A rischio quasi due milioni di persone, considerate “carne da
macello” da chi detiene il potere. Quello che lo Stato italiano non dice
alla sua popolazione. Sono stati registrati terremoti superficiali con
ipocentro localizzato lungo il condotto, oltre che in emissioni
fumaroliche lungo i fianchi del cono e del cratere. A parere degli
esperti, una più che probabile ripresa dell’attività eruttiva,
implicherebbe quindi un rapido rilascio di tutta l’energia accumulata.
E’ considerato dagli esperti uno dei vulcani a maggior rischio del
mondo. La sua storia ha insegnato che può produrre sia eruzioni
effusive, sotto forma di effusione di colate laviche, nonché le ben più
pericolose eruzioni esplosive. Nel frattempo, in attesa del peggio, la NATO ha
evacuato alcuni suoi insediamenti nell’area. Ma questo è un segreto
militare, meglio non far sapere nulla ai sudditi italioti.
Fatto sta che la Regione Campania dovrà fornire
entro il 31 marzo 2013, elementi utili ad una delimitazione ancora più
definita della “zona rossa” e del numero di residenti che andrebbero
effettivamente allontanati in caso di eruzione del Vesuvio. Analogo
dettaglio andrà precisato entro giugno per i campi Flegrei. Lo ha reso
noto il capo del dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli
(ex capo dei servivi segreti civili), in una recente conferenza stampa.
“Non è una differenza da poco – ha sottolineato Gabrielli – avere un
censimento preciso permetterebbe di calibrare ancora meglio le procedure
di evacuazione che nel caso del Vesuvio, al momento, riguarderebbero
800mila persone e nel caso dei Campi Flegrei altre 400mila. Un’eventuale
evacuazione anche via mare? Sino ad oggi si è pensato solo al trasporto
su gomma, ma è un’ipotesi che non mi sento di escludere in partenza”.
Certo, sarebbe un evento di proporzioni importanti, che proporrebbe una
serie di problemi almeno in parte gestibili solo sul campo,
nell’immediato, e che dal punto di vista dei costi richiederebbe un
fondo molto cospicuo e, quasi inevitabilmente, un contributo dell’Unione
europea”.
Piano di “emergenza” – Lo scenario atteso dalle autorità italiane è catastrofico, eppure sul sito della Protezione Civile l’ultimo aggiornamento visibile alla popolazione risale al 2006. Esso prevede i seguenti fenomeni e conseguenti rischi associati:
Piano di “emergenza” – Lo scenario atteso dalle autorità italiane è catastrofico, eppure sul sito della Protezione Civile l’ultimo aggiornamento visibile alla popolazione risale al 2006. Esso prevede i seguenti fenomeni e conseguenti rischi associati:
«Nella fase iniziale dell’eruzione si solleva fino a 15-20 chilometri
di altezza una colonna eruttiva composta di gas e frammenti
piroclastici, seguita dalla ricaduta a terra di pomici, lapilli e ceneri
trasportati dal vento. Il rischio è correlato al carico esercitato
dalla coltre piroclastica sui tetti degli edifici di cui provoca
eventualmente il crollo, nonché alle difficoltà respiratorie, alla
contaminazione delle colture e dell’acqua, alle difficoltà di
autorizzare vie di fuga e agli ingorghi stradali. Il territorio che può
subire questi fenomeni è indicato come zona gialla. Questa zona
comprende 96 comuni delle province di Napoli, Avellino,
Benevento e Salerno per un totale di circa 1.100 chilometri quadrati e
1.100.000 abitanti.
Nella fase successiva, la colonna eruttiva collassa producendo colate
piroclastiche che possono raggiungere velocità dell’ordine di 100 km/h e
un enorme potere distruttivo. I modelli fisico-numerici indicano che
dal momento del collasso della colonna eruttiva, le colate piroclastiche
impiegheranno 5-10 minuti per raggiungere la costa. Il
territorio esposto a questo rischio è definito zona rossa, comprende 18
comuni è per un totale di circa 200 chilometri quadrati di estensione e
poco meno 600.000 abitanti.
Nella terza fase si possono generare colate di fango anche a
distanza di giorni dall’eruzione. I territori soggetti a questo rischio
sono indicati come zona blu che include 14 comuni della provincia di Napoli per un totale di 180.000 abitanti. Inoltre, i comuni di Torre del Greco e Trecase, presentano un’elevata pericolosità da invasione di lave pur trovandosi ad una certa distanza dal cratere sommitale».
Gli insediamenti umani sono stati edificati all’interno delle fasce a
rischio. Questo fenomeno non è mai stato arrestato dal governo italiano e
dalle autorità locali. Studi recenti hanno calcolato che nel periodo
dal 1951 al 2001, nell’insieme dei 18 comuni considerati “zona rossa” vi
è stato un sensibile incremento demografico, pari al 56,3 per cento (da
353.172 a 551.837 abitanti), soprattutto nella fascia costiera.
Inoltre, vi è stato un aumento della densità abitativa tale da rendere
questo comuni tra i più densamente abitati d’Italia, nonché un’esplosa
crescita del numero di abitazioni (da 73.141 a 187.407 edifici).
Nell’ultimo decennio il cancro cementizio ha allungato le sue metastasi
senza alcun freno istituzionale.
La riuscita del cosiddetto “piano di emergenza” dipende dalla
capacità di prevedere l’eruzione del Vesuvio con sufficiente anticipo.
In ogni caso, vi è una difficoltà oggettiva, anche se la popolazione
fosse adeguatamente pronta e preparata, nell’evacuare una zona
densamente abitata come quella vesuviana. La strategia di evacuazione è
legata ai tempi di previsione: questa è possibile solo tre giorni prima
dell’evento, un tempo notoriamente insufficiente ad evacuare da 500 a
600 mila persone.
Infine, i Campi Flegrei (area ad alta densità di
residenti) sono un’altra zona campana ad elevatissimo rischio vulcanico.
Proprio in loco sono in fase di realizzazione delle sperimentazioni di
cui la popolazione locale ed italiana, non è a conoscenza. Anche nei
Campi Flegrei potrebbero avvenire delle eruzioni esplosive.
Per la cronaca storica: durante la seconda guerra mondiale gli
anglo-americani oltre che seppellire di bombe numerose città italiane
(causando migliaia di vittime civili), hanno addirittura bombardato il
suo cono più recente e attivo cresciuto al di sopra di un vulcano più
antico conosciuto con il nome di Monte Somma. Nel 1944 ci fu l’ultima
eruzione. Da allora sono stati riconosciuti 18 cicli eruttivi separati
da brevi intervalli di stasi inferiori a 7 anni. Gli studi scientifici
hanno consentito di accertare che nei periodi di quiescenza, il magma si
è accumulato in una camera posta a 5-7 chilometri di profondità.
Il rischio vulcanico è il prodotto di tre fattori: pericolosità
vulcanica, valore esposto e vulnerabilità. Perché allora la popolazione
della regione Campania non è informata a dovere? I morti da “cause
naturali” sono stati già calcolati nei minimi dettagli, così come le
lacrime per i funerali di Stato?
Approfondimenti:
Nessun commento:
Posta un commento