Scie chimiche: “A Malpensa tutti lo sanno ma nessuno parla”

Aerei fantasma che spengono il Transponder e spariscono dai radar passivi delle torri di controllo. Voli civili che di colpo, varcato lo spazio aereo italiano,
vengono configurati come voli militari. E ancora: velivoli che da qualche anno vengono caricati in modo anomalo, con i bagagli non più nelle stive di coda. Ma soprattutto: aerei che, una volta a terra, perdono liquidi strani, da misteriosi tubicini, appena il loro contenuto si scongela.



Scie chimiche? Ebbene sì. Ne parla, in una clamorosa video-denuncia, un operatore aeroportuale di Milano-Malpensa. Si chiama Enrico Gianini, e sa che le sue dichiarazioni potrebbero costargli il posto di lavoro. E’ addetto al carico e scarico dei bagagli sugli aerei di linea. Si è convinto che i jet emettano scie chimiche, probabilmente miscelando acqua “addizionata” con cristalli minerali.
Accusa: tutti sanno, a Malpensa. «Piloti, controllori di volo, meccanici. Persino la polizia aeroportuale». Tutti sanno, ma nessuno parla.


Dice: ci sono di mezzo i servizi segreti, si rischia grosso. Premette: «Voglio fare un appunto a chi vedrà questo video e vorrà portarmi in tribunale. Noi lavoriamo 8 ore al giorno sotto quegli aerei. Siamo immersi in un bagno chimico, non sappiamo neanche di che cosa si tratta». Avverte: «Se qualcuno viene fuori con qualsiasi minaccia giuridica, io vi metterò in condizioni di dover spiegare, a tutti gli aeroportuali e al popolo italiano, come mai i vostri aerei sversano sostanze chimiche sul piazzale senza permesso. Non mi interessa il cielo: basta solo il piazzale».


Gianini lavora a Malpensa dal 1998. Nella questione è “inciampato” tra il 2004 e il 2005, prima ancora che Alitalia trasferisse la flotta a Fiumicino. «Ho cominciato a vedere che le scie erano davvero tante. Troppe. Chiedevo spiegazioni, in aeroporto, ma mi dicevano che il traffico era aumentato. La logica era: più aerei, più scie». Via web, contatta Rosario Marcianò, gestore del sito “Tanker Enemy” che documenta la presenza di scie anomale nei nostri cieli. «Ho cominciato a non dar retta più ai meccanici», racconta Gianini, nel video, caricato su YouTube. «Le loro spiegazioni erano prive di riscontri logici». Sugli aerei, spiega, ci sono speciali condotti per lo scolo delle acque di condensa che si formano tra i piani mobili delle ali. Sono posizionati in vari punti, soprattutto vicino ai reattori. Possono servire a convogliare l’acqua e i vapori dell’olio. «Spiegazioni che all’inizio avevo preso per buone», ammette Gianini. «Ma i cieli erano sempre più pieni di scie bianche». Un giorno, sulla piazzola di servizio arriva un Boeing 767 di una compagnia charter. «Su tutti e due i motori, all’interno, di fronte alle pale delle eliche del reattore, avevano installati dei Tubi di Pitot. Un accrocchio quasi artigianale, certo non una cosa uscita dalla fabbrica. E su quell’aereo ne ho trovati mi pare 4, di diverse misure e altezze». Una stranezza, che all’operatore non sfugge: a che servono, quei tubi?
Si stupisce, Gianini, che i tecnici controllino il consumo delle pale dei reattori, sugli Airbus 321, nella parte più vicina alla carena. «Mi si è accesa la lampadina: mi son ricordato dell’aereo che m’era arrivato in piazzola qualche settimana prima», il Boeing 737. «Guardo nel reattore e vedo due protuberanze, che loro dicono essere dei sensori antincendio del reattore. Ma non ha senso, perché l’antincendio dovrebbe essere nel corpo centrale del reattore, non sulle pale esterne. E il sensore cosa deve misurare? Lì l’aria passa a velocità allucinanti…». Il tecnico si allontana dall’Airbus, e Gianini ha via libera: «Metto la mano dietro questo sensore e sento tre buchi, larghi sui 6-7 millimetri. Allora, da lì ho detto: forse Rosario Marcianò ha ragione». Dai filmati su YouTube, l’operatore scopre che le scie bianche fuoriescono dai motori, in due punti ben distinti: uno sopra e l’altro sotto. «Torno a esaminare i motori sul piazzale. Sotto c’è davvero lo scarico dell’olio. Ma non c’è una legge che mi impedisce di far passare nello scarico dell’olio un’altra sostanza. Quindi: il buco c’è, e da lì esce qualcosa che non è olio, perché sui filmati si vede».


Poi ci sono i famosi scoli dell’acqua, che ricevono i liquidi di condensa, oppure la pioggia: acqua che l’aereo scarica dai piani mobili delle ali. «Solo che, per capire se esce qualcosa da quei tubicini, dovevo trovare delle giornate dove le condizioni meteo fossero state tali da non causare condensa col carburante residuo all’interno dell’ala». Funziona così: «L’aereo vola, il carburante raggiunge temperature sotto zero, poi atterra in una zona calda. Si forma della condensa, corre sull’ala e viene intercettata da questi tubi e scaricata». Esce liquido, d’accordo, ma non è la prova di niente. «Un giorno – racconta Enrico Gianini – mentre scarico un aereo proveniente da Londra, subito dietro arriva il “Charles de Gaulle”», volo proveniente da Parigi, 5 minuti dopo. «Il Londra grondava di brutto. Giornata serena, senza una nuvola, e veniva giù di tutto. Ho detto: ma dove l’ha presa, tutta quest’acqua? Per salutare un collega, sono passato sotto il “Charles de Gaulle”, che aveva fatto praticamente la stessa aerovia. Il “Charles de Gaulle” era asciutto».
Rilevare lo sgocciolamento di quei tubi è difficile, sostiene Gianini, perché – immagina – quello «è un lavoro che viene fatto in pressione, quindi il liquido non cola fuori ma viene spinto fuori e nebulizzato». Un gocciolamento lieve, una volta a terra, con poco materiale reperibile. «Ma in questo caso mi sono venuti in aiuto i tecnici», racconta. «Perché gli aerei, in quegli anni, non spruzzavano abbastanza. Allora hanno cominciato a trovare diversi sistemi, diversi uno dall’altro, da provare sul campo.
Stiamo parlando di una tecnologia che non è stata progettata ad hoc per fare questo tipo di lavoro. E’ stata ingegnerizzata sul campo, a partire dal 2000», modificando cioè gli aerei in servizio. Oggi invece «escono già dalla fabbrica “a posto”, con tutti i i mezzi per fare questo tipo di lavoro: Airbus, Boeing, tutti.Ma siccome non è stato progettato, quel sistema lì, ha una falla. E quella falla mi ha permesso di reperire dei campioni», rivela Gianini. «Quando hanno aperto i buchi sotto la fusoliera degli Airbus, anche dei Boeing ma specialmente degli Airbus, non hanno calcolato (questa è la mia opinione personale) che nei tubi dove correva questo liquido potevano esserci dei fenomeni di congelamento. Poi quando l’aereo atterra il ghiaccio si scioglie, ed esce il liquido. E quindi ne abbiamo recuperato abbastanza per poter capire di che cosa si trattava».


Il liquido che fuoriesce da quei tubi, dichiara Gianini, «è una soluzione acquosa con dentro dei cristalli minerali». L’operatore aeroportuale si domanda «come facciano a caricare le polveri», perché invece l’acqua viene caricata in aeroporto: ogni velivolo ne accoglie «centinaia di litri». Deduzione: «Mi viene da pensare che loro carichino solo la polvere, che poi verrebbe miscelata addirittura a bordo. Questo – aggiunge – spiegherebbe anche la sindrome aerotossica: se quel sistema va in default, si rischia l’intossicazione del personale e dei passeggeri». Il problema, aggiunge, gli si è ripresentato sotto un’altra forma: la strana modalità di carico di bagagli e merci.




«La prima volta che sono stato sul piazzale – ricorda – c’erano gli Md-80 di Alitalia», fabbricati da McDonnell Douglas. «Noi caricavano prima il bagagliaio nella stiva 5, che è la più posteriore, poi la 4, la merce alla 3, la posta alla 2. Nella 1, solo il bagaglio dell’equipaggio. Quello era il carico standard dell’Md-80 Alitalia, fino al de-hubbing». Di recente, a Gianini è capitato di occuparsi ancora di aerei Md-80, non più Alitalia ma di una compagnia charter, scoprendo cheil sistema di carico è radicalmente cambiato: bagagli avanti, anziché in fondo.





«Le prime compagnie low cost (Volare, Air Europe) caricavano sempre il bagaglio a partire dalla coda, perché l’aereo deve viaggiare sempre col muso rivolto verso l’alto», dai 5 ai 10 gradi di inclinazione. «Se non viaggia così, i consumi aumentano in maniera considerevole, e una low cost che aumenta i consumi non ha senso». Inoltre, l’aereo diventa più stabile: «Se invece viaggia orizzontale, qualsiasi turbolenza lo fa beccheggiare». Fino agli Airbus 319, dice Gianini, gli aerei si caricavano a partire dalla coda. Sull’Airbus 320 invece no: «Tutto il peso è davanti. Perché?». Non ha senso, ragiona l’operatore. «Dietro è vuoto. Il 320 è più lungo del 319, e io devo mettere tutto il peso davanti». Idem, per le compagnie low cost che usano i Boeing 737-800, nonché i modelli superiori o inferiori: caricano quasi tutto davanti. «Anche le charter che fanno i voli che vanno in Africa prima caricavano a tappo la stiva dietro, adesso dividono il carico: ti dicono quanti bagagli dietro e quanti davanti. Mi dicono “80 bagagli dietro”, mentre prima erano 120. Quindi – conclude Gianini – emerge che questi aerei sembra che abbiano del peso, in coda, non dichiarato».


A sostegno di questa tesi, Enrico Gianini aggiunge un racconto: «Quando la nostra azienda ha dato degli incentivi per “esodare” il personale, per fare un “refresh”, in un reparto di 20 persone, in 16 su 20 hanno chiesto l’incentivo per l’abbandono del posto di lavoro. E il reparto era Weight and Balance, il reparto di bilanciamento. Ammetterete che la coincidenza è davvero forte: se in 16 se ne vogliono andare via da un reparto che fa il bilanciamento dell’aeromobile, mi vien da pensare che dovevano tener conto di tolleranze che non erano dichiarate in maniera troppo cristallina». In aviazione le tolleranze in genere sono tre, riassume Gianini: una leggera, una più seria e una invalicabile. «La prima la posso superare in caso di necessità: avverto il comandante, che può “rognare” ma alla fine deve partire lo stesso. La seconda la posso superare se ho il permesso esplicito del comandante, perché vuol dire che vado a intaccare non dico la sicurezza dell’aeromobile, ma il lavoro della macchina, in maniera tale che il comandante lo deve correggere. Quindi è lui che deve decidere se vuol fare la correzione, se è possibile farla, e mi deve dare il nulla osta per farla. La terza tolleranza invece non si deve superare mai, perché è il margine di sicurezza».


Quando Alitalia ha fatto il de-hubbing, trasferendo la flotta da Malpensa a Fiumicino, di colpo è stata istituita una compagnia tedesca, chiamata Lufthansa Italia, che aveva in forza un congruo numero di Airbus 319. «Il bilanciamento di questi aeromobili veniva fatto da una società (mi dicevano, perché non ho potuto controllare) che risiedeva in Sudafrica», racconta Gianini. «Questa società ha creato enormi problemi a noi, sotto bordo, perché dava un bilanciamento spinto in una maniera… cioè, volevano 60 bagagli nella stiva anteriore del 319, quello che carichiamo ancora da dietro. Lufthansa Italia no, caricava tutto davanti. E volevano 60 bagagli (che non ci stanno – ce ne stanno al massimo 45-50). Volevano 60 bagagli davanti e assolutamente niente dietro. Cioè: c’era da rischiare di lasciare bagagli a terra, con la stiva dietro completamente vuota. Litigate infinite…». Per Enrico Gianini, questo del carico resta un giallo: c’è del peso non dichiarato, in coda? Ci sono serbatoi-fantasma? «Indipendentemente da dove arrivano, le scie, qualcuno mi deve spiegare perché la fisica, dal 2000 al 2018, è cambiata», se è vero che in coda non c’è peso non dichiarato, e quindi gli aerei volano benissimo, col muso all’insù, senza più dover appesantire la parte posteriore.


Con Rosario Marcianò di “Tanker Enemy”, Gianini ha parlato di un’ipotetica “pipeline Nato”, per il trasporto protetto di carburante destinato agli aeroporti. «Qui entriamo in un discorso di sicurezzanazionale, quindi dovete prendere per buono che il corridoio preferenziale c’è, ma non si sa bene qual è», premette l’operatore di Malpensa. «Noi abbiamo un oleodotto che parte dal porto di Genova e arriva fino alla raffineria di Trecate, che a mia memoria esiste da almeno 40 anni. Stranamente, nel 1990 – a 250 metri dalla raffineria – hanno aperto un pozzo di petrolio: vedi il caso», dice Gianini. «Addizionare i carburanti in aeroporto è praticamente quasi impossibile: non perché non si possa fare, ma perché le quantità in gioco sono talmente grandi che la cosa verrebbe all’occhio, diventerebbe visibile». Quindi, aggiunge, «mi sono dato questa spiegazione: che i maggiori componenti atti alla geoingegneria siano dentro il carburante, e sugli aerei vengano caricati solo i catalizzatori, che possono essere diversi, più le polveri (come ho visto io, nei liquidi sgocciolati dalla fusioliera)». Gianini ipotizza un’operazione «a più stadi». Impossibile sapere con precisione come funziona. «Se il componente aggiuntivo è più che altro acqua, io carico le polveri quando gli aerei sono in sosta e vanno in hangar per la manutenzione ordinaria», e così «metto quell’aereo in condizione di lavorare sulla geoingegneria per una settimana, due. Alla terza lo ricovero un’altra volta, e vado avanti così».


«Guardate che a Malpensa succede così», conferma Gianini. «Non dico quale compagnia lo fa, però succede: vanno in hangar tutte le sere 2-3 aerei a rotazione. Sono 20 in tutto, 3 al giorno. Fate voi i conti. Però, ripeto, è un’ipotesi». Ma non è tutto: «Su una compagnia a lungo raggio, che usa i Boeing 737-800, più di una volta ho trovato acqua in stiva. M’è successo 3-4 volte. Ho chiamato i meccanici. E quando un meccanico accantona scuse, c’è qualcosa che non va. Quindi ho capito che quell’acqua non doveva essere lì». Secondo Enrico Gianini, questo alimenta un sospetto: «Vuol dire che i sistemi di irrorazione non sono perfetti, ogni tanto hanno qualche “bug”, e quando ci sono i “bug” i comandanti si arrabbiano tantissimo, perché i tecnici non glielo dicono mai. E allora io, che sono un bastardo, lo dico direttamente al comandante. Così scende, lo vede, s’incazza come una bestia, però dopo vola lo stesso: perché sa che non può fare altro». Secondo Gianini, il comandante del Boeing «si fida dei percorsi progettati nelle macchine per far percolare i fluidi. Però non dovrebbe volare in quelle condizioni. Ma vola lo stesso (perlomeno: quello ha volato lo stesso)».


Domanda ineludibile: chi è al corrente di queste stranezze?
«Tutti i tecnici», secondo Enrico Gianini. «I controllori di volo lo sanno per un motivo molto semplice: non usano più i radar attivi, ma radar passivi. L’aereo deve trasmettere il segnale col Transponder. Ma se io spengo il Transponder e tu non hai più il radar attivo? Tu non mi vedi più. Se prendete “Fly Radar 24” e controllate tutti gli aerei che avete sopra la testa, ne troverete qualcuno che non vi appare. Però “Fly Radar 24” non usa il Transponder dell’aereo, usa un altro sistema – mi sembra che si chiami Adm. Ma nessuno mi impedisce di spegnere il Transponder, se ho il permesso dell’aeronautica militare. L’aeronautica mi vede perché ha i radar attivi».
Dunque i militari gestiscono parte del traffico? Quello degli aerei di linea che “spariscono”? «Con “Fly Radar” sono riuscito a capire che davano ai voli degli identificativi farlocchi», continua Gianini. «Mi è capitato una volta di vedere due voli con lo stesso identificativo che viaggiavano in parallelo.
Quelli sono errori secondo me voluti, per farci capire che c’è qualcosa che non va. Come fanno in America i piloti, che fanno le figure nel cielo. C’è qualcuno che ha disegnato degli organi genitali maschili, le faccine “smile”. Non si divertono, i piloti. Vi stanno dicendo: datevi da fare, perché noi non possiamo fare niente. Quindi: ci sono le elezioni? Rompete le palle a chi dovete votare. Chiedete di questa cosa, perché in aeroporto la sanno tutti».


Secondo Gianini «la sanno i controllori di volo, i piloti, e ovviamente chi fa il bilanciamento». Senza contare i tecnici: «Vuoi che i meccanici non lo sappiano?Lo devono sapere per forza. Perché se mi danno le spiegazioni sbagliate, e io capisco che sono sbagliate, vuol dire che lo sanno. In pratica è il segreto di Pulcinella. Lo sanno tutti, che il Re è nudo, ma qualcuno lo deve dire. Che io sappia, per adesso, sono il primo – il primo che lavora ancora lì, non so ancora per quanto (ma non mi interessa)». I colleghi “sordomuti”? «Capisco le pressioni: l’argomento è scomodo è molto pericoloso, perché di mezzo ci sono i servizi», afferma Gianini. «E quando di mezzo ci sono i servizi, il braccio armato del servizio segreto è sempre la mafia. Non si scappa: se fai una stupidata, presto o tardi la paghi. E quindi se ne stanno ben zitti, anche perché l’ambiente aeroportuale è teso al “cover up”», alla massima riservatezza d’ufficio, se non altro perché, oltretutto, «abbiamo problemi di terrorismo» e sicurezza in generale. In più c’è il codice deontologico: «Non possiamo trasgredire, pena il licenziamento. Sono tanti, i filtri. E alla fine, dopo, arrivi alle minacce. Penso che un meccanico, se si azzardasse a fare una dichiarazione del genere, verrebbe radiato in tempo zero». Conclude Gianini: «Non so cosa dire, è una cosa che c’è a livello globale. E una volta che lo sai, che fai? Lo dici alla polizia, anche se sai che gliel’hanno già detto? Io gliel’ho detto, alla polizia, però non han fatto niente. E ormai lo sanno da tanto».






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