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Vaticano: Stato senza privacy, controllo totale della gendarmeria tramite chip Rfid

di Pino Nicotri

Di recente, nella palazzina della Gendarmeria hanno costruito quattro nuove celle, come se, dopo il “corvo” Paolo Gabriele, in gabbia debbano finirci altri suoi complici. Vale la pena rivelare, in una indagine che per vari motivi è destinata al binario morto, l’uso della tecnologia più avanzata per seguire in tempo reale tutti gli spostamenti del maggiordomo del papa, e non solo i suoi, dentro e fuori il Vaticano. Dove, dal 2007 è in vigore un sistema di controllo molto capillare su chi ci vive, su chi ci lavora e su chiunque ci entri per qualunque altro motivo. 

Un sistema di controllo degno di Orwell. La faccenda è molto poco nota, ma merita un approfondimento. Ai tempi di papa Wojtyla il cardinale Edmund Kasimir Szoka, allora presidente del Governatorato, introdusse nuove norme per la circolazione all’interno del Vaticano. Norme che vietavano a qualsiasi veicolo l’attraversamento dello Stato. Per esempio, se si voleva andare dalla sede dell’Osservatore Romano alle Comunicazioni Sociali non si poteva più farlo percorrendo il territorio vaticano, ma si doveva uscire dal minuscolo Stato passando per Porta Sant’Anna e rientrando per l’ingresso del Perugino dal lato della Porta Cavalleggeri. La misura venne presa perché durante la sua ora quotidiana di jogging il cardinale Szoka aveva rischiato di essere investito da un’auto. 

Il provvedimento, però, irritò molto l’allora cardinale segretario di Stato Angelo Sodano, tanto che con un gruppo di monsignori e vari dipendenti un giorno forzò il blocco sfidando i gendarmi. Da qual giorno i due cardinali cominciarono a odiarsi (ammesso che non si odiassero già prima…). Indispettito, Szoka alzò la posta decidendo di mettere il naso nella sicurezza del piccolo Stato: diede infatti l’incarico alla Gendarmeria di preparare uno studio che riguardasse un sistema di sicurezza e di controllo globale di tutte le persone che si trovassero a qualsiasi titolo in territorio vaticano. Un’altra bella soddisfazione per la Gendarmeria, tornata a chiamarsi così dopo che Paolo VI aveva deciso di ribattezzarla con il nome di Vigilanza Vaticana. 

Lo studio, però, si incagliò sui banchi di sabbia della Segreteria di Stato. Usciti di scena prima Szoka e poi Sodano, il progetto venne rispolverato dal cardinal Tarcisio Bertone, con l’appoggio di papa Ratzinger, e dal nuovo comandante della Gendarmeria Domenico Giani, ex ufficiale della Finanza e dotato di ottimi contatti con vari servizi segreti, quanto meno italiani. La messa a punto del progetto ha comportato l’assunzione nel 2007 di 30 nuovi gendarmi, sottoposti ad un addestramento massacrante di tipo militare presso le strutture dei nostri carabinieri. I gendarmi vengono fatti marciare quotidianamente nelle strade del piccolo Stato in tenuta da combattimento e antisommossa, con in bella mostra pistole di grosso calibro da guerra. 

Vengono inoltre addestrati periodicamente al poligono di tiro e frequentano vari corsi. Compreso quello di una settimana per imparare ad ammanettare a regola d’arte un uomo anche nelle condizioni più sfavorevoli. I nuovi gendarmi sono obbligati a risiedere per due anni nella caserma della Gendarmeria in Vaticano e possono usufruire solo di licenze brevi. Inoltre quando non sono in servizio non possono vestire in borghese, ma devono indossare una T-shirt blu con il simbolo molto appariscente della Gendarmeria. 

 Dal 1 luglio 2007 tutti coloro che entrano in Vaticano sono muniti di un tesserino contenente un RFID (Radio Frequency Identification), cioè un microchip che riceve e invia informazioni a un elaboratore centrale che potrà facilmente incrociare i dati. Per i dipendenti vaticani il tesserino serve come tessera di riconoscimento, tessera annonaria, tessera carburante, bancomat IOR e infine anche come libretto sanitario. Poiché in Vaticano non esiste nessuna norma sulla privacy, né alcuna legge che tutela i lavoratori dal controllo del datore di lavoro, l’incrocio dei dati consente per esempio di sapere che cosa compra un dipendente al supermercato, quanto spende, cosa ha acquistato e con quale frequenza in farmacia e nei magazzini del Governatorato. Il microchip del tesserino permette però anche di controllare se si esce dal Vaticano per andare al bar o altrove. Tutti i movimenti all’interno dello Stato sono ossessivamente registrati e controllati.

Si potrà sapere con chi ci si è incontrati, dove e per quanto tempo. Questo controllo vale per tutti, cardinali e vescovi compresi. E naturalmente è valso anche per Paolo Gabriele. Da notare che il tesserino col microchip non è concesso e gestito dai vari dicasteri (APSA, FAS, IOR ecc.), come i vecchi tesserini, ma unicamente dalla Gendarmeria. Inoltre, poiché non esiste una legge sulla privacy, non esiste il diritto di sapere dove sono depositati i dati delle singole persone, chi li tratta, per quanto tempo saranno conservati, a chi saranno eventualmente ceduti, ecc. Nessuno potrà essere tutelato dall’eventuale sfruttamento di questi dati anche per controllare l’attività lavorativa.

Infine, attraverso le nuove tecnologie, come i rilevamenti satellitari e le reti di rilevamento terrestri, si può essere seguiti passo passo in tutto il mondo. A onor del vero molti hanno già imparato i vari trucchi per bloccare il microchip, il più semplice dei quali è lasciarlo fermo in qualche posto oppure schermarlo con apposite buste come quelle usate per proteggere le pellicole dai controlli aeroportuali. Se, però, il microchip resta fermo a lungo o sparisce, la Gendarmeria si insospettisce. Il che è pericoloso. In Vaticano infatti non vale la norma basilare accettata da tutti gli Stati moderni, in base alla quale nessuno può essere accusato di un reato se non in virtù della legge.

Si può essere arrestati o licenziati senza sapere perché, non in base ad una norma precisa. Per esempio, si può essere licenziati in virtù del fatto che la Gendarmeria o la Segreteria di Stato ritengono che non è stato fatto un uso corretto del tesserino. Qualsiasi indagine giudiziaria, compresa quella su Paolo Gabriele, avviene senza le garanzie di legge esistenti in Italia, ma in base a regole del 1889 e i dati ricavati dal microchip RFID del tesserino possono essere utilizzati in modo arbitrario. “Ma tutto questo è un colpo di Stato strisciante!”, ha reclamato nel 2007 più di un prelato e qualche dipendente. Tutto inutile. La orwellizzazione della cosiddetta Santa Sede è andata avanti lo stesso. Ne ha fatto le spese in modo clamoroso il maggiordomo del papa. Ma non è affatto detto che prima di lui non ne abbiano fatte le spese in modo silenzioso altri.

Smascherare una indecente e lugubre bugiarda

di Paolo Barnard -

L’asse Monti-Fornero vende all’opinione pubblica la flessibilità selvaggia e i conseguenti disastri sociali come necessità essenziali per rendere il Paese competitivo.



Il teorema è: abbiamo un mercato del lavoro troppo regolamentato, soffoca la competitività, cioè da noi non investono e con paghe/regole troppo rigide non siamo competitivi all'estero.
Confindustria dell’ignorante Squinzi approva. Ok.
Il World Economic Forum di Davos è la massima assise mondiale della finanza e dell’industria, più in alto di così non si va. Pubblicano ogni anno un rapporto sulla competitività dei Paesi nel mondo, il Global Competitiveness Index. Ogni Stato ha una pagella. Nelle pagelle di ogni nazione c’è la parte con la scritta in azzurro The most problematic factors for doing business, cioè quali sono gli ostacoli più problematici per investire in quei Paesi, e per quei Paesi per essere competitivi all'estero.
Nelle pagelle di Svizzera, Svezia, Finlandia, e Germania, fra gli ostacoli più problematici ci trovate sempre la voce Restrictive Labour Regulations, cioè un mercato del lavoro troppo regolamentato. In Svizzera, Svezia, Finlandia, Germania il mercato del lavoro NON è flessibile a sufficienza. Ok.
Secondo il teorema Monti-Fornero, il World Economic Forum Global Competitiveness Index dovrebbe bocciare la competitività di Svizzera, Svezia, Finlandia, Germania, tutte piegate da troppa poca flessibilità del mercato del lavoro, e anche, vi si legge, da poca efficienza e da troppa burocrazia. Addirittura nel caso della Svizzera, il WEF lamenta una “insufficiente formazione del personale al lavoro”. Peggio di così...
Ok, andiamo a vedere chi sono i Paesi giudicati dal World Economic Forum come i più competitivi al mondo nel 2011:



Primo posto: Svizzera
Terzo posto: Svezia
Quarto posto: Finlandia
Sesto posto: Germania
su 193 Paesi



Nei primi sei posti ci sono proprio Svizzera, Svezia, Finlandia e Germania, i Paesi con altissima regolamentazione del mercato del lavoro, troppa burocrazia e anche inefficienze.
Possibile?
Ma la rigidità del mercato del lavoro non era la causa prima della perdita di competitività?
Se leggiamo la pagella dell’Italia, e sempre nella sezione The most problematic factors for doing business, cioè quali sono gli ostacoli più problematici per investire da noi e per noi per vendere all'estero, vi si trovano precisamente gli stessi problemi di Svizzera, Svezia, Finlandia e Germania:burocrazia, inefficienza e mercato del lavoro troppo regolamentato.
Andiamo a vedere dove sta l’Italia nella classifica su 193 Paesi:
Quarantatreesimo posto (43), dietro Tunisia e Barbados.



Ci spieghi la Fornero come sia possibile che Paesi che mantengono un’alta rigidità del mercato del lavoro, e altri gravi disfunzioni, siano lo stesso i più competitivi al mondo, mentre noi siamo dietro le Barbados e la Tunisia.
Ci spieghi la Fornero perché dovremmo tutti credere che mandando giovani a lavorare da Parma a Foggia 6 mesi, poi 24 mesi a Latina e poi 4 mesi di nulla, poi 2 mesi a Parma, poi 20 mesi a Conegliano, e con paghe di 900 euro con laurea, l’Italia potrà raggiungere Svizzera, Svezia, Finlandia e Germania che mantengono i mercati del lavoro più garantiti e regolamentati al mondo.
Questo prova oltre ogni dubbio che la scure abbattuta sulla cosiddetta eccessiva rigidità del mercato del lavoro italiano come la causa primaria della perdita di competitività è una menzogna, che nasconde le vere cause della poca competitività italiana (capitolo a sé).
E’ una menzogna che mira a ben altro, e cioè all’esatto contrario, mira a deflazionare l’economia italiana devastando i salari, quindi i consumi, quindi le aziende (imprenditori sveglia!), per regalare agli investitori internazionali, i tedeschi prima di tutto, migliaia di nostre aziende di prestigio con cui far shopping a due lire. Nel frattempo devastando il miracolo dell’economia produttiva italiana. A ciò mira.
Questi sono dei criminali falsari, la Fornero va fermata, è un’ignobile indecente lugubre bugiarda che sta condannando milioni di nostri figli a un’esistenza kosovara.

L'allarme: entro 2 anni nello stretto di Messina un terremoto più forte di quello del 1908

Un terremoto di intensità persino superiore allo storico sisma di Messina del 1908, che devastò la città e lascio 100mila morti sotto le macerie. È quello che potrebbe interessare Sicilia orientale e Calabria meridionale nei prossimi mesi, al massimo entro 2 anni. 
Uno scenario che nessuno si augura, ma che non è stato predetto da una delle solite Cassandre poco qualificate di casa nostra, ma dal direttore del centro Enea di Bologna, Alessandro Martelli, che ha parlato di un sisma di 7,5 gradi Richter. Enorme, basti pensare che a devastare l’Aquila sono bastati 6,3 gradi.

Rischio sismico altissimo

Al di là delle polemiche scatenate tra questa posizione e quella dei sismologi più cauti, è indubbio che tra la Sicilia e la Calabria c’è una delle zone sismiche più pericolose d’Italia. Se nessuno può dire con certezza quando ci sarà “the big one”, il grande terremoto, tutti concordano sul fatto che avverrà. E purtroppo, il territorio è tutt’altro che pronto.

Sisma tra il 7,5 e il 7,9

Il Salvagente ha innanzi tutto chiesto ad Alessandro Martelli su quali basi ha lanciato l’allarme: “In Italia esiste una scuola di sismologia non ben accettata da quella tradizionale. Ha sede a Trieste ed è guidata da Francesco Panza, ordinario di sismologia all’Università di Trieste, accademico dei Lincei e della Russian Academy of Science, con cui lavora su alcuni studi. Questo centro di ricerca fa esperimenti di previsione dei terremoti”. I dati di questi studi, ci spiega Martelli, evidenziano una allerta per un terremoto grosso, tra i 7,5 e i 7,9 gradi, in questa zona del Sud.
E aggiunge: “Possiamo dire, al di là delle polemiche, che le loro previsioni sono riuscite nel 70% dei casi. Lo dico da persona estranea che giudica i dati”.

Rischio impianti

Cosa comporterebbe un sisma del genere in quel territorio? Il problema principale, come ci spiega Enzo Parisi di Legambiente Sicilia, è che “nella Sicilia orientale ci sono tre aree a forte rischio ambientale legate ad altrettanti impianti petrolchimici. Gela, Priolo (con Augusta e Melilli) e Milazzo. Aree che preoccupano chi vive lì.  Due o tre volte l’anno capitano incidenti dentro gli impianti”. 
Le città circostanti avrebbero bisogno di un piano d’emergenza ad hoc. “Ma la gente che sta nelle vicinanze degli impianti non sa come comportarsi. Non gli viene mandato materiale informativo in casa ogni anno. Non vengono fatte le esercitazioni”, continua il rappresentante di Legambiente.

Impianti inadeguati

Eppure il presidente di Confindustria Siracusa ha recentemente dichiarato che gli impianti sono adeguati ai livelli di sismicità più alti. “Sta dicendo una menzogna”, ribatte Parisi. “Gli impianti sono degli anni 50 e non sono mai stati adeguati. Non c’è una certificazione che lo dimostri. Un paio di anni fa è crollato un pezzo di pontile dell’impianto Erg nel porto di Augusta. Sempre in quel pontile è cascato un braccio di carico. Stiamo parlando di milioni di tonnellate di produzione petrolifera nello stoccaggio. Se si sdraia un serbatoio e prende fuoco fa incendiare tutti gli altri. Si svilupperebbe una nube tossica che invaderebbe il Mediterraneo. Non sto esagerando”.

Non solo petrolio

E non c’è solo petrolio. Ci sono altre sostanze estremamente tossiche, come l’acido fluoridico, altamente corrosivo, e poi etilene, propilene, butano. Ci sarebbe una grande esplosione, oltre all’inquinamento delle falde e del mare. L’ultimo incidente spettacolare risale al 2006, quando ha preso fuoco una linea di petrolio che attraversava la strada provinciale. L’incendio è durato tre giorni e la strada è stata chiusa per 6 mesi. E tra Augusta, Priolo, Melilli e la parte nord di Siracusa, sono 100mila le persone a stretto contatto con quell’impianto.

La gente morirebbe per le esalazioni

Rincara la dose Alessandro Martelli, dell’Enea: “Per gli impianti non c’è una normativa speciale, non si conosce la loro stessa vulnerabilità, non c’è una procedura ah hoc per metterli in sicurezza. Considerato il tipo di movimento del terreno c’è la grossa probabilità di registrare una incapacità degli impianti di reggere le conseguenze di un collasso. Parliamo di un’eventualità in cui la maggior parte delle persone morirebbe per le esalazioni, non per la scossa”. 

edilizia impreparata

E se non bastasse il problema degli impianti industriali, quella parte della Sicilia ha anche grossi deficit edilizi dal punto di vista sismico. Lo conferma al Salvagente Carmelo Grasso, presidente dell’Ordine degli ingegneri di Catania: “Circa il 70% del costruito è precedente al 1981, data dell’introduzione delle norme antisismiche, e quindi non è adeguato. La maggior vulnerabilità riguarda gli edifici in cemento armato costruiti senza norme antisismiche. Chiediamo che venga fatto un piano della vulnerabilità degli edifici costruiti prima dell’81, a partire da scuole, ospedali, prefettura. E da lì bisogna intervenire in ordine di priorità”. 

Meglio prima che dopo

I soldi che servono sono molti, ma Grasso fa un rapido calcolo per sottolineare la necessità di spenderli prima piuttosto che a disastro avvenuto: “Negli ultimi 40 anni sono stati spesi 150 miliardi di euro per la ricostruzione post calamità naturali. E secondo dati della Protezione civile, basterebbero 40 miliardi per mettere in sicurezza il territorio. Per i privati, invece, bisognerebbe detassare chi decide di abbattere un palazzo vecchio e ricostruirlo. Non fargli pagare l’Imu, gli oneri concessori”.
I rischi dunque sono molti, e il territorio non è affatto pronto. Si spera che per una volta la storia non si ripeta. 
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Terremoto vicino Lipari trema ancora la Sicilia!

4 luglio 2012 - Sicilia - Un terremoto di magnitudo 4,1 e' avvenuto alle 15:27 italiane nelle vicinanze delle isole di Lipari e Vulcano, ad una profondita' di 169 km localizzato in mare a 20 km NO da Milazzo,e 40 km a NO da Messina.Negli ultimi giorni l'attivita sismica' ed in particolare l'intensita' degli eventi sismici che stanno avvenendo nel mediterraneo meridionale destano preoccupazione,l'effetto della spinta della placca africana sembra farsi piu' intensa.
Emsc
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Guerra in Siria? Catania e' pronta!


Un carosello in cielo, giù c’è Catania, il blu dello Ionio, l’Etna nera con il cocuzzolo perennemente innevato. Due, cinque, otto, dieci interminabili minuti, l’aereo che oscilla, vibra, scende, risale. E il cuore che accelera. Paura di volare? Mai. Ma perché ci sta tanto ad atterrare? E che cavolo! ogni volta la stessa storia. Arrivi in orario ma poi ti fanno girare per mezz’ora su Fontanarossa. E sudi freddo, senti una strana pressione sullo stomaco. Quasi sempre non ti dicono nulla. Non ti spiegano perché. Domenica all’una invece, sul Pisa-Catania, il comandante annuncia che straremo in aria un po’ sino a quando la torre di controllo non ci autorizzerà all’atterraggio. C’è un intenso traffico aereo militare sullo scalo di Sigonella.

Cazzo, ‘sti americani giocano alla guerra perfino all’ora di pranzo e nel giorno del Signore, sdrammatizza il vicino di poltrona già superabbronzato. Beh, sempre meglio di quanto è accaduto a mio zio la scorsa estate. Veniva da Venezia e gli hanno dirottato all’ultimo l’aereo a Punta Raisi. Allora c’erano i war games degli yankees e della NATO, gli ultimi fuochi sulla Libia da liberare. Le spregiudicate manovre dei famigerati aerei senza pilota, gli UAV-spia Global Hawk e i Predator stracarichi di missili e bombe a guida laser. 

Da due anni il terzo aeroporto d’Italia come volume di traffico, oltre sei milioni e mezzo di passeggeri l’anno, è asservito alla dronomania della Marina e dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti d’America. Atterraggi e decolli ritardati, le attività sospese in pista e nelle piattaforme, timetable che per effetto domino impazziscono in tutto il Continente, gli imprevisti e faticosi dirottamenti su Palermo. Volare da o su Catania vuol dire disagi che si sommano ai disagi, nuovi pericoli che si aggiungono a quelli vecchi. In futuro sarà peggio. Entro il 2015, la grande stazione aeronavale di Sigonella sarà consacrata capitale mondiale degli aerei senza pilota e ospiterà sino a venti Global Hawk e sciami di droni d’attacco e di morte. E Fontanarossa sarà soffocata, imprigionata, asservita alla guerra.

“Sì, il traffico civile subisce certe riduzioni e interferenze per l’attività militare del vicino scalo di Sigonella”, ammette Gaetano Mancini, presidente della Sac, la società che gestisce l’aeroporto etneo. “Tutto però è sotto controllo e mai ci sono stati problemi per la sicurezza dei passeggeri. Negli ultimi mesi la situazione si è poi fatta sicuramente meno pesante”. L’ordine di scuderia è tranquillizzare ed evitare allarmismi. Eppure dall’8 marzo di quest’anno a Fontanarossa sono state sospese tutte le procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aeromobili, “causa attività degli Unmanned Aircraft”, gli aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e alleate, come specificato da una nota ai piloti di aeromobili (NOTAM) emessa dalle autorità preposte al controllo del traffico. Le limitazioni dovevano durare sino allo scorso 5 giugno, ma un giorno prima della scadenza dei termini, tre NOTAM distinti dai codici B4048, B4049 e B4050 hanno prorogato la sospensione delle procedure standard sino al prossimo 1 settembre. Anche stavolta il transito dei voli civili, in piena stagione estiva, sarà subordinato alle evoluzioni dei droni. Semaforo giallo anche per i cacciabombardieri e gli aerei radar e da trasporto uomini e mezzi delle forze armate. Un altro avviso, codice M3066/12, ha ordinato infatti la sospensione di tutte le strumentazioni standard al decollo e all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, anche stavolta per le attività degli Unmanned Aircraft.

La Sicilia trampolino bellico si trasforma in laboratorio sperimentale del piano di iper-liberalizzare lo spazio aereo alle scorribande degli aerei senza pilota. La sicurezza delle popolazioni e dei passeggeri sacrificata all’altare degli interessi economici del complesso militare industriale USA. In Europa e aldilà dell’Atlantico, governi e organismi internazionali sembrano impotenti di fronte all’intollerabile pressing dei produttori di droni. Il business è enorme: secondo gli analisti economici, nei prossimi dieci anni la spesa annua per i sistemi senza pilota crescerà da 6,6 ad 11,4 miliardi di dollari e ci sarà pure un’ampia espansione anche in ambito civile. Solo in riferimento alla tipologia degli UAV ospitati pure a Sigonella (gli RQ-4 Global Hawk, gli MQ-9 Reaper e gli MQ-1 Predator), il Pentagono vuole portarli dagli attuali 340 a 650 nel 2021. Ognuno di essi ha costi insostenibili. Ogni falco globale di US Air Force, quello più vecchio, costa 50 milioni di dollari (in Sicilia ce ne saranno presto cinque). Gli altri cinque UAV previsti per Sigonella con il programma Allied Ground Surveillance (AGS) di sorveglianza terrestre della NATO, costeranno complessivamente 1,7 miliardi di dollari. Spesa record di 233 milioni a drone per la versione Global Hawk acquistata dalla Marina USA nell’ambito del programma Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) che vedrà ancora la Sicilia piattaforma avanzata per i raid in Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico.

Due anni fa, senza che sia stato ancora disciplinato l’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo europeo, l’Aeronautica militare e l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) hanno siglato un accordo tecnico per consentire l’impiego dei Global Hawk di Sigonella nell’ambito di spazi aerei “determinati” (terminologia del tutto nuova rispetto a quella in uso nei NOTAM dove gli spazi sono proibiti, pericolosi o limitati). In linea teorica si annuncia l’adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e militari “tese a limitare al massimo l’impatto sulle attività aeree civili” e “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se poi si ammette che per le operazioni “connesse a situazioni di crisi o di conflitto armato”, l’impiego dei droni non sarà sottoposto a limitazioni di alcun genere. Nel Mediterraneo cronicamente in fiamme è come dare illimitata libertà di azione ai falchi globali e ai predatori del cielo e del mare.

“I velivoli telecomandati rappresentano un rischio insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio”, denunciano gli attivisti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. “Negli Stati Uniti d’America il tasso degli incidenti agli aerei senza pilota è nettamente superiore a quello dell’aviazione generale e di quella commerciale, come più volte sottolineato dalla Federal Aviation Administration, l’amministrazione responsabile per la gestione delle attività nello spazio aereo nazionale”. Il 15 luglio 2010, durante un’audizione alla Commissione per la sicurezza pubblica interna del Congresso, la vicepresidente della FAA ha espresso forti perplessità su una “rapida e piena integrazione” dei sistemi senza pilota nel traffico aereo generale, così come auspicato dal Pentagono e dal presidente Obama. “Molti dei dati a nostra disposizione arrivano solo dalla Customs and Border Protecion (CPB) che pattuglia i nostri confini”, spiega la Federal Aviation Administration. “Essi ci rivelano che i ratei di incidenti degli UAS sono molto grandi. Dall’anno fiscale 2006 alla data del 13 luglio 2010, ad esempio, la CPB ha riferito un tasso incidentale grave di 52,7 ogni 100.000 ore di volo, cioè oltre sette volte più alto di quello dell’aviazione generale e 353 volte più elevato di quello dell’aviazione commerciale. Non si deve poi dimenticare che il numero di ore di volo denunciato, 5.688, è molto basso rispetto a quello che viene solitamente considerato in aviazione per fissare i dati sulla sicurezza e gli incidenti…”.

Un recentissimo report di Bloomberg, la maggiore società statunitense di analisi del mercato economico e finanziario, ha messo il dito nella piaga droni. Da quando sono operativi con US Air Force, Global Hawk, Preador e Reaper hanno subito 129 incidenti in cui i danni hanno comportato una spesa superiore ai 500.000 dollari o è avvenuta la distruzione del velivolo in missione. “Questi tre tipi di UAV sono quelli con il maggior tasso d’incidente di tutta la flotta aerea militare”, scrive Bloomberg. “Insieme hanno cumulato 9,31 incidenti ogni 100.000 ore di volo, tre volte in più degli aerei con pilota”. Il Global Hawk, da solo, ha un tasso di 15,16. 

“Effettivamente il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante”, ammette il maggiore dell’aeronautica, Luigi Caravita, autore di un approfondito studio sui droni pubblicato dal Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). “La mancanza di una capacità matura di sense & avoid (senti ed evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di volo: in più di un occasione un Predator è stato perso a seguito d’interruzione del data link”, spiega il maggiore. “Ad oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati sufficientemente affidabili, non hanno ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di cyber warfare”.

Analoghe considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la visione strategica sull’utilizzo di questi sistemi di guerra (The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). “I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”, scrivono i militari statunitensi. Per questo Eurocontrol, l’organizzazione per la sicurezza del traffico aereo a cui aderiscono 38 stati europei, ha stabilito nel marzo 2010 alcune linee guida per la gestione del traffico aereo dei falchi globali destinati allo scacchiere continentale. In particolare, si raccomanda d’isolare i droni-spia da altri usuari dello spazio aereo. “Dato che i Global Hawk non possiedono certe capacità, come il sense and avoid, è necessario che i decolli e gli atterraggi avvengano in spazi aerei segregati dai livelli normalmente utilizzati dai convenzionali aerei con pilota, mentre le missioni di crociera dovranno essere effettuate ad altitudini non occupate da essi”. Nel caso di Catania-Fontanarossa, scalo a meno di una decina di km in linea d’aria da Sigonella, le raccomandazioni di Eurocontrol sono solo carta straccia.  

Sulle scellerate scelte USA e NATO d’installare i Global Hawk in Sicilia è intervenuto uno dei massimi esperti dell’aviazione italiana, il comandante Renzo Dentesano, pilota per quarant’anni dell’Aeronautica ed Alitalia, poi consulente del Registro aeronautico e perito per diverse Procure nei procedimenti relativi ad incidenti aerei. “Questi aeromobili militari saranno in grado di partire e tornare alla base siciliana dopo aver compiuto missioni segrete e pericolose, delle quali nessuno deve saper nulla, onde poter effettuare con successo i loro compiti di sorveglianza e spionaggio”, scrive Dentesano. “È pur vero che nei loro piani d’impiego è previsto che il Comando che li utilizzerà abbia tutte le informazioni necessarie in merito al traffico che interessa lo spazio aereo nelle loro traiettorie, invece, le autorità civili non sapranno nulla di quanto programmato e qualche Controllore avvisterà sugli schermi radar del traffico che sarà etichettato come sconosciuto, del quale quindi ignoreranno sia le intenzioni che le manovre e le traiettorie”. 

“Questo tipo di ricognitori, concepiti appunto per missioni troppo rischiose per essere affidate a mezzi con a bordo degli esseri umani, nonostante tutte le misure di security di cui sono dotati i loro ricevitori di bordo, possono essere interferiti da segnali elettronici capaci di penetrare nei loro sistemi di guida e controllo, in modo da causarne la distruzione”, aggiunge Dentesano. “Il Global Hawk, come pure il Predator, non risultano in grado di assicurare l’incolumità del traffico aereo civile. Essi non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in senso verticale, salendo o scendendo di quota, come la situazione per evitare una collisione prontamente richiederebbe. E la sola variazione della direzione di moto, rimanendo alla stessa altitudine, potrebbe non bastare ad evitare un disastro che coinvolga un traffico civile”.

L’allarme è stato lanciato da tempo ma Governo, Regione ed enti locali non vedono, non sentono, non parlano. Il DC 9 abbattuto da un missile nel cielo di Ustica, il 27 giugno di 32 anni fa, è un ricordo sbiadito. Con i droni liberi di planare sulle teste dei siciliani è scattato il count down per l’ennesima strage di stato.

Antonio Mazzeo
Link: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/2012/07/guerra-ai-siciliani-con-i-droni-di.html
1.06.2012

Chi crea il denaro?

Al contrario di quanto usualmente si crede, non sono i governi a creare il denaro, nel sistema monetario attuale. Infatti, quando i proventi delle tasse sono inferiori alle spese sostenute, i governi hanno bisogno di chiedere in prestito il denaro dal pubblico attraverso il mercato delle obbligazioni, od attraverso il sistema bancario.
Il denaro è in realtà creato dal sistema bancario. Il sistema bancario di uno stato include le banche e la banca centrale che supervisiona le banche incorporate nella sua giurisdizione. Nel caso degli Stati Uniti, la banca centrale è la Federal Reserve (nel caso dell’Italia, la banca centrale è la BCE, n.d.IxR).
In breve, si produce nuovo denaro ogni volta che un prestito è approvato dal sistema bancario sia verso il settore pubblico che quello privato. E’ chiamata “moneta fiat”, o moneta a corso legale, (il termine deriva dal latino Fiat, “che sia fatto”) perché è denaro “creato dal nulla”. Siccome solo una piccola parte del denaro proviene dai depositi bancari (tipicamente meno del 10%), il resto (più del 90%) è creato attraverso la riserva frazionaria. Ciò significa che solo una piccola parte del denaro prestato ha origine nei depositi della banca.
Traduzione: Fabio A.
Bernard Lietaer (nato nel 1942 a LauweBelgio) è un economista, scrittore e professore. Studia i sistemi monetari e promuove l’idea che le comunità possano beneficiare dalla creazione della loro moneta locale, o complementare, che circoli in parallelo con la moneta nazionale.
 

Forte terremoto nello Ionio tremano Sicila e Calabria

4 luglio 2012 - alle ore 11:12 UTC (13:12 italiane) un terremoto di magnitudo 4,8 della scala richter ha colpito nel mar Ionio ad est della costa Siciliana, ad una profondita' di 40 km,epicentro localizzato a 74 km SE da Brancaleone,Sicilia,e 116 km SE da Reggio Calabria, la scossa tellurica e' stata avvertita distintamente dalle popolazioni che si affacciano sulla costa orientale siciliana e calabra.
Emsc
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