LA FUKUSHIMA BRASILIANA, IL FANGO TOSSICO RAGGIUNGE L'OCEANO!

In seguito al cedimento di due dighe, nel sudest del Brasile, il fango tossico è arrivato nell'Atlantico e potrebbe volerci un secolo per essere riassorbito



“Fukushima brasiliana”, così è stata battezzata la tragedia che ha colpito il Brasile lo scorso 5 novembre in seguito al cedimento di due dighe nel sudest del paese. Il nome rende l’idea della gravità del disastro sociale e ambientale la cui vera portata non è ancora chiara.




Fotografia aerea che mostra l’avanzare del fango tossico nell’Oceano Atlantico sulla costa di Espirito Santo, dove il Rio Doce incontra il mare © Ricardo Moraes/Reuters



Il crollo delle dighe di proprietà della società mineraria Samarco, costruite per contenere le acque reflue, ha causato undici morti e dodici dispersi ed è ilpeggior disastro ambientale nella storia del Brasile, tra i più gravi mai avvenuti al mondo.



La muraglia di fango che ha investito il villaggio di Bento Rodrigues conteneva infatti sostanze altamente tossiche come mercurio, arsenico, piombo e altri metalli pesanti. Come temuto dai biologi, la marea velenosa costituita da 62 milioni di metri cubi di fanghi tossici, ha prima devastato il bacino del Rio Doce e dei suoi affluenti nel Minas Gerais e ora si appresta ad avvelenare il mare di Espirito Santo.

Secondo Marcos Freitas, coordinatore esecutivo dell’Instituto virtual internacional de mudanças globais (Ivig), la tragedia è stata causata dall’incuria della Samarco colpevole di gravi inadempienze in termini di manutenzione e sicurezza, ed è la più grave mai provocata da una compagnia mineraria. La quantità di fanghi tossici dispersi sarebbe infatti di due volte e mezza maggiore del secondo peggior incidente del genere, avvenuto il 4 agosto 2014 nella miniera canadese di Mount Polley, nel British Columbia.



Nonostante l’immediato allarme nulla è stato fatto per impedire che l’onda tossica arrivasse sulle coste brasiliane dell’ceano Atlantico, in una delle regioni con maggior biodiversità del Brasile. “L’arrivo del fango tossico nell’oceano può avere un impatto ambientale equivalente alla contaminazione di una foresta tropicale delle dimensione del Pantanal brasiliano”, ha dichiarato il biologo André Ruschi, direttore della Estação Biologia Marinha Augusto Ruschi di Aracruz, Santa Cruz, nello Espirito Santo.

Ruschi ritiene che il danno ambientale provocato da questo tsunami di fangopotrebbe impiegare almeno cento anni prima di essere riassorbito completamente. “Un disastro di proporzioni mondiali con conseguenze difficili da immaginare a causa del quale potremmo pagare un prezzo enorme”.



Tra le principali vittime del disastro ci sono gli indiani Krenak, popolo indigeno che vive sulle rive del fiume contaminato e ora deve fare affidamento sulle forniture di acqua potabile e cibo. “Il fiume era tutto per noi, non ci forniva solo acqua e pesce, era per noi una fonte di cultura”, ha detto il capo tribù Leomir Cecilio de Souza. “Il fiume ha mantenuto la nostra gente fin dai tempi degli antenati, era sacro. Ma ora è morto”.

La marea tossica, correndo veloce verso il mare, ha lasciato dietro di sé un paesaggio spettrale, fatto di animali morti, alberi sradicati e uno spesso strato di fango solidificato. Finora il governo brasiliano ha inflitto alla Samarco, di proprietà dei giganti del settore Vale e Bhp Billiton, due multe: una di circa 60 milioni di dollari e l’altra di 250 milioni. Gli esperti stimano tuttavia che i danni all’ecosistema e alla biodiversità avranno un costo di diversi miliardi di dollari.



Inoltre l’azienda, che inizialmente ha più volte negato la tossicità del fango, non ha ancora fornito un elenco completo delle sostanze presenti nel fango fuoriuscito dalle dighe. La preoccupazione è ora per le altre 200 dighe simili sparse per il paese che potrebbero rappresentare un rischio.




Bambini giocano sulla spiaggia di Povoacao Village, sulla costa di Espirito Santo, nei pressi della foce del Rio Doce © Ricardo Moraes/Reuters



Le associazioni umanitarie e ambientaliste chiedono un inasprimento delle normative e denunciano la stretta relazione tra i politici e le compagnie minerarie che lo scorso anno hanno speso oltre sette milioni di dollari in campagne politiche e pubblicitarie.

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