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Tennessee: una casa con piscina rischia di sprofondare in una voragine

10 Dicembre 2011 - Tennessee - Una voragine si e' aperta e sta inghiottendo la loro piscina.
La famiglia Thelan e' stata svegliata Mercoledi' notte da un boato provocato dal crollo avvenuto all'interno della loro piscina dove si e' formata un enorme voragine,un sinkhole che nel pomeriggio di giovedi' aveva raggiunto le dimensioni di 10 metri di diametro e che adesso minaccia l'intera abitazione. La famiglia e' stata costretta ad allontanarsi dalla casa e trovare ricovero verso parenti.Queste voragini note anche come sinkhole (in inglese) sono delle depressioni solitamente di origine naturale della terra che si possono formare improvvisamente oppure gradualmente,la maggior parte delle quali di origine erosiva ma possono anche rappresentare un segno del cambiamento geologico della terra in atto su scala planetaria.-Daily Mail
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Un terremoto in Birmania innesca una serie di eruzioni vulcaniche!

10 Dicembre 2011 - Birmania - un terremoto nella regione del Rakhine ha provocato un aumento delle temperature delle acque sotterranee innescando una serie di eruzioni vulcaniche di fango.e magma.
Secondo un geologo in pensione Soe Thein i vulcani, che sono dislocati sull'isola di Ramree, si trovano tutti lungo una linea di faglia che quando si sposta, il magma sotto la crosta terrestre, tende a riscaldarne le acque generando forti emissioni di fango e magma,ma che non rappresentano un pericolo per le popolazioni locali. Lo scorso 26 Novembre un'altra esplosione vulcanica e' avvenuta sull'isola,una fontana di fango e magma si e' sprigionata ricoprendo 5 ettari di terreno.Le ultime sono avvenute nel 1990 e nel 2000,molto presumibilmente il terremoto del 21 Novembre scorso e' legato all'aumeto dei fenomeni esplosivi sull'isola.

Il terremoto di Haiti innescato dalla deforestazione e dagli uragani?

LIVORNO. La deforestazione e l'erosione dei suoli, provocata dagli uragani, potrebbero aver contribuito ad innescare il devastante terremoto che nel 2010 ha colpito Haiti, facendo 200.000 vittime, e lasciando in ginocchio il più povero Paese delle Americhe. A dirlo è il geologo statunitense Shimon Wdowinski, che con i suoi colleghi dell'università di Miami ha studiato la crosta terrestre nella zona di Port au Prrince dopo il sisma del 12 gennaio 2010. I risultati della ricerca sono stati presentati la scorsa settimana a San Francisco al meeting dell'American geophysical union e Wdowinski ed i suoi colleghi sono convinti che la ridistribuzione dei sedimenti dalle montagne alla pianura del delta del fiume Leogane, causata da due violente tempeste principali tropicale e da due grandi uragani che hanno colpito violentemente Haiti nel 2008, potrebbe essere stata sufficiente a innescare la scossa catastrofica. Il disboscamento quasi totale delle colline avrebbe aggravato l'erosione dalle tempeste.
Le ricerche dell'università di Miami sono riassunte su Weather Underground's WunderBlog da Jeff Masters: «Wdowinsky ha calcolato che la quantità di massa erosa dalle montagne sopra l'epicentro del terremoto del 2010 è stata sufficiente a causare tensioni della crosta terrestre in grado di provocare uno slittamento verticale orientato lungo una faglia fino ad allora sconosciuta. Questo tipo di movimento è piuttosto insolito in questa regione, dato che la maggior parte delle scosse ad Haiti tendono ad essere del tipo "strike-slip", dove le placche tettoniche scorrono orizzontalmente l'una sull'altra. Il fatto che il terremoto del 2010 ad Haiti si sia verificato lungo una faglia in movimento verticale consente di sostenere l'idea che lo slittamento è stato attivato a causa di una massa scesa dalle montagne sopra l'epicentro a causa dell'erosione, combinata al peso extra dei sedimenti in più depositati nel delta del fiume Leogane nel settore settentrionale della faglia»
Wdowinski cita due esempi di fenomeni simili: quello di Taiwan, dove terremoti hanno fatto seguito a forti tempeste che hanno scaricato grandi quantità di pioggia nelle zone di montagna, ed i terremoti sottomarini di magnitudo 4, 5 e 6 collegati al fenomeno climatico di El Niño ed allo spostamento di masse d'acqua che provoca.
A sostegno delle loro tesi i ricercatori statunitensi hanno portato le due foto che vi mostriamo: Figura 1. un'immagine di Haiti ripresa l'8 Novembre 2010 che mostra la capitale Port au Prince e la regione montuosa ad ovest, dove si è verificato l'epicentro del terremoto del 2010. Notare il colore marrone delle montagne, spogliate dalla vegetazione, con le pendici lasciate nude dal disboscamento e sottoposte ad una fortissima erosione. Gli uragani e le piogge torrenziali degli ultimi anni hanno così potuto trasportare a nord, nel delta del Leogane, enormi quantità di sedimenti. Figura 2. La foto è proprio un particolare del delta del Leogane e dimostra la grande espansione del delta tra il 2002 e il 2010. Un'elevata quantità di sedimenti è stata erosa dalle montagne disboscate di Haiti e depositata nel delta. Anche il corso del fiume si è allargato dopo il passaggio dell'uragano Tomas nel 2010, ma il fiume aveva già "caricato" l'area dell'epicentro del terremoto con enormi quantità di sedimenti con le quattro tempeste del 2008: Fay, Gustav, Hanna e Ike.
L'area montuosa a sud-ovest di Haiti negli ultimi decenni è stata deforestata per il 98% della sua superficie, causando un'erosione estrema. Dal 1975, il tasso di erosione di queste montagne è stato 6 mm/anno, rispetto al normale tasso di erosione inferiore a 1 mm/anno nelle foreste montane tropicali. Un disastro ambientale che nel 2008 provocò la morte di 1.000 persone e la distruzione di 22.702 abitazioni, con il danneggiamento di altre 84.625. Alluvioni e frane colpirono 800.000 persone, l'8% della popolazione di Haiti e l'alluvione spazzò via il 70% dei raccolti di Haiti, causando nei mesi successivi le tempeste la morte di decine di morti di bambini per malnutrizione. I danni furono stimati in oltre un miliardo di dollari, fino ad allora il più costoso disastro naturale della storia di Haiti: oltre il 5% del Pil del Paese (17 miliardi di dollari). Tragicamente, gli uragani del 2008 potrebbe aver preparato il più grande disastro mai avvenuto ad Haiti: il terremoto del 2010.
La teoria di Wdowinsky e degli altri ricercatori dell'università di Miami che collegano le scosse di terremoto al passaggio di cicloni in aree "indebolite" viene presa seriamente in considerazione e rappresenta un altro ottimo motivo per frenare la deforestazione selvaggia provocata dall'ingordigia di pochi e dalla miseria di molti.

Le tempeste solari stanno erodendo la superficie lunare!


Secondo un nuovo set di simulazioni effettuate da scienziati della NASA, le tempeste solari e le Espulsioni Coronali di Massa (CMEs) possono erodere la superficie lunare. I ricercatori speculano che non solo questi fenomeni contribuiscono massicciamente all'erosione della superficie solare, ma potrebbero anche causare la dispersione dell'atmosfera di pianeti senza un forte campo magnetico globale, come Marte.

Il team, guidato da Rosemary Killen del Goddard Space Flight Center, ha preparato diverse pubblicazioni scientifiche in cui vengono esplorati diversi aspetti di questi fenomeni e che verranno pubblicati nel prossimo numero del "Journal of Geophysical Research Planets". La ricerca del team è stata anche presentata questa settimana durante la riunione della American Geophysical Union.

Un'espulsione di massa coronale (CME, acronimo dell'inglese coronal mass ejection) è una espulsione di materiale dalla corona solare sotto forma di plasma è costituito principalmente da elettroni e protoni (oltre a piccole quantità di elementi più pesanti come elio, ossigeno e ferro), che viene trascinato dal campo magnetico della corona per poi essere sprigionato nello spazio. La velocità a cui il materiale viene rilasciato arriva a ben 1.6 milioni di km/h e può contenere anche un miliardo di tonnellata di plasma in una bolla grande diverse volte la Terra.
La nostra luna ha solo pallidissime tracce di un'atmosfera, chiamata tecnicamente esosfera. La mancanza di una significante atmosfera, insieme alla mancanza di un campo magnetico globale, rendono la superficie lunare del tutto esposta a queste massicce dosi di materiale che viene rilasciato dal Sole durante le CME.

William Farrell, a capo del DREAM (Dynamic Response of the Environment of the Moon), un team di scienziati che studia l'interazione tra la Luna e lo spazio esterno, ha dichiarato "Abbiamo scoperto che quando questa massiccia nube di plasma colpisce la luna agisce riesce a rimuovere facilmente materiale volatile dalla superficie. Il modello ha predetto che tra 100 e 200 tonnellate di materiale lunare viene strappato via dalla superficie del nostro satellite durante il tipico passaggio di 2 giorni di una CME."

Se da una parte abbiamo da molti anni studiato in dettaglio le CME e la loro interazione con la Terra, la ricerca di Farrell e la prima che viene fatta per studiare gli effetti di una CME sulla Luna. "Collegare insieme i vari modelli presenti per mimare le condizioni durante le tempeste solari è un grande obbiettivo per il progetto DREAM" ha aggiunto Farrell.

Quando un intenso calore o la radiazione è applicata al gas, gli elettroni possono essere rimossi, trasformando atomi in ioni. Questo processo è chiamato "ionizzazione" e crea la quarta forma di materia, conosciuta come plasma. L'intenso calore del nostro Sole e la sua radiazione eccita le emissioni gassose, creando così un vento solare fatto di plasma di particelle cariche. Quando gli ioni di plasma espellono atomi dalla superficie, il processo viene chiamato "sputtering". (letteralmente "spruzzamento").

L'autrice principale della ricerca, Rosemary Killen, ha descritto questo fenomeno così: "Lo sputtering è tra i cinque processi principali che creano l'esosfera della Luna sotto condizioni solari normali, ma il nostro modello predice che durante una CME, diventa il metodo dominante di gran lunga, con fino a 50 volte la potenza dei altri processi."

Per cercare di approfondire maggiormente queste dinamiche, la NASA sta preparando una missione chiamata LADEE (Lunar Atmosphere and Dust Environment Explorer). La missione sarà lanciata nel 2013 in orbita lunare ed il team è fiducioso che il forte effetto di sputtering getterà molti atomi dalla superficie lunare fino all'altitudine orbitale di LADEE (da 20 a 50 km).

Farrell ha inoltre aggiunto che "Questo enorme effetto di sputtering osservato durante le CME renderà LADEE quasi un esploratore della mineralogia lunare, non perché LADEE è sulla superficie, ma perché durante le tempeste lunari, gli atomi della superficie sono spediti in alto fino all'orbiter LADEE."

Le tempeste solari ovviamente non toccano solo la Luna ma anche il campo magnetico terrestre e sono la fonde delle spettacolari luci del nord e del sud (le aurore). Gli effetti di questa ricerca però, più che estendersi all'impatto che questi fenomeni hanno sulla Terra, si estenderanno all'impatto che hanno su Marte, che manca di un campo magnetico notevole. Si teorizza che questa mancanza permetta al vento solare e alle CME di erodere massicciamente l'atmosfera marziana. Nel 2013 quindi, oltre a LADEE, la NASA lancerà anche un'altra missione, chiamata MAVEN, che sarà un orbiter Marziano che dovrà aiutare i ricercatori a meglio comprendere come l'attività solare, inclusi i CME possono influenzare l'atmosfera del pianeta rosso.
http://lunarscience.nasa.gov/

Scoperti buchi neri di dimensioni record!

C’è un nuovo record nell’ Universo. Appartiene a due buchi neri, i più grandi mai rilevati con misurazioni astronomiche dirette: la loro massa, infatti, è quasi dieci miliardi di volte quella del Sole. Si tratta di buchi neri ospitati in galassie relativamente vicine alla Terra, ed è per questo che la scoperta desta stupore. Sino a oggi, infatti, l’esistenza di buchi neri così grandi era stata ipotizzata solo nelle galassie più lontane, per esempio nelle quasar originatesi nei primi istanti di vita del Cosmo. Per descrivere un buco nero basta l’aggettivo che lo accompagna: una regione dello Spazio invisibile agli occhi. La sua gravità è talmente grande da comprimere la materia che lo costituisce sino a una densità infinita, raggiungendo uno stato fisico che non ha eguali nell’Universo. L’elevata attrazione gravitazionale di un buco nero, poi, non permette a niente (compresa la luce) di sfuggirgli: tutto viene risucchiato al suo interno. Ecco perché, nonostante sia invisibile, la presenza di un buco nero (e le sue proprietà) è dedotta osservando gli effetti che il suo campo gravitazionale provoca sulla materia circostante. Per esempio, il calcolo della massa di un buco nero può esser fatto basandosi sulla velocità delle stelle che gli orbitano attorno.

È quello che ha fatto un gruppo di ricerca coordinato da Nicholas J.McConnell della University of California, Berkeley (Usa). I ricercatori si sono concentrati su due galassie relativamente vicine alla Terra, una condizione che ha permesso di effettuare misurazioni dirette sulla velocità delle loro stelle. Si tratta di NGC 3842, la più luminosa tra le galassie appartenenti a un gruppo distante circa 320 milioni di anni luce dal nostro Pianeta, e NGC 4889, la più brillante del Coma Cluster, un gruppo di galassie lontane dalla Terra quasi 336 milioni di anni luce. Grazie ai dati ottenuti con il Telescopio Spaziale della Nasa Hubble e altri telescopi montati a terra, i ricercatori hanno ottenuto preziose informazioni circa la distribuzione delle stelle nelle due galassie. Utilizzando gli spettrografi dei telescopi hawaiani Gemini North e Keck 2, poi, sono anche risaliti alle velocità stellari.

Utilizzando questi dati, come spiegato nello studio in pubblicazione su Nature questa settimana, i ricercatori hanno quindi stimato la massa di buchi neri all’interno delle due galassie. Da qui la sorpresa: NGC 3842 e NGC 4889 ospitano al loro interno due buchi neri grandi, rispettivamente, 9,7 e 9,8 miliardi di volte la massa del Sole. Un record che batte il precedente, quello della galassia gigante Messier 87 che possiede un buco nero 6,8 miliardi di volte il Sole. Questi risultati superano le predizioni teoriche derivate dall’analisi della velocità di dispersione e della luminosità delle galassie, le metodologie di calcolo più diffuse per la stima della dimensione dei buchi neri. Sebbene questi metodi possano essere applicati efficacemente alle piccole galassie, suggeriscono i ricercatori, non vanno bene per descrivere i processi che influenzano la crescita delle galassie massicce e dei loro buchi neri.
Via: Wired.it

Una nuova luce arriva dalla Via Lattea

Quando si tenta di guardare il cielo stellato in città, spesso non si scorgono che le stelle più brillanti, per via dall’inquinamento luminoso. Una cosa simile succede anche agli astronomi che vogliono osservare la Via Lattea da un punto vicino al Sole: alcune radiazioni sono impossibili da individuare. Per questo bisogna allontanarsi il più possibile. È quello che hanno fatto i ricercatori del Centre national de la recherche scientifique (Cnrs) francese, che hanno preso in prestito gli occhi di due famose sonde della Nasa, ora in viaggio verso i confini del Sistema Solare: le Voyager.
La radiazione cercata si chiama Lyman-alpha e viene usata in generale per studiare il tasso di formazione delle stelle nelle galassie. Prima di questo studio, però, l’emissione Lyman-alpha della nostra Via Lattea non era mai stata osservata. Questo il motivo per cui la ricerca si è meritata le pagine di Science.
La radiazione, emessa nell’ultravioletto, è generata dall’idrogeno. In particolare, si osserva quando questo elemento passa da uno stato con energia più alta del normale (primo stato eccitato) allo stato di energia più bassa (stato fondamentale). Il motivo per cui gli astronomi considerano l’emissione come un indicatore del tasso di formazione di nuove stelle è che questa si presenta più spesso nel sistemi stellari molto giovani. Qui, infatti, i corpi più caldi emettono grandi quantità di radiazione che possono eccitare l’idrogeno; l’elemento eccitato è però instabile, e tenderà a tornare nello stato fondamentale, rilasciando energia sotto forma di radiazione Lyman-alpha, appunto.
Se è semplice osservare queste radiazioni per le galassie lontane, lo è meno se si cercano nella propria. Per un effetto chiamato Doppler, infatti, quando si vanno a osservare le emissioni luminose di corpi che si stanno avvicinando o allontanando, queste risultano avere frequenze diverse dal normale, e sono quindi più facilmente riconoscibili. Lo stesso effetto, però, non è abbastanza evidente quando guardiamo troppo vicino. Inoltre, il Sistema Solare è “pieno” di radiazioni, almeno fino a una certa distanza dal Sole, oltre la quale non arriva più il vento solare (il gas ionizzato di protoni, elettroni e nuclei d’elio emesso dalla stella). Quest’ultimo è proprio la causa della difficoltà nell’osservazione della radiazione Lyman-alpha prodotta dalla Via Lattea: i fotoni che viaggiano nel nostro sistema planetario, infatti, quando incontrano le particelle contenute nel vento solare vengono assorbiti da esse, e poi emessi nuovamente a una frequenza identica a quella della radiazione tanto cercata dagli astronomi, nascondendola.
A una certa distanza dalla stella, questo effetto si riduce molto ed è dunque più semplice scorgere la radiazione Lyman-alpha. Ecco perché i quattro scanner montati sulle sonde Voyager (che oggi si trovano all’incirca alla distanza media di Plutone dal Sole) hanno potuto fornire ai ricercatori i dati necessari al loro studio. La speranza, a questo punto, è che le sonde possano continuare ad inviare dati. “Il sistema elettrico che fornisce energia alle sonde si sta pian piano spegnendo. Proprio nel momento in cui la radiazione Lyman-alpha diventa più facilmente osservabile, sta finendo la corrente”, ha spiegato l’astronomo Jeffrey Linsky, dell'Università del Colorado, in un commento alla ricerca del Cnrs, pubblicato sempre su Science: “L’unico strumento presente sulla sonda Voyager 2 si è già spento, e anche gli altri tre scanner presenti su Voyager 1 cominciano ad avere difficoltà. Speriamo solo che quando la sonda raggiungerà finalmente lo Spazio libero dal vento solare – cosa che succederà in un momento non meglio precisato dei prossimi dieci anni – la strumentazione possa essere ancora attiva. Se così fosse, c’è da aspettarsi un bel po’ di scoperte”.
Riferimenti: Science doi: 10.1126/science.1197340; doi: 10.1126/science.1200166
Credit per l'immagine: Nasa

La California trema tre volte in 24 ore!

10 Dicembre 2011 - Tre terremoti hanno fatto tremare il nord della California ma i geologi ritengono che non siano direttamente collegati.


Sappiamo tutti che la California e' una regione ad altissimo rischio sismico e qualsiasi segnale potrebbe essere un evento precursore di uno maggiore.
Un terremoto di magnitudo 4,0 ha colpito intorno alle ore 9:10 pm a 85 miglia a sud ovest da Eureka il sisma e' stato localizzato a circa 1,2 miglia sotto il fondo oceanico.Un altro evento e' stato registrato di 3,3 di magnitudo circa a 25 miglia nord da Santa Rosa nella zona dei Gayser dove sono stato registrato un considerevole aumento delle temperature,l'atro sisma e stato registrato a 25 miglia a sud da Eureka.
David Swartz geologo dell USGS afferma che e' difficile affermare che ci sia una causa effetto che possa collegare i 3 eventi sismici che sono stati di cosi debole intensita' da non destare alcuna preoccupazione- SF GATE

 


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