La ricerca archeologica: misteri non svelati

hallazgo.submarino.cuba.estructuras.posible.atlantidaRitrovamenti che sfidano le convinzioni dell’archeologia convenzionale, la quale si trincera nelle proprie inconsistenti certezze. Anche la genetica,
scienza matematica della biologia, tenta di fare i conti con il patrimonio genetico dei reperti e ritrovamenti. Si mostra attratta dall’ipotesi del DNA di provenienza non umana e di cui anche gli esseri umani ne portano un consistente patrimonio
Scrivere un percorso definito e certo del divenire umano, come scolasticamente c’è stato insegnato, sarebbe davvero rassicurante. Purtroppo – o per fortuna – tutti ritrovamenti di resti umani ci portano a considerare che la storia di questo pianeta sia davvero tutta da riscrivere anche se, per alcuni, considerare anche solo la possibilità che il percorso darwiniano sia completamente da rivedere potrebbe risultare destabilizzante. Ormai non è più possibile negare le evidenze che l’archeologia sta portando in luce e, per capire meglio la portata di quello che stiamo via via scoprendo, vale la pena di riassumere brevemente quello che fino ad ora, e tuttora, i testi canonici riportano come cronologia del nostro passato.
Le suddivisioni storiche ufficiali
Una ricostruzione dell'Homo sapiens.
Una ricostruzione dell’Homo sapiens.
 Prendiamo per prima cosa in considerazione il periodo pre-diluviano, che lo studioso Fernard Crombrette colloca nel 2348 a.C, partendo dalla cosiddetta Età della Pietra, anche denominata Paleolitico, diviso in:
– inferiore, caratterizzato dalla scheggiatura della pietra grossolana, la scoperta del fuoco ed i primi rudimentali attrezzi per la caccia e ufficialmente terminato circa 120.000 A.C.;
– medio, con la comparsa di oggetti più raffinati, giavellotti, strumenti musicali ed una primordiale organizzazione religiosa, terminato nel 30.000 A.C;
– superiore, durato fino a 10.000 anni fa, che vede l’ufficiale comparsa dell’Homo Sapiens Sapiens, con incisioni rupestri, l’uso del legno e dell’osso, monili ed una organizzazione sociale.
Al Paleolitico, sempre secondo la storia ufficiale (riprendo e cito passi dell’enciclopedia Treccani) segue il Neolitico in cui l’uomo, in seguito alla fine della glaciazione, da cacciatore e raccoglitore si trasformò in produttore di cibo, con l’agricoltura, l’allevamento e la pesca. Nacquero la filatura e la tessitura; si diffuse la costruzione di palafitte e di tombe a tumulo talvolta appoggiate a grandi pietre, i megaliti. In campo religioso si sviluppò il culto della Madre Terra, legato all’agricoltura: la divinità era femminile, forse perché erano le donne a lavorare la terra. Questa epoca è stata dichiarata a termine nel 2.000 a.C., sempre secondo la versione ufficiale, momento in cui finisce la preistoria ed “inizia” la storia.
Due città sommerse datate 200.00 anni fa
Ben diversa è l’evidenza che nasce dalle recenti scoperte di due città sommerse. La prima, una città urbanisticamente ordinata e costruita con blocchi di pietra sui quali compaiono scritte arcaiche, si trova nel Mar dei Caraibi, tra la penisola cubana di Guanahacabiles e lo stato messicano dello Yucatan, parzialmente ricoperta dalla sabbia, ad una profondità di 650 metri.
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La città scoperta dall’ingegnere russo Paulina Zelisky al largo di Cuba.
L’estensione di tale insediamento è di 7 chilometri quadrati, atta quindi ad ospitare un gran numero di abitanti. La scoperta è frutto degli studi e delle ricerche dell’equipe canadese-cubana, guidata dall’ing. russo Paulina Zelinsky, con l’aiuto della nave oceanografica “Ulisse” dell’Accademia delle Scienze di Cuba. Tutto questo non sarebbe di per sé significativo se non fosse per la datazione del complesso valutata intorno a 200.000 anni fa.
A questo ritrovamento si aggiunge quello più recente fatto in una zona del Sud Africa, circa 280 kilometri verso l’interno, ad ovest del porto di Maputo (la capitale del Mozambico). Sono i resti di una grande metropoli che misurava, secondo stime prudenti, circa 5000 kilometri quadrati. Faceva parte di una comunità ancora più ampia, di circa 35.000 chilometri quadrati, che sembra essere stata costruita dal 160.000 al 200.000 a.C.
Un altro capitolo si potrebbe riservare ai cosiddetti Oopart (dall’inglese Out Of Place ARTifacts, manufatti fuori posto), oggetti e costruzioni che sembrerebbero essere completamente fuori dal contesto storico in cui avrebbero dovuto essere prodotti. Su di essi si disquisisce da tempo senza, peraltro, trovare un accordo. La bibliografia riguardo, su Internet, è particolarmente vasta.
2000 a.C.: reperti radioattivi?
Vorremmo qui limitarci a dati scientificamente dimostrati, come, per esempio, le analisi che sono state compiute sul terreno delle zone limitrofe al Mar Morto e in India, a Mohenjo Daro,
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Mohenjo Daro, la “collina dei morti”, dove sono stati trovati scheletri radioattivi.
antica sede di una civiltà repentinamente scomparsa, che aveva una scrittura di tipo pittografico dal significato ancora sconosciuto e dove si indossavano abiti di cotone; il luogo è chiamato la Collina dei Morti e lì si trovano degli scheletri “estremamente radioattivi”, con tracce di carbonizzazione e calcinazione: sono resti di uomini, donne e bambini e non di guerrieri morti in battaglia. Il terreno presenta una evidente vetrificazione. Alcuni campioni di argilla di manufatti raccolti da David Davemport e Ettore Vincenti (autori di 2000 a.C. Distruzione Atomica) e sottoposti ad analisi da parte dell’istituto di mineralogia dell’Università di Roma, rivelarono che tale vetrificazione era dovuta all’esposizione degli stessi ad una temperatura di 1.500 gradi per qualche frazione di secondo, risultato confermato successivamente anche dal prof. Bruno Di Sabatino, vulcanologo dell’Istituto di Mineralogia e Petrografia, col quale collaborarono il prof. Amuleto Flamini e il dr. Giampaolo Ciriaco. Stessa tipologia dei resti che si ritrovano nella regione del Mar Morto dove storicamente erano collocate le città di Sodoma e Gomorra, di biblica narrazione.
Succede in Italia
Alla fine del XIX secolo (1880) il geologo Giuseppe Ragazzoni rinvenne a Castenedolo, nel Bresciano, un cranio umano moderno, unitamente ai resti di altri quattro scheletri.
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Un teschio ritrovato a Castenedolo (Bs) dal geologo Giuseppe Regazzoni nel 1880 e datato cinque milioni di anni.
Il tutto si trovava in strati geologici corrispondenti ad un’epoca di cinque milioni di anni fa ed era logico che la cosa apparisse inconcepibile. Nulla di misterioso, direbbero all’unisono gli scienziati neodarwinisti: qualche migliaio di anni fa qualcuno morì e i suoi contemporanei ritennero di dover scavargli una tomba molto profonda in fondo alla quale collocarono il corpo che, così inserito in strati di ben maggiore antichità, sembra oggi appartenere ad un’epoca che viceversa non gli è propria. Sembra chiaro, dato che un fatto simile, definito una sepoltura intrusiva, può verificarsi. Tuttavia nel caso specifico Ragazzoni, un geologo professionista, era ben consapevole di tale possibilità, poiché “se si fosse trattato di una sepoltura”, dichiarò “gli strati superiori a quelli in cui il corpo è stato rinvenuto sarebbero stati anche solo parzialmente alterati o comunque disturbati dall’interramento del corpo in profondità”. E le sue verifiche lo avevano escluso, a conferma che gli scheletri risalivano davvero agli strati rocciosi in cui erano stati rinvenuti, ossia 5 milioni di anni fa. La scienza accademica sostiene, come un mantra ripetuto monotonamente dai neodarwinisti, che tutte le prove fisiche raccolte a tutt’oggi sono assolutamente coerenti con il loro quadro sulle origini dell’Uomo, per il quale esseri simili a noi sono apparsi circa 100.000 anni fa, dopo una graduale evoluzione dalle scimmie antropoidi.
Alla luce delle nuove scoperte, oggi si deve invece dire che tale affermazione va ritenuta del tutto falsa e fuorviante. Come abbiamo documentato in queste pagine, esistono infatti molteplici scoperte che suggeriscono inequivocabilmente la presenza di esseri apparentemente simili a noi in periodi cronologici compresi fra i 100.000 e i 2 miliardi di anni fa. Il che è affatto coerente con le fonti dei testi antichi, come quelle vediche, mesopotamiche, orientali e dell’America precolombiana, cui accennavamo in un precedente articolo (http://www.karmanews.it/5458/da-dove-viene-luomo/).
Scoperta una probabile genetica aliena?
Lo scimpanzé è il nostro parente vivente più prossimo, con cui condividiamo quasi il 99 per cento del DNA. Gli studi per identificare le regioni del genoma umano, che sono cambiate di più da quando gli scimpanzé e gli esseri umani si sono separati da un antenato comune, hanno contribuito a evidenziare le sequenze del DNA che ci rendono umani. La bioinformatica ha poi completato il quadro con uno studio elegantissimo: sono state analizzate nei tre genomi (uomo, scimpanzé e babbuino) tutte le regioni del DNA che presentano un’elevata similitudine nei mammiferi; tra queste aree, sono state identificate quelle che differivano maggiormente tra le tre specie. In pratica, una regione del DNA è importante se è presente nel maggior numero di animali; se però la sequenza del DNA di questa regione cambia in maniera significativa tra due specie molto simili ci sono ottime probabilità che questo cambiamento sia una delle cause della differenza tra le specie analizzate: in pratica, una regione del DNA è importante se è presente nel maggior numero di animali; se però la sequenza del DNA di questa regione cambia in maniera significativa tra due specie molto simili ci sono ottime probabilità che questo cambiamento sia una delle cause della differenza.
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Messico. Reperti “Starchild”, ritrovati nel 1930, di possibile provenienza aliena.
Le sequenze hanno sigle del linguaggio della genetica (HAR1, HAR2, AMY1, FOXP2 e altre). Un genetista del Progetto Starchild (che è un reperto ritrovato intorno al 1930 da una ragazzina di circa 13-15 anni in Messico, nel tunnel di una miniera a circa 160 km a sud-ovest da Chihuahua) sarebbe riuscito a estrarre dall’osso un frammento del gene FOXP2. Secondo le ultime teorie, questo gene contiene le istruzioni per sintetizzare una proteina fondamentale per la coordinazione tra i movimenti della bocca, gli organi di fonazione (come laringe e corde vocali) e gli impulsi elettrici inviati dal nostro cervello. Insomma, FOXP2 è indispensabile per lo sviluppo del linguaggio. E la sequenza trovata in Starchild non è uguale alla nostra. La genetica è una forma di scienza applicata e non un’opinione e in questo caso l’unica ipotesi probante è che il reperto non sia di provenienza umana. Normalmente le delezioni, cioè mutazioni cromosomiche, possono avvenire anche in natura per esposizione a radiazioni, attività retro-virali, errori di trascrizione del DNA, ma in questo caso certamente non forniscono vantaggi competitivi, anzi il più delle volte generano deficit, sindromi e malattie genetiche (esempio: delezione del cromosoma 18 genera ritardo mentale).
Altri reperti, ritrovati In Guatemala, che ci fanno pensare a una razza aliena.
Guatemala. Altri reperti molto singolaro, di una civiltà precedente quella dei Maya, che ci fanno pensare a una razza aliena.
Un altro esempio può aiutare la comprensione di queste anomalie, ormai evidenze, riguardo la delezione del cromosoma Y: il maschio portatore risulta impossibilitato a procreare. Questa impossibilità è una caratteristica collegata all’ambito delle ibridazioni. Sappiamo per certo che il risultato tra incroci tra razze, come ad esempio il mulo, frutto di un incrocio tra un cavallo e un asino, non è in grado di generare una propria discendenza.
La domanda seria, che in verità non appartiene solo all’ambito scientifico, è la seguente: potrebbe essere la delezione del cromosoma Y e la conseguente incapacità di procreare un retaggio derivante dalla nostra condizione originale di sapiens, quale risultato di una ibridazione tra il DNA dell’homo erectus, opportunamente modificato attraverso delezioni di particolari sequenze cromosomiche, magari con l’ausilio di tecnologia retro virale (come sappiamo ora fare) e DNA non umano?
I racconti della mitologia sumera costituiscono un’importante fonte di informazione e le interpretazioni del ricercatore indipendente Zacharia Sitchin e gli studi accademici di mitologia accadica W.G.Lambert e A.R.Millard, Stephanie Dalley e Benjamin R.Foster, ci consentono oggi di potere leggere nell’epopea accadica di Athrasis Inuma Ilu awilum (traducibile in “Quando gli dei erano come gli uomini”) scritta circa 1.700 anni prima di Cristo, una precisa descrizione del momento in cui gli Dei, chiamati Annunaki, si ammutinano a causa del pesante lavoro cui erano sottoposti sul pianeta Terra. Si rende così necessaria quella ricerca scientifica che porterà alla creazione del genere umano, creazione nel senso di modifica biologica non certo in senso letterale, ex nihilo, dal nulla. I parallelismi con la Bibbia ebraico-cristiana sono ormai puntuali: i testi diffusi su tutto il pianeta raccontano le stesse cronache, le stesse gesta, gli stessi homo sapiens. Di questo essenziale aspetto ne parleremo diffusamente nel prossimo articolo.
Daniela Ghirardi e Ubaldo Carloni (3a puntata – continua)
Per saperne doi più:
Sugli OOpart vedi su Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/OOPArt
Sulla mitologia sumera: http://www.karmanews.it/5458/da-dove-viene-luomo/

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