A Bruxelles parlano di pragmatismo, di uno stratagemma per uscire dallo stallo.
Ma quella arrivata ieri dalla Commissione europea ha tutte le caratteristiche di una vera e propria resa ai diktat di Berlino, che da anni blocca l’ultimo tassello, il cosiddetto terzo pilastro, che ancora manca per chiudere la riforma dell’Unione bancaria. L’oggetto del contendere riguarda l’anello più debole di tutto il sistema creditizio, ovvero i risparmiatori che tengono i soldi nei conti correnti.
Dopo aver varato la vigilanza unica, con norme severe per gli istituti, e imposto agli stati nazionali regole altrettanto rigide sui crac bancari, con il meccanismo unico di risoluzione e il famoso bail-in, la Ue avrebbe dovuto creare una rete di protezione comune per i depositi al di sotto dei 100mila euro. Le somme, in caso di fallimenti creditizi, sono già garantite a livello nazionale dai vari fondi alimentati dalle banche. Ma quando tali fondi dovessero trovarsi di fronte a crisi di grandi dimensioni o, esattamente come sta accadendo in Italia, fossero prosciugati da operazioni di salvataggio, sarebbe la Ue a tutelare i correntisti.
La Germania, però, si è sempre rifiutata di condividere i rischi sulle perdite bancarie, senza norme che portassero la percentuale di quei rischi vicina allo zero, imponendo agli istituti cure da cavallo sui requisiti patrimoniali o sulla gestione delle sofferenze, come propone ora la Bce nelle contestate linee guida. Ed ecco la soluzione messa sul tavolo Bruxelles: introdurre il sistema unico di garanzia dei depositi in modo più graduale, con due fasi. La prima è la fase della riassicurazione: il sistema unico fornisce liquidità ai fondi di garanzia nazionali con prestiti da rimborsare. La seconda è quella della coassicurazione, in cui la Ue copre le perdite senza recuperarle dagli schemi nazionali. Il passaggio alla seconda fase sarebbe, però, condizionato al raggiungimento di progressi nella riduzione delle sofferenze e di altre eredità del passato attraverso una verifica della qualità degli asset. Esattamente come vuole Berlino.
Accanto allo strumento per tutelare i depositanti, la Commissione, che annuncia anche misure entro la primavera per ridurre le sofferenze, pensa pure ad un «paracadute finanziario» da attivare quando per fronteggiare una crisi c’è bisogno di ulteriori fondi. Si tratterebbe di una situazione «di ultima istanza» a carico dell’Esm (il fondo salva Stati). Anche su questo, però, malgrado si tratti di prestiti e non di erogazioni, la Germania non è d’accordo. Così come poco graditi sono i sovereign bond-backed securities, titoli garantiti da obbligazioni sovrane, che potrebbero rafforzare la condivisione del rischio spalmandolo tra gli investitori e tra i vari paesi della zona euro.
di Sandro Iacometti per Libero – (Fonte: www.mag24.es)
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