Una nuova scoperta effettuata presso l’Università del Maryland sembra possa fornire una chiave per rispondere a questa domanda. La Terra è un organismo vivente? Sembra che alcuni scienziati stiano per sbloccare le interazioni tra gli organismi finora nascosti dell’oceano, dell’atmosfera, e la terra – le interazioni che potrebbero fornire elementi di prova a sostegno di questa famosa teoria, appunto che Gaia è un essere vivente.
La ricerca di forme di vita su altri pianeti del sistema solare ha portato a formulare una sorprendente teoria sulla natura del pianeta Terra che mette l’ecologia in primo piano. Jim Lovelock, scienziato inglese, ricercatore alla Nasa, aveva il compito di studiare i processi fisici e chimici in atto nei pianeti del sistema solare, per cercare di individuare possibili segni di vita.
Usando la Terra come punto di riferimento, Lovelock spostò a un certo punto la sua attenzione sull’osservazione proprio della Terra, in cui fenomeni di tipo costante e lineare su Marte e Venere – come la produzione di determinate sostanze in seguito a reazioni chimiche – sulla Terra aveva invece un andamento estremamente anomalo, come se fosse regolato da una specie di centralina interna con il compito di mantenere costanti e uniformi le condizioni di vita.
C’è un delicato rapporto nell’atmosfera – per esempio – tra metano e ossigeno, quando la quantità di metano diminuisce entrano in azione determinati insetti in grado di produrre esattamente quello che manca, quando l’equilibrio è ristabilito, cala la popolazione di questi insetti.
Nasce così Ipotesi Gaia, che su basi prettamente scientifiche, prende in considerazione il fatto che la Terra sia un organismo vivente autoregolantesi.
Nell’ultimo capitolo del libro che spiega la sua teoria, Lovelock si lascia andare a qualche considerazione di tipo filosofico, e suggerisce un’immagine: se il pianeta è un organismo, quale è il ruolo dell’essere umano?
Forse proprio il sistema nervoso, quello che ha il compito di coordinare il corretto funzionamento del tutto. Ipotesi Gaia è così diventata il punto di riferimento di molti ecologisti e di tutti coloro che sentono intimamente di far parte di un insieme ancor più vasto dell’intera umanità, un insieme che comprende anche tutto il pianeta in quello che possiamo considerare come parte integrante di noi stessi.
Un’idea che sta risvegliando le coscienze ad una maggior attenzione e sensibilità noi confronti dell’ambiente di cui siamo parte.
Agli inizi degli anni sessanta il chimico inglese James Lovelock (insieme con la biologa americana Lynn Margulis, nella foto a lato) concepiscono la terra come unico sistema fisiologico e chiamiamo Gaia quest’ipotesi (con una deformazione del termine greco gea=terra).
Un’entità viva
Secondo questa visione gli organismi viventi, il clima, l’ambiente terrestre, sono un tutto integrato, un unico superorganismo in cui l’attività dei viventi modifica gli aspetti fisici e questi a loro volta influiscono sull’evoluzione e sul mantenimento della vita sul pianeta.
Gaia può essere definita come un sistema complesso i cui costituenti sono i viventi e il loro ambiente materiale che comprende l’atmosfera, gli oceani e la superficie delle rocce.
Si tratta di un sistema che si è sviluppato e continua a svilupparsi con un processo evolutivo che coinvolge contemporaneamente i viventi e il loro ambiente. Gli organismi condizionano l’ambiente e questo condiziona le forme della vita. In tale sistema, il clima e la composizione chimica si regolano in maniera automatica (si autoregolano) per mantenersi sempre in uno stato favorevole alla vita; questa autoregolazione si realizza man mano che il sistema si evolve, senza rispondere a nessun progetto preventivo e senza un fine particolare.
Gaia è un superorganismo capace di regolare la non-vita per la vita. Una dimostrazione evidente dell’esistenza di Gaia sarebbe la stessa atmosfera definita “improbabile” da Lovelock.
L’aria che respiriamo è infatti una miscela di gas altamente reattivi. Nella sua composizione è presente l’ossigeno indispensabile alla vita, ma insieme con il metano, che reagisce con l’ossigeno in presenza della luce solare formando anidride carbonica e acqua.
Il tasso di metano può rimanere costante perché questo gas viene reintegrato dagli organismi metanogeni che ne producono circa 500 milioni di t per anno. Se la vita scomparisse improvvisamente dalla Terra, tutti gli elementi chimici che costituiscono la superficie terrestre, gli oceani e l’atmosfera reagirebbero tra loro fino a esaurire ogni reazione possibile. Il pianeta diventerebbe troppo caldo, arido e inadatto alla vita.
Lovelock sostiene che le condizioni fisiche e chimiche della superficie della terra, dell’atmosfera, e degli oceani sono state rese e vengono continuamente rese adatte alla vita grazie alla presenza della vita stessa. Quindi l’atmosfera con la sua attuale composizione può essere considerata un prodotto del metabolismo di Gaia, il risultato di uno scambio attivo di gas con gli organismi viventi.
Anche il suolo ha origine dalla vita. In ogni centimetro cubo di terreno sono presenti miliardi di organismi microscopici: nello strato superficiale del suolo ci sono batteri fotosintetici e azotofissatori, funghi, muffe e una miriade di invertebrati.
Senza vita non vi sarebbe il suolo come lo conosciamo, ma solo inerti corpi rocciosi. Secondo l’ipotesi Gaia le grandi strutture della crosta terrestre non sarebbero soltanto il risultato dei processi endogeni e di quelli meccanici ma anche di quelli biologici.
Da quando si è formata, la crosta solida viene continuamente rimodellata dall’azione dell’aria e dell’acqua che si realizza attraverso l’erosione, la sedimentazione e la formazione di suoli e ghiacci. E questa azione è influenzata dagli organismi viventi che per vivere inducono modificazioni nella composizione e nelle caratteristiche termodinamiche dell’atmosfera e degli oceani.
Inoltre gli organismi hanno anche un ruolo diretto in questi fenomeni geologici esogeni. Per Lovelock e Margulis tutta la materia vivente sulla Terra, dai virus alle balene e alle sequioe, deve essere considerata come una singola entità vivente capace di mantenere l’atmosfera terrestre nelle condizioni più adatte alle sue necessità.
Tutto ciò contrasta con la visione convenzionale che ipotizza che la vita si sia adattata alle condizioni del pianeta e che la vita ha potuto manifestarsi sulla Terra e non altrove nel sistema solare perché solo sulla Terra esistevano le condizioni adatte.
earth-change
Per spiegare Gaia il fisico americano Jerome Rothstein è ricorso ad una analogia con la sequoia gigante (Sequoia gigantea).
Questi alberi, diffusi lungo la costa occidentale dell’America del Nord, sono gli organismi più grandi e longevi attualmente esistenti: superano spesso i mille anni di età, sono alti100 m e pesano più di 2000 t. Circa il 97% del loro corpo è però costituito da sostanza non vivente, nel senso che è già morta, come il legno del tronco e la corteccia.
Le sole parti di una sequoia formate da cellule vive sono il cambio, un sottile strato anulare che avvolge il legno e si trova sotto la corteccia, le foglie, i fiori e i semi.
Come una sequoia anche Gaia, cioè la Terra, è costituita da una grande massa di materia morta con un sottile strato di organismi viventi racchiusi entro un involucro d’aria.
Nelle loro opere Lovelock e Margulis dedicano una particolare attenzione alla tendenza dell’uomo a degradare l’ambiente per soddisfare le proprie esigenze. Gaia reagisce alle modificazioni indotte dall’azione dell’uomo, ma le sue risposte obbediscono alle leggi della cibernetica e i tempi di risposta sono quelli dei sistemi di retroazione, cioè estremamente lunghi.
Una simile lentezza non ci permette di comprendere abbastanza in fretta se le cose tendono al peggio. Prima che possiamo rendercene conto, la situazione ambientale può peggiorare in modo pericoloso e, a causa di questa lentezza (inerzia) nelle risposte che caratterizza il sistema, non possiamo fare nulla per rimediare efficacemente in tempi brevi.
Dopo un periodo di indifferenza, a partire dagli anni Ottanta, l’ipotesi di Gaia ha cominciato ad alimentare un articolato dibattito tra gli scienziati, mentre i suoi propugnatori continuano a produrre prove a sostegno della loro teoria. In ogni caso la teoria di Lovelock e Margulis ha il merito di aver sollevato una importante questione fino ad oggi trascurata dagli studi ecologici: il ruolo svolto degli esseri viventi nella regolazione del loro ambiente.
Daisylandia Daisylandia è un ipotetico pianeta, immaginato da Lovelock, con le stesse dimensioni della Terra e orbitante intorno ad una stella che si trova alla stessa distanza che separa il sole dalla terra. Questo pianeta è popolato esclusivamente da tre tipi di margherite: nere, bianche e grigie.
Come il nostro Sole, la stella che riscalda e illumina Daisylandia ha aumentato progressivamente nel corso del tempo la sua luminosità, irradiando sempre più calore. Tuttavia la temperatura della superficie del pianeta si è mantenuta costante per gran parte della sua storia.
E questo grazie all’influenza della biosfera di Daisylandia costituita, come abbiamo detto, dai tre tipi di margherite. Le margherite influenzano la temperatura della superficie semplicemente attraverso il loro potere riflettente (albedo): le margherite nere assorbono la maggior parte delle radiazioni che le colpiscono, le margherite bianche riflettono la maggior parte delle radiazioni e quelle grigie assorbono e riflettono le radiazioni in misura uguale.
Ma come può il potere riflettente delle margherite influenzare la temperatura globale? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare molto indietro nel tempo a quando il sole di Daisylandia era ancora giovane e quindi relativamente freddo.
Allora le margherite nere erano la specie più adatta, perché piccoli gruppi di queste, assorbendo il calore, creavano delle zone più tiepide che favorivano la crescita di altre margherite.
Gradualmente il pianeta si coprì di margherite nere e il loro effetto collettivo fu quello di far aumentare la temperatura globale facendola arrivare a valori superiori a quelli che sarebbero stati raggiunti in assenza di vita.
Una volta che le margherite nere ebbero realizzato condizioni di vita confortevoli, cominciarono a trarne vantaggio anche le grigie e le bianche. Inizialmente le margherite grigie si trovarono più a loro agio delle bianche perché anche in piccoli gruppi riuscivano a creare condizioni locali di temperatura sufficientemente utili alla loro sopravvivenza. Intanto la radiazione solare riscaldava soprattutto le zone della superficie non coperte dalle margherite nere e grigie.
A questo punto le margherite bianche cominciarono ad essere la specie più adatta perché piccoli gruppi di esse creavano zone più fredde che favorivano la crescita delle stesse margherite. Aumentando di numero si diffusero in tutto il pianeta producendo l’ effetto di abbassare la temperatura globale fino a farle raggiungere valori inferiori a quelli che si sarebbero avuti in assenza di ogni forma di vita. Infine il calore prodotto dal sole, intanto cresciuto, divenne così intenso che nessuna specie di margherita fu più in grado di moderare la temperatura e tutte le specie scomparvero dal pianeta.
Daisylandia è un modello che mostra in che modo uno stato omeostatico può essere mantenuto da organismi che agiscono soltanto nel loro proprio interesse costringendo il sistema globale a mantenersi entro un arco di temperature ragionevoli.
La crescita competitiva dei tre tipi di margherite innesca un feedback negativo: in prossimità del limite inferiore di tolleranza la temperatura della superficie del pianeta è resa più alta di quanto sarebbe in assenza di fiori, mentre viene abbassata quando il riscaldamento è maggiore.
In questo modo si protrae nel tempo il raggiungimento del limite oltre il quale non è possibile la vita.” E infine un articolo tratto dal sito Progetto Gaia L’ipotesi Gaia, di James Lovelock e Lynn Margulis James Lovelock, uno scrittore free-lance, esperto di chimica dell’atmosfera, vede la vita rappresentata da un sistema ambientale che si autosostenga e che egli chiama Gaia.
Gaia, nome dato dal romanziere William Golding (su richiesta di Lovelock) e derivato dall’antica dea greca della terra, opera in modi misteriosi.
Sistema superorganismico, che comprende tutti i viventi della Terra, esso conserva ipoteticamente la composizione dell’aria e la temperatura sulla superficie del pianeta, regolando le condizioni per la continuazione della vita.
Mentre l’intricato intreccio delle relazioni biologiche mediante le quali la vita fa questo non è ancora ben conosciuto il fatto che il bioma terrestre controlli porzioni della superficie del pianeta è un fatto altrettanto ben stabilito di quello per cui il nostro corpo si mantiene a una temperatura costante. Gaia, così.
Può impedire che l’azoto e l’ossigeno atmosferici, così importanti per la vita, degenerino in nitrati e ossidi di azoto, in sali e gas esilarante che potrebbero bloccare l’intero sistema. Se non vi fosse una costante produzione a livello mondiale di nuovo ossigeno da parte degli organismi fotosintetizzanti, se non vi fosse liberazione di azoto gassoso da parte dei batteri che utilizzano per la respirazione nitrati e ammoniaca, si svilupperebbe rapidamente intorno alla Terra un’atmosfera inerte o addirittura velenosa.
Sotto l’influenza reattiva di una grande quantità di fulmini che fanno sfavillare a ogni minuto l’atmosfera terrestre, la terra non sarebbe più ospitale per la vita di quanto lo è l’acida Venere. Sulla Terra l’ambiente è stato prodotto e controllato dalla vita proprio come la vita è stata prodotta e influenzata dall’ambiente. La cosa sorprendente riguardo al nostro pianeta azzurro, chiazzato di bianco, è che la peculiarità della vita, con la sua incredibile diversità e caratteristica unità biochimica, continua.
Essendo noi obbligati a comunicare gli uni con gli altri in una lingua tradizionale, è difficile afferrare la definizione della vita come sistema autopoietico che si riproduce. Eppure, secondo quanto sostiene Lovelock nella sua ipotesi, che egli ha chiamato ipotesi Gaia, lo stesso bioma terrestre ivi incluso l’ Homo sapiens, è autopoietico: riconosce, regola, e crea le condizioni necessarie per la propria ininterrotta sopravvivenza.
I reperti fossili appoggiano l’idea che la superficie terrestre sia stata soggetta senza interruzione a una regolamentazione fin dalla primissima comparsa e diffusione della vita microbiotica.
L’ipotesi Gaia, secondo cui la temperatura e la composizione dell’atmosfera terrestre in gas reattivi sarebbero regolate attivamente dall’insieme di flora e fauna venne messa a punto da Lovelock mentre stava lavorando per la NASA sui modi di scoprire la vita su Marte.
La crescita competitiva dei tre tipi di margherite innesca un feedback negativo: in prossimità del limite inferiore di tolleranza la temperatura della superficie del pianeta è resa più alta di quanto sarebbe in assenza di fiori, mentre viene abbassata quando il riscaldamento è maggiore.
In questo modo si protrae nel tempo il raggiungimento del limite oltre il quale non è possibile la vita.” E infine un articolo tratto dal sito Progetto Gaia L’ipotesi Gaia, di James Lovelock e Lynn Margulis James Lovelock, uno scrittore free-lance, esperto di chimica dell’atmosfera, vede la vita rappresentata da un sistema ambientale che si autosostenga e che egli chiama Gaia.
Gaia, nome dato dal romanziere William Golding (su richiesta di Lovelock) e derivato dall’antica dea greca della terra, opera in modi misteriosi.
Sistema superorganismico, che comprende tutti i viventi della Terra, esso conserva ipoteticamente la composizione dell’aria e la temperatura sulla superficie del pianeta, regolando le condizioni per la continuazione della vita.
Mentre l’intricato intreccio delle relazioni biologiche mediante le quali la vita fa questo non è ancora ben conosciuto il fatto che il bioma terrestre controlli porzioni della superficie del pianeta è un fatto altrettanto ben stabilito di quello per cui il nostro corpo si mantiene a una temperatura costante. Gaia, così.
Può impedire che l’azoto e l’ossigeno atmosferici, così importanti per la vita, degenerino in nitrati e ossidi di azoto, in sali e gas esilarante che potrebbero bloccare l’intero sistema. Se non vi fosse una costante produzione a livello mondiale di nuovo ossigeno da parte degli organismi fotosintetizzanti, se non vi fosse liberazione di azoto gassoso da parte dei batteri che utilizzano per la respirazione nitrati e ammoniaca, si svilupperebbe rapidamente intorno alla Terra un’atmosfera inerte o addirittura velenosa.
Sotto l’influenza reattiva di una grande quantità di fulmini che fanno sfavillare a ogni minuto l’atmosfera terrestre, la terra non sarebbe più ospitale per la vita di quanto lo è l’acida Venere. Sulla Terra l’ambiente è stato prodotto e controllato dalla vita proprio come la vita è stata prodotta e influenzata dall’ambiente. La cosa sorprendente riguardo al nostro pianeta azzurro, chiazzato di bianco, è che la peculiarità della vita, con la sua incredibile diversità e caratteristica unità biochimica, continua.
Essendo noi obbligati a comunicare gli uni con gli altri in una lingua tradizionale, è difficile afferrare la definizione della vita come sistema autopoietico che si riproduce. Eppure, secondo quanto sostiene Lovelock nella sua ipotesi, che egli ha chiamato ipotesi Gaia, lo stesso bioma terrestre ivi incluso l’ Homo sapiens, è autopoietico: riconosce, regola, e crea le condizioni necessarie per la propria ininterrotta sopravvivenza.
I reperti fossili appoggiano l’idea che la superficie terrestre sia stata soggetta senza interruzione a una regolamentazione fin dalla primissima comparsa e diffusione della vita microbiotica.
L’ipotesi Gaia, secondo cui la temperatura e la composizione dell’atmosfera terrestre in gas reattivi sarebbero regolate attivamente dall’insieme di flora e fauna venne messa a punto da Lovelock mentre stava lavorando per la NASA sui modi di scoprire la vita su Marte.
Lovelock trovò che, nella nostra atmosfera, coesistono gas che, quando vengono saggiati in sistemi chimici semplice, reagiscono prontamente, facilmente e completamente, per dare origine a composti stabili. Sembra però che questi gas rimangano separati, in apparente inosservanza delle leggi che regolano l’equilibrio chimico standard.
Lovelock trovò la chimica dell’atmosfera terrestre così persistentemente bizzarra da poterla attribuire soltanto alle proprietà collettive degli organismi, in particolare al bioma terrestre. In effetti, questo, in particolare il bioma di dimensioni microscopiche, produce costantemente enormi quantità di gas reattivi.
Ricercando questi improbabili miscugli di gas nelle atmosfere di altri pianeti con spettroscopi montati su telescopi, Lovelock pensava di poter scoprire senza lasciare la Terra biosfere estranee. Rivolgendo la propria attenzione a Marte, egli trovò che questo pianeta era in un equilibrio assolutamente comprensibile sulla base soltanto della chimica e della fisica.
Postulò l’assenza della vita su di esso rilevando l’assenza del fenomeno Gaia.
Ma, nel 1975, la NASA, pronta per l’atterraggio sul pianeta rosso, non volle pubblicizzare la semplice soluzione che egli proponeva per l’annoso problema della vita su Marte. Nulla, tuttavia, andò perduto. La missione Viking ebbe inizio nel 1975 e, nel 1976, due satelliti da atterraggio e due in orbita giunsero su Marte.
Gli esperimenti biologici, effettuati a bordo e in seguito a atterraggio morbido sulla superficie del pianeta, ebbero un successo spettacolare, dimostrando in modo definitivo che non vi era alcun segno di vita sul pianeta rosso.
Il lavoro di Lovelock fornì una base per capire i risultati. Inoltre, l’analisi da lui condotta diede alla biosfera una nuova veste. Il mistero della vita sulla Terra era altrettanto grande di quanto questo stesso mistero lo fosse altrove, nell’universo. Perché la Terra ha un’atmosfera così diversa da quella che si può prevedere su semplice base chimica? Dato che l’ossigeno costituisce il 20% dell’atmosfera, gli squilibri relativi creati, tra gli altri gas, nel metano, nell’ammoniaca, nei gas sulfurei, nel cloruro di metile sono enormi.
Lovelock trovò la chimica dell’atmosfera terrestre così persistentemente bizzarra da poterla attribuire soltanto alle proprietà collettive degli organismi, in particolare al bioma terrestre. In effetti, questo, in particolare il bioma di dimensioni microscopiche, produce costantemente enormi quantità di gas reattivi.
Ricercando questi improbabili miscugli di gas nelle atmosfere di altri pianeti con spettroscopi montati su telescopi, Lovelock pensava di poter scoprire senza lasciare la Terra biosfere estranee. Rivolgendo la propria attenzione a Marte, egli trovò che questo pianeta era in un equilibrio assolutamente comprensibile sulla base soltanto della chimica e della fisica.
Postulò l’assenza della vita su di esso rilevando l’assenza del fenomeno Gaia.
Ma, nel 1975, la NASA, pronta per l’atterraggio sul pianeta rosso, non volle pubblicizzare la semplice soluzione che egli proponeva per l’annoso problema della vita su Marte. Nulla, tuttavia, andò perduto. La missione Viking ebbe inizio nel 1975 e, nel 1976, due satelliti da atterraggio e due in orbita giunsero su Marte.
Gli esperimenti biologici, effettuati a bordo e in seguito a atterraggio morbido sulla superficie del pianeta, ebbero un successo spettacolare, dimostrando in modo definitivo che non vi era alcun segno di vita sul pianeta rosso.
Il lavoro di Lovelock fornì una base per capire i risultati. Inoltre, l’analisi da lui condotta diede alla biosfera una nuova veste. Il mistero della vita sulla Terra era altrettanto grande di quanto questo stesso mistero lo fosse altrove, nell’universo. Perché la Terra ha un’atmosfera così diversa da quella che si può prevedere su semplice base chimica? Dato che l’ossigeno costituisce il 20% dell’atmosfera, gli squilibri relativi creati, tra gli altri gas, nel metano, nell’ammoniaca, nei gas sulfurei, nel cloruro di metile sono enormi.
In base ai calcoli chimici, le quantità di questi gas, che reagiscono così facilmente con l’ossigeno, dovrebbero essere così minime da non potersi riconoscere. Invece esse sono presenti e continuano a esserlo ogniqualvolta le si cerchi. In effetti, vi è una quantità di metano, nell’atmosfera terrestre, che è superiore di 1035 volte (dieci alla trentacinquesima potenza, o uno seguito da trentacinque zeri) alla quantità che dovrebbe esserci, considerando la quantità di ossigeno disponibile per reagire con essa.
Altri gas, come l’azoto, il monossido di carbonio e l’ossido nitroso sono solo più abbondanti di 10 miliardi, 10 e 10000 miliardi di volte, rispetto a quello che dovrebbero essere sulla base della chimica soltanto. Un ulteriore enigma riguarda la temperatura della Terra.
Sembra che le leggi della fisica rendano inevitabile il fatto che la luminosità totale del Sole, cioè il suo output di energia come luce, sia aumentata negli ultimi 4 miliardi di anni, forse anche del 50%. Eppure, da prove ricavate dai reperti fossili indicano che la temperatura terrestre è rimasta relativamente stabile, oscillando il valor medio attorno a 22° C circa, pressappoco la temperatura ambiente, malgrado le temperature molto basse che ci si aspetta da uno sparuto Sole primitivo.
È risultato, dunque, che la vita non solo regolava su scala mondiale la composizione dei gas, ma teneva, a quanto pare, sotto una specie di controllo continuo anche la stessa temperatura del pianeta. Che cos’era questo grande termostato nascosto?
Respingendo le soluzioni mistiche, Lovelock teorizzò che il bioma terrestre, specialmente il microcosmo batterico, doveva aver regolato il proprio ambiente su scala globale fin dalla sua primissima comparsa sul pianeta.
Le forme di vita reagiscono alle crisi geologiche e cosmiche che provocano perturbazioni; resistono quanto più a lungo possibile agli attacchi che vengono portati alla loro integrità individuale; e queste azioni individuali portano a una conservazione generale delle condizioni favorevoli alla sopravvivenza collettiva. (Ciò non significa che non vi furono mai fluttuazioni: esse ci furono.
Per esempio, a giudicare dalla grande estensione dei fossili delle foreste tropicali del Cretaceo, il pianeta doveva essere ben più caldo all’epoca dei dinosauri. Sia prima sia dopo buona parte della sua superficie fu coperta da ampie distese di ghiaccio.
Ma sia tra l’una e l’altra di queste fluttuazioni sia dopo di esse la Terra si stabilizzò, non arroventandosi come Venere, né congelando come Marte. Se il bioma terrestre non avesse risposto alle principali perturbazioni esterne come l’aumento della luminosità solare o gli impatti meteoritici, tanto devastanti quanto lo sono oggi le bombe nucleari, non saremmo qui ora.
La vita, concludeva Lovelock, non è circondata da un ambiente essenzialmente passivo a cui essa si è adattata. Al contrario, essa fa e rifà il proprio ambiente. L’atmosfera, come un alveare o un nido di uccello, è parte della biosfera.
Altri gas, come l’azoto, il monossido di carbonio e l’ossido nitroso sono solo più abbondanti di 10 miliardi, 10 e 10000 miliardi di volte, rispetto a quello che dovrebbero essere sulla base della chimica soltanto. Un ulteriore enigma riguarda la temperatura della Terra.
Sembra che le leggi della fisica rendano inevitabile il fatto che la luminosità totale del Sole, cioè il suo output di energia come luce, sia aumentata negli ultimi 4 miliardi di anni, forse anche del 50%. Eppure, da prove ricavate dai reperti fossili indicano che la temperatura terrestre è rimasta relativamente stabile, oscillando il valor medio attorno a 22° C circa, pressappoco la temperatura ambiente, malgrado le temperature molto basse che ci si aspetta da uno sparuto Sole primitivo.
È risultato, dunque, che la vita non solo regolava su scala mondiale la composizione dei gas, ma teneva, a quanto pare, sotto una specie di controllo continuo anche la stessa temperatura del pianeta. Che cos’era questo grande termostato nascosto?
Respingendo le soluzioni mistiche, Lovelock teorizzò che il bioma terrestre, specialmente il microcosmo batterico, doveva aver regolato il proprio ambiente su scala globale fin dalla sua primissima comparsa sul pianeta.
Le forme di vita reagiscono alle crisi geologiche e cosmiche che provocano perturbazioni; resistono quanto più a lungo possibile agli attacchi che vengono portati alla loro integrità individuale; e queste azioni individuali portano a una conservazione generale delle condizioni favorevoli alla sopravvivenza collettiva. (Ciò non significa che non vi furono mai fluttuazioni: esse ci furono.
Per esempio, a giudicare dalla grande estensione dei fossili delle foreste tropicali del Cretaceo, il pianeta doveva essere ben più caldo all’epoca dei dinosauri. Sia prima sia dopo buona parte della sua superficie fu coperta da ampie distese di ghiaccio.
Ma sia tra l’una e l’altra di queste fluttuazioni sia dopo di esse la Terra si stabilizzò, non arroventandosi come Venere, né congelando come Marte. Se il bioma terrestre non avesse risposto alle principali perturbazioni esterne come l’aumento della luminosità solare o gli impatti meteoritici, tanto devastanti quanto lo sono oggi le bombe nucleari, non saremmo qui ora.
La vita, concludeva Lovelock, non è circondata da un ambiente essenzialmente passivo a cui essa si è adattata. Al contrario, essa fa e rifà il proprio ambiente. L’atmosfera, come un alveare o un nido di uccello, è parte della biosfera.
Poiché l’anidride carbonica viene trasformata nelle cellule e può essere anche utilizzata per controllare la temperatura dell’atmosfera, è probabile che un modo in cui la vita regoli la temperatura del pianeta sia modulando il livello atmosferico di anidride carbonica.
Alcuni scienziati contestano l’analisi di Lovelock. L’idea della vita sulla terra come superorganismo che risponde alle minacce a agli insulti ambientali per assicurarsi la sopravvivenza non concorda con le idee ormai accettate dell’evoluzione darwiniana, la quale dipende dalla competizione di organismi in lotta.
Ammettendo che Lovelock abbia ragione, come fa la massa di geni in lotta all’interno delle cellule di organismi localizzati sulla superficie terrestre a sapere che deve affrontare delle crisi? W. Ford Doolittle, l’esperto di biologia molecolare che ha effettuato una ricerca, germe di ulteriori sviluppi, sulla biologia molecolare dei plastidi, protestò contro questa nozione di natura, come egli la definiva, “materna”.
Richard Dawkins, zoologo dell’Università di Oxford, paragonò l’ipotesi Gaia al programma “BBC theorem”, con un riferimento spregiativo alla nozione della natura come equilibrio e armonia meravigliosi, data dai documentari televisivi.
Dawkins non poteva concepire l’evoluzione dei meccanismi di Gaia, di controllo a livello mondiale, senza un universo “pieno di pianeti morti, i cui sistemi di regolazione omeostatica erano venuti meno, e con una manciata di pianeti ben regolati, ben riusciti, sparsi tutt’attorno e di cui uno era la Terra.” Per rispondere a queste critiche, Lovelock progettò alcuni modelli matematici.
Quello più spettacolare, il Daisy World (il mondo delle margherite), considera un pianeta mitico che può essere ricoperto soltanto da margherite nere e bianche e da una occasionale mucca che mastica rumorosamente margherite.
Le margherite rappresentano due specie, che crescono entrambe a chiazze e ricoprono fino al 70% del pianeta entro intervalli specifici di temperatura. Entrambe non crescono affatto dove fa molto freddo, crescono lentamente al freddo, più rapidamente al caldo e non crescono affatto, anzi muoiono, alle temperature opprimenti al di spora dei 45°C. Lovelock, che in seguito cominciò a lavorare con Andrew Watson alla Marine Biological Association di Plymouth, in Inghilterra, trovò che le margherite bianche e nere potevano funzionare come un gigantesco termostato, rendendo stabile la temperatura di un intero pianeta semplicemente crescendo.
Il fenomeno non è misterioso, ma sinergico: è il risultato inatteso di un sistema complesso. Si può immaginare come operi Daisy World. Si prenda un pianeta di margherite nere e bianche, che ruoti attorno a una stella, il Sole, la quale rallenta ma diventa costantemente più brillante. All’inizio, essendo il Sole freddo, non cresceranno molte margherite.
A mano a mano che esso diventerà più caldo, chiazze di margherite di entrambi i colori spunteranno e cresceranno rigogliosamente. Ma, quando le margherite nere fioriranno e produrranno un maggior numero di discendenti, perché sono scure e assorbono una la luce del Sole, impediranno a questa luce di essere riflessa nello spazio.
La crescita di macchie di margherite nere, che assorbono calore, ha l’effetto di riscaldare un pianeta che, altrimenti, sarebbe freddo.
Ma ben presto l’ambiente circostante raggiunge un calore opprimente e comincia a limitare la crescita delle margherite nere nelle immediate vicinanze. L’aumento delle temperature locali porta a un aumento globale della temperatura più forte del previsto, in un mondo senza margherite. Cominciano allora a crescere chiazze di margherite bianche.
Ciò porta a un aumento della riflettività planetaria, o albedo, dato che la superficie bianca dei petali delle margherite riflette la luce nello spazio, con la conseguenza di un ritorno su tutto il pianeta a temperature più fredde.
Le margherite nere ricominciano a spuntare. Ma il Sole, nel frattempo, continua a diventare più caldo e le margherite bianche, riflettendo il calore, continuano a fiorire e a raffreddare il pianeta. In breve, il Sole diventa più caldo, si formano chiazze sempre più estese di margherite bianche, Daisy World diventa più freddo, il che porta a una nuova crescita di chiazze di margherite nere, le quali di nuovo si surriscaldano, creando ancora una voltale condizioni più favorevoli alle margherite bianche.
Ciò raffredda nuovamente Daisy World incrementandone l’albedo, e così via fino a che il Sole diventa una gigante rossa e brucia tutte le margherite. Ma, entro certi limiti di temperature, le margherite funzionano molto semplicemente da termostato, mantenendo il mondo vivibile, malgrado un aumento potenzialmente letale della quantità di energia solare che raggiunge il pianta.
I fiori regolano silenziosamente la temperatura del pianeta fino a un grado notevole, entro quello stretto intervallo che è necessario alla loro sopravvivenza quando il Sole si riscalda inesorabilmente. In modelli più simili al mondo reale sono la crescita, il metabolismo e le proprietà che riguardano gli scambi di gas nei microbi, più che le margherite, a formare i complessi sistemi di retroazione fisici e chimici che modulano la biosfera in cui viviamo.
Gli organismi viventi, attraverso il loro effetto sull’acqua e sulle nubi, hanno una immensa influenza modulatrice sulla Terra. Tanto per fare un esempio, minuscole alghe che galleggiano sul mare possono ipoteticamente fare entrare il mondo in un’epoca glaciale semplicemente crescendo più rapidamente alle latitudini settentrionali.
Nel produrre i guscetti di carbonato di calcio, morendo e inabiassandosi sul fondo dei mari, rimuovono il carbonio necessario per produrre anidride carbonica; poiché l’anidride carbonica è un gas da “effetto serra”, che agisce come manto invisibile che fa entrare la luce e la trattiene sotto forma di calore, una minore quantità di anidride carbonica nell’atmosfera si traduce in un abbassamento delle temperature.
Ma, con temperature più basse, le alghe crescono meno, meno anidride carbonica viene rimossa nell’aria per produrre guscetti e il pianeta diventa tropicale. I circuiti di retroazione sono, perciò, così strettamente collegati che una moria massiccia di alghe marine, accoppiate all’erosione di rocce carbonatiche da parte dell’acqua, processo che libera anidride carbonica nell’atmosfera, può anche provocare un aumento termico dell’atmosfera.
In effetti, nel 1979 e 1980, i ricercatori europei hanno analizzato dell’aria “fossile”, rimasta intrappolata nei ghiacci polari e hanno trovato che circa 20000 anni or sono, al culmine dell’ultima glaciazione, l’anidride carbonica aveva una concentrazione pari sola a due terzi di quella che si sarebbe avuta all’inizio della rivoluzione industriale.
Immediatamente prima che gli esseri umani diventassero agricoltori e costituissero le prime civiltà, l’anidride carbonica raggiunse il livello preindustriale. L’aumento di anidride carbonica e della temperatura 12000 anni or sono ebbe luogo in meno di 100 anni e non può essere interamente spiegato da processi tradizionali geofisici o geochimici, come l’attività tettonica o il corrugamento.
Una fluttuazione così improvvisa poteva provenire solamente dalla vita. Lovelock ritiene che l’improvvisa moria di una percentuale sostanziale di alghe marine causò probabilmente questo rapido aumento della temperatura mondiale, una trasformazione ambientale che alla fine permise agli esseri umani di uscire dalle caverne e di popolare la Terra.
Alcuni scienziati contestano l’analisi di Lovelock. L’idea della vita sulla terra come superorganismo che risponde alle minacce a agli insulti ambientali per assicurarsi la sopravvivenza non concorda con le idee ormai accettate dell’evoluzione darwiniana, la quale dipende dalla competizione di organismi in lotta.
Ammettendo che Lovelock abbia ragione, come fa la massa di geni in lotta all’interno delle cellule di organismi localizzati sulla superficie terrestre a sapere che deve affrontare delle crisi? W. Ford Doolittle, l’esperto di biologia molecolare che ha effettuato una ricerca, germe di ulteriori sviluppi, sulla biologia molecolare dei plastidi, protestò contro questa nozione di natura, come egli la definiva, “materna”.
Richard Dawkins, zoologo dell’Università di Oxford, paragonò l’ipotesi Gaia al programma “BBC theorem”, con un riferimento spregiativo alla nozione della natura come equilibrio e armonia meravigliosi, data dai documentari televisivi.
Dawkins non poteva concepire l’evoluzione dei meccanismi di Gaia, di controllo a livello mondiale, senza un universo “pieno di pianeti morti, i cui sistemi di regolazione omeostatica erano venuti meno, e con una manciata di pianeti ben regolati, ben riusciti, sparsi tutt’attorno e di cui uno era la Terra.” Per rispondere a queste critiche, Lovelock progettò alcuni modelli matematici.
Quello più spettacolare, il Daisy World (il mondo delle margherite), considera un pianeta mitico che può essere ricoperto soltanto da margherite nere e bianche e da una occasionale mucca che mastica rumorosamente margherite.
Le margherite rappresentano due specie, che crescono entrambe a chiazze e ricoprono fino al 70% del pianeta entro intervalli specifici di temperatura. Entrambe non crescono affatto dove fa molto freddo, crescono lentamente al freddo, più rapidamente al caldo e non crescono affatto, anzi muoiono, alle temperature opprimenti al di spora dei 45°C. Lovelock, che in seguito cominciò a lavorare con Andrew Watson alla Marine Biological Association di Plymouth, in Inghilterra, trovò che le margherite bianche e nere potevano funzionare come un gigantesco termostato, rendendo stabile la temperatura di un intero pianeta semplicemente crescendo.
Il fenomeno non è misterioso, ma sinergico: è il risultato inatteso di un sistema complesso. Si può immaginare come operi Daisy World. Si prenda un pianeta di margherite nere e bianche, che ruoti attorno a una stella, il Sole, la quale rallenta ma diventa costantemente più brillante. All’inizio, essendo il Sole freddo, non cresceranno molte margherite.
A mano a mano che esso diventerà più caldo, chiazze di margherite di entrambi i colori spunteranno e cresceranno rigogliosamente. Ma, quando le margherite nere fioriranno e produrranno un maggior numero di discendenti, perché sono scure e assorbono una la luce del Sole, impediranno a questa luce di essere riflessa nello spazio.
La crescita di macchie di margherite nere, che assorbono calore, ha l’effetto di riscaldare un pianeta che, altrimenti, sarebbe freddo.
Ma ben presto l’ambiente circostante raggiunge un calore opprimente e comincia a limitare la crescita delle margherite nere nelle immediate vicinanze. L’aumento delle temperature locali porta a un aumento globale della temperatura più forte del previsto, in un mondo senza margherite. Cominciano allora a crescere chiazze di margherite bianche.
Ciò porta a un aumento della riflettività planetaria, o albedo, dato che la superficie bianca dei petali delle margherite riflette la luce nello spazio, con la conseguenza di un ritorno su tutto il pianeta a temperature più fredde.
Le margherite nere ricominciano a spuntare. Ma il Sole, nel frattempo, continua a diventare più caldo e le margherite bianche, riflettendo il calore, continuano a fiorire e a raffreddare il pianeta. In breve, il Sole diventa più caldo, si formano chiazze sempre più estese di margherite bianche, Daisy World diventa più freddo, il che porta a una nuova crescita di chiazze di margherite nere, le quali di nuovo si surriscaldano, creando ancora una voltale condizioni più favorevoli alle margherite bianche.
Ciò raffredda nuovamente Daisy World incrementandone l’albedo, e così via fino a che il Sole diventa una gigante rossa e brucia tutte le margherite. Ma, entro certi limiti di temperature, le margherite funzionano molto semplicemente da termostato, mantenendo il mondo vivibile, malgrado un aumento potenzialmente letale della quantità di energia solare che raggiunge il pianta.
I fiori regolano silenziosamente la temperatura del pianeta fino a un grado notevole, entro quello stretto intervallo che è necessario alla loro sopravvivenza quando il Sole si riscalda inesorabilmente. In modelli più simili al mondo reale sono la crescita, il metabolismo e le proprietà che riguardano gli scambi di gas nei microbi, più che le margherite, a formare i complessi sistemi di retroazione fisici e chimici che modulano la biosfera in cui viviamo.
Gli organismi viventi, attraverso il loro effetto sull’acqua e sulle nubi, hanno una immensa influenza modulatrice sulla Terra. Tanto per fare un esempio, minuscole alghe che galleggiano sul mare possono ipoteticamente fare entrare il mondo in un’epoca glaciale semplicemente crescendo più rapidamente alle latitudini settentrionali.
Nel produrre i guscetti di carbonato di calcio, morendo e inabiassandosi sul fondo dei mari, rimuovono il carbonio necessario per produrre anidride carbonica; poiché l’anidride carbonica è un gas da “effetto serra”, che agisce come manto invisibile che fa entrare la luce e la trattiene sotto forma di calore, una minore quantità di anidride carbonica nell’atmosfera si traduce in un abbassamento delle temperature.
Ma, con temperature più basse, le alghe crescono meno, meno anidride carbonica viene rimossa nell’aria per produrre guscetti e il pianeta diventa tropicale. I circuiti di retroazione sono, perciò, così strettamente collegati che una moria massiccia di alghe marine, accoppiate all’erosione di rocce carbonatiche da parte dell’acqua, processo che libera anidride carbonica nell’atmosfera, può anche provocare un aumento termico dell’atmosfera.
In effetti, nel 1979 e 1980, i ricercatori europei hanno analizzato dell’aria “fossile”, rimasta intrappolata nei ghiacci polari e hanno trovato che circa 20000 anni or sono, al culmine dell’ultima glaciazione, l’anidride carbonica aveva una concentrazione pari sola a due terzi di quella che si sarebbe avuta all’inizio della rivoluzione industriale.
Immediatamente prima che gli esseri umani diventassero agricoltori e costituissero le prime civiltà, l’anidride carbonica raggiunse il livello preindustriale. L’aumento di anidride carbonica e della temperatura 12000 anni or sono ebbe luogo in meno di 100 anni e non può essere interamente spiegato da processi tradizionali geofisici o geochimici, come l’attività tettonica o il corrugamento.
Una fluttuazione così improvvisa poteva provenire solamente dalla vita. Lovelock ritiene che l’improvvisa moria di una percentuale sostanziale di alghe marine causò probabilmente questo rapido aumento della temperatura mondiale, una trasformazione ambientale che alla fine permise agli esseri umani di uscire dalle caverne e di popolare la Terra.
Col tempo, il bioma terrestre edificò elaborati sistemi di controllo di cui solo ora stiamo diventando vagamente consapevoli. La moltitudine dei sistemi sensoriali negli organismi viventi, la capacità di questi di avere un metabolismo e una crescita esponenziale e la straordinaria diversità dei viventi che interagiscono sulla Terra sono sufficienti a spiegare, in teoria, la modulazione ambientale su scala globale.
Ma questo genere di modulazione ambientale opera anche su una scala più piccola. Anche sulla scala di gran lunga più piccola dei singoli animali, la regolazione della temperatura comporta più di un semplice singolo sistema di retroazione.
Realizziamo un esperimento mentale in cui una persona (un insieme di cellule, come il bioma terrestre) deve affrontare un netto calo della temperatura ambientale. Il suo primo tipo di risposta sarebbe la tattica evolutasi più di recente: una risposta da alta tecnologia, che consisterebbe nel girare il termostato, nell’inserire il radiatore elettrico, o addirittura nel pagare per il servizio di teleriscaldamento attraverso un modem del proprio computer domestico.
Benché queste modalità diventeranno forme sempre più comuni di regolazione della temperatura, esse sono così recenti da essere ancora estremamente incerte tra i vari sistemi di retroazione. A un livello più basso, vi sono invece le risposte da “bassa tecnologia” ai rischi delle basse temperature: avvolgersi in coperte e vestirsi con abiti più pesanti.
Questo tipo di tecnologia, ereditata dall’abitudine di prendere in trappola gli animali di climi freddi o cacciarli, utilizzando poi le loro pelli e pellicce folte per proteggersi, è antica di circa 100000 anni. Il cucito, un suo importante perfezionamento, potrebbe, a giudicare dai reperti archeologici di aghi per cucire il legno, avere aiutato le popolazioni orientali ad attraversare lo stretto di Bering per recarsi nell’America settentrionale.
Il circuito di retroazione dei vestiti è semplice: quando la temperatura si abbassa i vestiti vengono indossati; quando si innalza vengono tolti. La regolazione della temperatura, come comportamento, ha fatto la sua comparsa negli esseri umani molto prima che venissero costruiti i sistemi di riscaldamento a base di combustibili fossili ed è ancor oggi predominante.
Se continuiamo a sottoporre il soggetto del nostro esperimento a uno stato di stress, indurremo in lui un metodo di regolazione della temperatura ancora più antico e ancora più affidabile: si tratta di sistemi comportamentali, non tecnologici, di retroazione.
Queste risposte si possono fare risalire a qualcosa come 200 milioni di anni or sono e consistono nel correre, nel fregarsi braccia e gambe, nel rannicchiarsi e nell’assumere la posizione fetale, arrotolandosi, quando si ha freddo.
Quando sono minacciati dal caldo, i mammiferi come noi reagiscono con un comportamento opposto: stendono gli arti e cercano l’ombra. In generale diventano meno attivi. Tuttavia i mammiferi condividono questo tipo di meccanismo di controllo della temperatura, che dipende dall’avere un sistema nervoso sufficientemente complesso, base del comportamento appreso.
A mano a mano che ci avviciniamo al microcosmo originale, i sistemi di retroazione diventano ancora più prevedibili, fondamentali e affidabili. Ancora più antichi dei sistemi comportamentali sono i tipi di controllo rigorosamente fisiologici.
Quando l’ambiente si raffredda, i vasi sanguigni dei mammiferi si allontanano automaticamente dalla superficie cutanea per contrazione dei muscoli che si trovano nelle loro pareti. Più lontano della pelle, il sangue viene rifornito agli organi vitali in maggiore quantità e gli organismi risultano così più protetti. Segue il congelamento: le dita delle mani e dei piedi ed altre estremità diventano fredde come ghiaccio e intirizzite.
Se il soggetto è ancora sotto stress, si ha il distacco delle estremità. Il naso e la punta delle orecchie, le dita delle mani e dei piedi si staccano. La sudorazione, che è la risposta opposta, si basa sull’evaporazione di acqua per raffreddare il corpo.
Queste risposte fisiologiche alla temperatura sono ancora più antiche e ben radicate delle altre. Forse sono tanto antiche quanto gli stessi animali (circa 600 milioni di anni or sono). Se, nel nostro esperimento mentale, continuiamo a sottoporre il soggetto alla tensione del freddo, spingiamo fino al limite il suo sistema autopoietico e mettiamo a nudo l’antico metodo genetico di controllo della temperatura.
Se l’ambiente diventa freddo oltre il limite di tolleranza dell’uomo, questi muore e non lascia (ulteriore) prole. Se la tensione del freddo continua, l’intera popolazione e comunità congela fino a morire senza lasciare discendenti. Tuttavia, nuove popolazioni e comunità sostituiscono le vecchie, e alcune hanno mezzi più efficaci per combattere il freddo. Solo organismi diversi o mutanti, in grado di tollerare condizioni climatiche rigide, riusciranno a sopravvivere.
Un’enorme pressione selettiva viene esercitata su quegli organismi che possono migliorare gli effetti dell’ambiente e del freddo circostante. Questo è ciò che è avvenuto di solito nel mondo. Se la tensione è abbastanza forte, sopravviveranno soltanto gli organismi tolleranti. In altre parole, quando fa troppo caldo, le cellule muoiono.
Quando fa troppo freddo, le cellule muoiono. Quando la temperatura è giusta, le cellule lasciano una numerosa progenie. Ma il “giusto” della temperatura dipende da ogni genere di vita. La selezione naturale darwiniana è l’ultimo antico sistema di retroazione di Gaia su cui tutti quelli tecnologici e comportamentali più recenti si basano.
Oggi, se si ha freddo si accende il riscaldamento, quindi si mette un maglione, poi si comincia a tremare per generare calore. Se il freddo incalza ancora, si entra in uno stato di torpore, in cui il metabolismo si abbassa; se il freddo aumenta ancora e non cede, si muore. Ma la morte individuale fa parte dei sistemi più ampi di stabilizzazione ambientale.
Prima di morire, l’individuo ha fatto aumentare la temperatura ambientale e, morendo e non lasciando una prole simile a sé, ha fatto diminuire le probabilità che i futuri periodi di freddo distruggano la vita, spianando la via alla riproduzione di organismi adattati alle basse temperature.
Sistemi viventi di regolazione della temperatura e dell’atmosfera a livello planetario possono solo essere immaginati. Da una prospettiva planetaria, tuttavia, non sembra che essi siano in un equilibrio naturale difficile, sull’orlo del collasso.
Ma questo genere di modulazione ambientale opera anche su una scala più piccola. Anche sulla scala di gran lunga più piccola dei singoli animali, la regolazione della temperatura comporta più di un semplice singolo sistema di retroazione.
Realizziamo un esperimento mentale in cui una persona (un insieme di cellule, come il bioma terrestre) deve affrontare un netto calo della temperatura ambientale. Il suo primo tipo di risposta sarebbe la tattica evolutasi più di recente: una risposta da alta tecnologia, che consisterebbe nel girare il termostato, nell’inserire il radiatore elettrico, o addirittura nel pagare per il servizio di teleriscaldamento attraverso un modem del proprio computer domestico.
Benché queste modalità diventeranno forme sempre più comuni di regolazione della temperatura, esse sono così recenti da essere ancora estremamente incerte tra i vari sistemi di retroazione. A un livello più basso, vi sono invece le risposte da “bassa tecnologia” ai rischi delle basse temperature: avvolgersi in coperte e vestirsi con abiti più pesanti.
Questo tipo di tecnologia, ereditata dall’abitudine di prendere in trappola gli animali di climi freddi o cacciarli, utilizzando poi le loro pelli e pellicce folte per proteggersi, è antica di circa 100000 anni. Il cucito, un suo importante perfezionamento, potrebbe, a giudicare dai reperti archeologici di aghi per cucire il legno, avere aiutato le popolazioni orientali ad attraversare lo stretto di Bering per recarsi nell’America settentrionale.
Il circuito di retroazione dei vestiti è semplice: quando la temperatura si abbassa i vestiti vengono indossati; quando si innalza vengono tolti. La regolazione della temperatura, come comportamento, ha fatto la sua comparsa negli esseri umani molto prima che venissero costruiti i sistemi di riscaldamento a base di combustibili fossili ed è ancor oggi predominante.
Se continuiamo a sottoporre il soggetto del nostro esperimento a uno stato di stress, indurremo in lui un metodo di regolazione della temperatura ancora più antico e ancora più affidabile: si tratta di sistemi comportamentali, non tecnologici, di retroazione.
Queste risposte si possono fare risalire a qualcosa come 200 milioni di anni or sono e consistono nel correre, nel fregarsi braccia e gambe, nel rannicchiarsi e nell’assumere la posizione fetale, arrotolandosi, quando si ha freddo.
Quando sono minacciati dal caldo, i mammiferi come noi reagiscono con un comportamento opposto: stendono gli arti e cercano l’ombra. In generale diventano meno attivi. Tuttavia i mammiferi condividono questo tipo di meccanismo di controllo della temperatura, che dipende dall’avere un sistema nervoso sufficientemente complesso, base del comportamento appreso.
A mano a mano che ci avviciniamo al microcosmo originale, i sistemi di retroazione diventano ancora più prevedibili, fondamentali e affidabili. Ancora più antichi dei sistemi comportamentali sono i tipi di controllo rigorosamente fisiologici.
Quando l’ambiente si raffredda, i vasi sanguigni dei mammiferi si allontanano automaticamente dalla superficie cutanea per contrazione dei muscoli che si trovano nelle loro pareti. Più lontano della pelle, il sangue viene rifornito agli organi vitali in maggiore quantità e gli organismi risultano così più protetti. Segue il congelamento: le dita delle mani e dei piedi ed altre estremità diventano fredde come ghiaccio e intirizzite.
Se il soggetto è ancora sotto stress, si ha il distacco delle estremità. Il naso e la punta delle orecchie, le dita delle mani e dei piedi si staccano. La sudorazione, che è la risposta opposta, si basa sull’evaporazione di acqua per raffreddare il corpo.
Queste risposte fisiologiche alla temperatura sono ancora più antiche e ben radicate delle altre. Forse sono tanto antiche quanto gli stessi animali (circa 600 milioni di anni or sono). Se, nel nostro esperimento mentale, continuiamo a sottoporre il soggetto alla tensione del freddo, spingiamo fino al limite il suo sistema autopoietico e mettiamo a nudo l’antico metodo genetico di controllo della temperatura.
Se l’ambiente diventa freddo oltre il limite di tolleranza dell’uomo, questi muore e non lascia (ulteriore) prole. Se la tensione del freddo continua, l’intera popolazione e comunità congela fino a morire senza lasciare discendenti. Tuttavia, nuove popolazioni e comunità sostituiscono le vecchie, e alcune hanno mezzi più efficaci per combattere il freddo. Solo organismi diversi o mutanti, in grado di tollerare condizioni climatiche rigide, riusciranno a sopravvivere.
Un’enorme pressione selettiva viene esercitata su quegli organismi che possono migliorare gli effetti dell’ambiente e del freddo circostante. Questo è ciò che è avvenuto di solito nel mondo. Se la tensione è abbastanza forte, sopravviveranno soltanto gli organismi tolleranti. In altre parole, quando fa troppo caldo, le cellule muoiono.
Quando fa troppo freddo, le cellule muoiono. Quando la temperatura è giusta, le cellule lasciano una numerosa progenie. Ma il “giusto” della temperatura dipende da ogni genere di vita. La selezione naturale darwiniana è l’ultimo antico sistema di retroazione di Gaia su cui tutti quelli tecnologici e comportamentali più recenti si basano.
Oggi, se si ha freddo si accende il riscaldamento, quindi si mette un maglione, poi si comincia a tremare per generare calore. Se il freddo incalza ancora, si entra in uno stato di torpore, in cui il metabolismo si abbassa; se il freddo aumenta ancora e non cede, si muore. Ma la morte individuale fa parte dei sistemi più ampi di stabilizzazione ambientale.
Prima di morire, l’individuo ha fatto aumentare la temperatura ambientale e, morendo e non lasciando una prole simile a sé, ha fatto diminuire le probabilità che i futuri periodi di freddo distruggano la vita, spianando la via alla riproduzione di organismi adattati alle basse temperature.
Sistemi viventi di regolazione della temperatura e dell’atmosfera a livello planetario possono solo essere immaginati. Da una prospettiva planetaria, tuttavia, non sembra che essi siano in un equilibrio naturale difficile, sull’orlo del collasso.
Al contrario, sono vigorosi. I sistemi di controllo ambientale più importanti sono le istituzioni microcosmiche collaudate dal tempo, che producono gas e modificano l’albedo, e che sono di gran lunga più resistenti e più antiche della combustione di oli minerali per riscaldamento e dell’impiego di termostati domestici. Per quanto riguarda il futuro, la nostra specie potrebbe essere come quelle margherite nere rigogliose, che crescono così rapidamente da rendere ottimale l’ambiente per altre margherite, perfino quando si arroventano sino alla morte.
Ogni individuo, popolazione o specie è un’opzione che si esercita soltanto in condizioni favorevoli. In caso di catastrofe, come regolarmente avviene nella storia della vita, alcune opzioni non saranno più valide. Ma la loro fine, sia come morte individuale sia come estinzione, renderà la biosfera nel suo insieme più robusta, più complessa e con maggiore capacità di ripresa. (Ciò, naturalmente, non ha nulla a che vedere con il progresso o il benessere umano. Nella documentazione fossile non si nota alcun segno di progresso, solo di cambiamento ed espansione.)
Inoltre, sembra che la maggior parte delle opzioni procariotiche non si sia ancora estinta. Né l’esistenza né l’estinzione di specie sono una proprietà dei batteri. Benché la morte individuale dei batteri avvenga senza interruzione, forti pressioni sul regno delle monere per la capacità di effettuare scambi genetici a livello mondiale hanno portato al rapido scambio di biotecnologie naturali, a enormi tassi di crescita delle popolazioni e, in generale, alla capacità di resistere con attitudini metaboliche intatte anche durante le più gravi crisi planetarie.
Solo con un’esplorazione scientifica completa dei meccaniscmi di controllo di Gaia ci si può attendere di attuare nello spazio habitat viventi che si autosostentino.
Se mai dovessimo progettare ecosistemi chiusi in grado di rifornire le loro proprie riserve vitali, dovremmo studiare la tecnologia naturale della Terra. Abitare altri mondi, avere la possibilità di passeggiare in giardini, per esempio, su Marte, è un progetto gigantesco, che si può pensare soltanto da una prospettiva di Gaia.
Dovremmo conoscere le nostre radici nel microcosmo prima di andare in quel limbo che è il supercosmo.
Ma, sia che l’uomo porti nello spazio l’ambiente primevo dell’antico microcosmo si che, cercando di farlo, muoia, sembra proprio che la vita sia tentata in questa direzione.
E la vita, finora, ha resistito a tutto, tranne che alla tentazione.
Ogni individuo, popolazione o specie è un’opzione che si esercita soltanto in condizioni favorevoli. In caso di catastrofe, come regolarmente avviene nella storia della vita, alcune opzioni non saranno più valide. Ma la loro fine, sia come morte individuale sia come estinzione, renderà la biosfera nel suo insieme più robusta, più complessa e con maggiore capacità di ripresa. (Ciò, naturalmente, non ha nulla a che vedere con il progresso o il benessere umano. Nella documentazione fossile non si nota alcun segno di progresso, solo di cambiamento ed espansione.)
Inoltre, sembra che la maggior parte delle opzioni procariotiche non si sia ancora estinta. Né l’esistenza né l’estinzione di specie sono una proprietà dei batteri. Benché la morte individuale dei batteri avvenga senza interruzione, forti pressioni sul regno delle monere per la capacità di effettuare scambi genetici a livello mondiale hanno portato al rapido scambio di biotecnologie naturali, a enormi tassi di crescita delle popolazioni e, in generale, alla capacità di resistere con attitudini metaboliche intatte anche durante le più gravi crisi planetarie.
Solo con un’esplorazione scientifica completa dei meccaniscmi di controllo di Gaia ci si può attendere di attuare nello spazio habitat viventi che si autosostentino.
Se mai dovessimo progettare ecosistemi chiusi in grado di rifornire le loro proprie riserve vitali, dovremmo studiare la tecnologia naturale della Terra. Abitare altri mondi, avere la possibilità di passeggiare in giardini, per esempio, su Marte, è un progetto gigantesco, che si può pensare soltanto da una prospettiva di Gaia.
Dovremmo conoscere le nostre radici nel microcosmo prima di andare in quel limbo che è il supercosmo.
Ma, sia che l’uomo porti nello spazio l’ambiente primevo dell’antico microcosmo si che, cercando di farlo, muoia, sembra proprio che la vita sia tentata in questa direzione.
E la vita, finora, ha resistito a tutto, tranne che alla tentazione.
A cura di Marcella Danon
1 commento:
Gaia o Provvidenza?
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