I radiotelescopi raccontano l'origine degli oceani

Stelle appena nate, circondate da enormi dischi gassosi che forse diverranno un giorno sistemi planetari e galassie distanti 12 miliardi di anni luce: queste le prime osservazioni dei due radiotelescopi Alma (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e Janski Vla (Very Large Array), situati rispettivamente sulle Ande cilene e nella piana di San Agustin, nel New Mexico centrale. I risultati di questi primi mesi di attività (Alma è entrato in funzione solo a ottobre 2011) sono stati presentati al congresso annuale dell’Aaas (American Association for the Advancement of Science), tenutosi a Vancouver, in Canada e promettono di gettare luce sull’origine degli oceani terrestri.
Gli scienziati, finora, hanno ipotizzato che la maggior parte dell’acqua degli oceani terrestri, ricca di deuterio, sia stata trasportata da quelle comete che, provenienti dalle regioni esterne del sistema solare dove le basse temperature permettono la formazione di questo isotopo dell'idrogeno, hanno bombardato la Terra quando era ancora giovanissima. Tuttavia, quanto quest’ultime abbiano contribuito al quantitativo totale di acqua negli oceani e da dove venga la parte restante rappresentano quesiti che non hanno ancora trovato risposta. Le nuove osservazioni di ALMA potrebbero ora condurre alla soluzione del mistero. Osservando il disco di gas che circonda una stella distante 170 anni luce dalla Terra, la neonata TW Hydrae, da David Wilner dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics insieme ai colleghi Karin Oberg e Chunhua Qi, e a Michiel Hogerhejde, del Leiden Observatory, mostrano ora che un’alta percentuale di deuterio è presente anche nelle zone più calde del disco che circonda TW Hydrae, il che potrebbe condurre alla soluzione del mistero.
Tuttavia l'occhio dei due radiotelescopi può spingersi anche molto più lontano. Questi, infatti, sono in grado di captare i segnali radio provenienti da galassie e da stelle in via di formazione, che non possono essere osservate nella luce visibile, perché ancora circondate dalle nubi di gas da cui hanno avuto origine. Grazie a loro sarà possibile osservare, ad esempio, le prime fasi della formazione di sistemi planetari attorno a giovani stelle, mettendo alla prova le attuali teorie sulla formazione del nostro sistema solare. Inoltre, questi due strumenti aiuteranno gli scienziati anche ad approfondire la comprensione sull’evoluzione delle galassie, osservando zone dell’Universo distanti da noi 10-12 miliardi di anni luce. "ALMA e Jansky VLA sono costruiti per raccogliere nuovi dati su galassie molto distanti, che ci appaiono così com’erano quando l’Universo era più giovane”, conclude Kartik Sheth del National Radio AstronomyObservatory.

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