi agricoli distruggendo raccolti e ogni forma di vita. 

Ovvia la protesta di migliaia di manifestanti nelle settimane scorse a Tabriz e Orumiyeh, duramente represse dal governo iraniano, come mostrano molte pagine su Facebook. Il movimento verde invita gli iraniani a manifestare per la sopravvivenza del lago e in solidarietà con il popolo azerbaijano, allo stadio Azadi di Teheran nella giornata di oggi, nel corso della partita di calcio tra la squadra di Tabriz, il  Traktor e l'Esteghlal della capitale.

Il lago di Orumieh ha più di 100 isole rocciose, che si aggiungono alla sua bellezza e seduzione mistica. Oltre al suo scenario naturale mozzafiato, è anche sede di un caleidoscopio di fauna selvatica, che comprende più di 200 specie di uccelli, rettili e anfibi vari e 27 mammiferi, tra cui il cervo iraniano giallo. Come il Mar Morto, la sua terra è ricca di minerali e sali usati per curare vari disturbi come reumatismi, problemi dermatologici e lo stress. Anche per queste sue peculiarità il lago è considerato Patrimonio dell'Umanità ed è protetto dall'UNESCO.

Tuttavia, il lago si è ridotto del 60% e potrebbe sparire completamente entro tre-cinque anni. La morte del lago non sarà solo una catastrofe per la sua fauna, ma modificherà in modo permanente il clima della regione, provocando la dispersione di circa 14 milioni di persone.

Terremoto 3.9 Richter nel sud Italia

11 Settembre 2011.L'EMSC riporta che un terremoto profondo di magnitudo 3.9 Richter ha colpito a largo della costa calabra, in Italia alle ore 7:45 italiane ad una profondita' di 278 km ,l'epicentro e' stato localizzato a 105 km SE di Salerno 44 km ad O di Scalea,42 km SO da Maratea.
EMSC

NASA: parte la missione GRAIL sulla Luna!

Ufficialmente la missione GRAAL includerà due veicoli spaziali senza equipaggio - GRAIL-A e GRAIL-B - che voleranno in formazione sulla superficie della Luna, misurando le variazioni nella sua gravità. Utilizzando questi dati, gli scienziati sperano di scoprire di più sulla storia termica della Luna, e di come gli altri pianeti rocciosi del sistema solare si siano sviluppati.

Ciascuna delle astronavi e' circa le dimensioni di una lavatrice, e hanno un peso complessivo di appena 1.600 £ (726 kg). Saranno a cavallo side-by-side a bordo del razzo, e sarànno lanciate separatamente, una volta raggiunta l'orbita.Le navicelle Grail A e B dovrebbero impiegare tre mesi e mezzo per raggiungere la Luna quindi l'arrivo e' previsto per l'inizio del nuovo anno.

Dopo aver trascorso cinque settimane per raggiungere la loro orbita lunare, le due sonde entreranno nella fase operativa per la mappatura dell'intera superficie lunare.

 


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