Qualcuno sta “coltivando” il cielo. Lo dimostrano le anomalie
climatiche e i residui che piovono a terra. Ne è convinto l’ingegner
Paolo Broggia: ormai, dice, la realtà supera largamente qualsiasi
ipotesi fantascientifica.
Inoltre, i “coltivatori” dell’aria lasciano
tracce quotidiane: «Se osservassimo i nostri cieli più attentamente,
vedremmo attività aeronautiche non ufficiali, cioè non legate a transiti
di aerei di linea, che rilasciano delle sostanze visibili che si
disperdono dopo qualche minuto, a volte dopo ore. Probabilmente si
tratta di droni, che quotidianamente “spazzolano” il cielo come una
griglia “a scacchi”: ormai non c’è zona dell’Italia (e dell’Europa)
che non sia irrorata». Droni, dunque, perché solo velivoli senza pilota
potrebbero reggere al millimetro «la estrema ripetitività delle rotte,
stressanti e pericolose per esseri umani in carne e ossa: infatti, nel
ripassare nelle precedenti scie, in cabina entrerebbe l’aria proveniente
dall’esterno, inquinata dello stesso materiale rilasciato dallo
scarico». Che cosa spruzzano? «Qualunque cosa, a giudicare dalle analisi
dell’acqua piovana».
Sembra proprio che dal cielo stia venendo giù di tutto, scrive Broggia su “Megachip”: nell’aria si registra infatti la presenza di «metalli pesanti, polimeri,
batteri, sostanze non classificate». Attenzione: ci sono anche «i fili
che cadono dal cielo, imitazioni quasi perfette delle ragnatele, ma di
lunghezze spropositate». Vietato confondersi: «Se fossero di un vero
ragno volante (il fenomeno è quello dello “spider ballooning”), questo
dovrebbe essere grande più di 100 metri». Inoltre, «le vere ragnatele
non vengono attratte da un potente magnete, come invece sembra accadere a
questi fili». Sul web si trovano tracce di un esperimento condotto nel
2011 dall’università di San Diego,
in California. Il test fornisce la misura dell’impegno teorico:
«Considerando l’intero territorio italiano formato da tanti quadrati di
100 chilometri di lato, in totale abbiamo solo 30 quadrati. Ipotizzando 2
droni che lavorino per ciascun quadrato, con appena 60 droni si
potrebbe coprire una nazione intera, con tutti i suoi abitanti, piante,
falde acquifere, eco-sistemi». Presso i centri radar aeronautici
italiani, continua Broggia, «i controllori di volo sono consapevoli di
questo enorme movimento di velivoli, ma lo ignorano. O non danno
spiegazioni se interpellati».
Già nel 1957, chiarisce “Megachip”,
si studiava tecnicamente la possibilità di controllare la grandine per
evitare la distruzione delle colture, per esempio in Piemonte: due
fisici, Barla e Barbero, nel “Giornale di Geofisica” parlano di «nuclei
di condensazione prodotti da ossidi radioattivati», e descrivono «teoria
ed esperimenti per attivare artificialmente dei nuclei di molecole di
acqua usando ossidi di alluminio e campi elettromagnetici». Gli
italiani, conferma Broggia, sono sempre stati molto attivi in questo
campo: si citano sperimentazioni nei dintorni di Roma e in Sardegna,
pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali e brevetti
industriali registrati negli Usa (molti materiali sono presenti nel portale “No Geoingegneria”).
E in un documento del 1963, il generale Antonio Serra, capo del
servizio meteorologico dell’aeronautica, cita una collaborazione svolta
con una azienda americana «per provocare la pioggia», attività condotta
con fondi pubblici, per la precisione col sostegno della Cassa del
Mezzogiorno e della Regione Sardegna. Si trattò di «un terzo ciclo di esperienze di nucleazione artificiale dell’atmosfera, il più lungo finora condotto in Italia», scrive il generale Serra nel ‘63.
Un esperimento fondamentale, dunque, «affidato alla società americana
“Weather Researches Development Corporation”». Positivo l’esito:
l’autore si dichiara «molto fiducioso sui progressi tecnici
migliorativi, per risolvere tutti i problemi legati alla siccità».
Trent’anni dopo, nel 1994, il governo italiano ha promulgato addirittura
una legge, la numero 36 del 5 gennaio, che prevede la creazione
regolare di piogge artificiali per sconfiggere la siccità. Si intitola:
“Disposizioni in materia di risorse idriche”. L’articolo 2, comma 2,
conferma l’adozione del «regolamento per la disciplina delle
modificazioni artificiali della fase atmosferica del ciclo naturale
dell’acqua». Due anni dopo, continua Paolo Broggia, viene pubblicato un
documento di ricerca aerospaziale, proveniente dai militari Usa,
“Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025”.
Letteralmente: il clima come moltiplicatore di forze: possedere il
controllo del clima entro il 2025. «In questo raccapricciante documento –
scrive Broggia su “Megachip”
– viene enunciata la possibilità tecnica di poter controllare
localmente il clima, allo scopo di avere vantaggi sul nemico e renderlo
più vulnerabile, con tanto di tabelle, grafici, metodologie.
Evidentemente – aggiunge l’ingegnere – venivano ritenute molto
significative le esperienze del Vietnam, dove gli Usa sono riusciti a usare con successo la geoingegneria allagando con abbondanti piogge i campi dei Vietcong».
Il resto è cronaca, ormai quasi quotidiana: clima “impazzito”,
alluvioni, “bombe d’acqua”. E’ sempre più frequente, precisa Broggia, la
comparsa di brevetti nel settore, specie «sull’uso dei campi
elettromagnetici per far interagire a comando le particelle rilasciate
dagli aerei, in forma di additivi nei carburanti». Si moltiplicano ormai
le conferenze su “geoengineering” e “climate engineering”, la
geo-ingegneria del clima. Nuove direttrici di ricerca, quindi, che si
sono affacciate nelle comunità scientifiche internazionali,
monopolizzando l’attenzione e apportando nuove risorse economiche. È
inoltre nato l’Ipcc, il panel dell’Onu sui cambiamenti climatici, una
struttura «che potrebbe legittimare l’uso della geoingegneria», ma
ovviamente con le solite cautele verso i mezzi di informazione: «Se si
va a dire a questi scienziati che stanno già facendo la geoingegneria,
essi negano inorriditi». Così, dobbiamo rassegnarci alle “stranezze” del
clima. Per esempio quella «pioggerellina sottile, fina-fina, come
quelle londinesi». Pioggerelline «insolitamente frequenti in Italia», ormai, così come «le piogge torrenziali e le conseguenti alluvioni», con chicchi di grandine «grandi come arance».
Non solo: ultimamente si registra addirittura «la presenza di
formazioni di alghe», praticamente «incredibili da trovare nelle zone di
campagna interne, molto lontane dalle coste». Strano clima, appunto:
con aria «più secca di quella del deserto, come nel 2012 in Italia».
E poi, le strane patologie che colpiscono le piante ornamentali, quelle
d’appartamento: malattie «da attribuire a qualcosa di strano, mai
visto». E il sole, lassù, sempre più pallido. Al punto che «i pannelli
fotovoltaici stanno generando sempre meno elettricità rispetto all’anno
precedente». Se poi si fa un “mineral test”, nelle analisi risultano
«eccessi di alluminio e piombo», come è capitato allo stesso Broggia e
ai suoi vicini di casa. Inutile che ci prendano in giro, conclude
l’ingnegnere: non potranno negare all’infinito. Stanno davvero irrorando
il nostro cielo, sperando di “possedere il clima”. Arma cosmica, sia
per l’economia che per la guerra.
La speranza? «La Natura è grande, in ogni caso. I suoi eterni elementi
riusciranno a raggiungere una coerenza per reagire opportunamente a
questa fonte di inquinamento». La cui esistenza, peraltro, nessun
governo ammette ancora.
http://www.libreidee.org/2014/10/scie-metalli-filamenti-piogge-stanno-irrorando-il-cielo/
1 commento:
Una ottima analisi e per di più condotta da un ingegnere e quindi si tratta di un parere più che autorevole.
Articolo da rilanciare.
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