Dalla California monitorare l’acidificazione degli oceani di tutto il mondo

Potrebbe essere che la vita di un pinguino sia influenzata dai gas di scarico di una macchina? Secondo gli scienziati della della University of California sì, perchè un terzo dell’anidride carbonica viene assorbita dagli oceani del mondo rendendoli più acidi. Lo studio presentato da un team d 18 ricercatori è fra i più ampi su questo argomento.


Gli scienziati hanno usato sensori sviluppati presso la Scripps Institution of Oceanography della UC di San Diego per misurare l’acidità di 15 zone oceaniche, dall’ Antartide alle acque temperate e tropicali.

L’acidità degli oceani, alterando il pH dell’acqua, colpisce interi ecosistemi provocando stress agli organismi marini. Gretchen E. Hofmann, un eco-fisiologo e docente nel Department of Ecology, Evolution & Marine Biology dell’a University of California è autore del recente articolo apparso su PLoS ONE, che descrive la ricerca.

“Siamo stati in grado di illustrare come parti degli oceani del mondo abbiano attualmente pH differenti, e quindi come potrebbero rispondere ai cambiamenti del clima nel futuro”, ha detto Hofmann. “Lo abbiamo scoperto grazie a dei sensori.” I sensori hanno registrato almeno per 30 giorni i valori del pH in ogni zona dello studio.

Dall’inizio della rivoluzione industriale, le attività umane hanno accelerato il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera e l’anidride carbonica si mescola con l’acqua. Le due molecole si uniscono per diventare acido carbonico, rendendo l’acqua dei mari più acida. Miliardi di molecole si combinano e passando attraverso questo processo, il pH complessivo degli oceani diminuisce, provocandone l’acidificazione.

L’acidificazione limita la quantità di forme di carbonato che sono necessarie per gli invertebrati marini come coralli, ricci, lumache, crostacei e molluschi, per costituire i loro scheletri. Se la concentrazione di carbonati diminuisce, nell’ acqua acidificata sarà più difficile costruire un guscio. Inoltre le strutture di alcuni organismi possono dissolversi quando la chimica dell’acqua diventa troppo sfavorevole.

“I dati che emergono dai sensori di pH ci permettono di progettare gli esperimenti di laboratorio”, ha detto Hofmann. “Gli esperimenti ci permetteranno di vedere come gli organismi si stanno adattando e come potrebbero rispondere al cambiamento climatico in futuro.”

I ricercatori hanno scoperto che, in alcuni luoghi come l’Antartide e le Isole del Sud del Pacifico, l’intervallo di variazione del pH è molto più limitato rispetto alle aree della costa della California che sono soggette a grandi movimenti verticali di acqua. In alcune delle aree di studio, i ricercatori hanno scoperto che la diminuzione del pH dell’acqua del mare causato dalle emissioni di gas serra è ancora entro i limiti di fluttuazione naturale del pH. Invece altre aree hanno raggiuno livelli di acidità che gli scienziati si aspettavano solo per la fine di questo secolo.

“Questo studio è importante per identificare la complessità del problema dell’acidificazione degli oceani in tutto il mondo,” ha detto il co-autore Jennifer Smith, un biologo marino della Scripps. “I nostri dati mostrano come la variabilità enorme del pH dell’acqua di mare, sia all’interno che tra gli ecosistemi marini, renda le previsioni globali degli impatti di acidificazione degli oceani una grande sfida”.

Todd Martz, un ricercatore in Chimica marina alla Scripps, ha sviluppato il sensore. “Poiché ogni sensore utilizzato in questo studio è stato costruito alla Scripps, sono stato in grado di assimilare un certo numero di set di dati, raccolti in modo indipendente dai ricercatori che altrimenti non avrebbero potuto comunicare l’uno con l’altro. ”

Il team ha osservato che i sensori di Scripps, chiamati “SeaFET” e “SeapHOx,” consentono ai ricercatori di monitorare costantemente e autonomamente il pH da parti remote del mondo, fornendo importanti dati da cui gli scienziati possono monitorare i cambiamenti futuri causati dall’ acidificazione degli oceani.

Nonostante questo studio raccolga dati da 15 regioni oceaniche diverse, gli autori fanno notare che si tratta di osservazioni sulla superficie degli oceani e nelle zone costiere e che sarebbe necessario uno studio in acque oceaniche più profonde e più lontane dalla costa.

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