MARE ADRIATICO: INQUINAMENTO NUCLEARE DA TRIESTE A OTRANTO

A parte le navi dei veleni. Non bastavano le bombe chimiche proibite dalla Convenzione di Ginevra scaricate dagli angloamericani e dai tedeschi, e poi gli ordigni all’uranio impoverito della Nato. A Venezia e dintorni si sapeva soltanto dei fosfogessi radioattivi occultati dalla Montedison in laguna. In Italia nessuno immaginava., eccetto gli addetti ai lavori, invece che le centrali nucleari di Trino Vercellese in Piemonte e Caorso in Emilia, per decenni e decenni fino ai giorni nostri, hanno scaricato nel fiume Po i loro veleni nucleari, con tanto di autorizzazioni dello Stato italiano, mentre le autorità sanitarie locali e nazionali si sono girate dall'altra parte. 
 
Insomma, una contaminazione “legalizzata” mutazioni genetiche e cancro assicurato per legge, alle presenti e future generazioni. Un solo esempio: il plutonio 239 ha un tempo di dimezzamento di 24 mila anni. Risultano maggiormente colpite le aree rivierasche di Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna e Marche. Tant'è che l'inquinamento radioattivo si è esteso ed è stato rilevato anche in Croazia.
 
Il più grande fiume italiano si getta - come noto - nell’Adriatico: un mare chiuso che impiega circa un secolo per il ricambio superficiale. L’esame della letteratura scientifica, soprattutto internazionale, fa emergere un quadro apocalittico, ma ignorato dalla popolazione. 
 
L’immissione di radionuclidi artificiali, soprattutto a vita media e lunga costituisce un danno irreversibile alla vita. Per dirne una: il trizio nel sangue di una nazione moribonda. La popolazione italiana è maltrattata dai propri "governanti" - osannati, applauditi e riveriti - peggio del bestiame da macello. Contenti tanti, felici tutti?

Gianni Lannes
 
 
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